Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12620 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12620 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16648/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e
-controricorrente-
nonchè contro
NOME
-intimata- avverso ORDINANZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 12525/2024 depositata il 08/05/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
L’RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria della RAGIONE_SOCIALE, in forza del decreto ingiuntivo n° 16300/2016 (R.G. 45635/2016) emesso dal Tribunale Ordinario di Roma il 5.7.2016 per l’asserita fornitura di energia elettrica nell’importo di € 58.534,69, reso provvisoriamente esecutivo dal giudice alla prima udienza del 24.5.2017 nel giudizio di opposizione , aveva chiesto in data 25.9.2017 il fallimento delle ingiunte RAGIONE_SOCIALE e COGNOME Maddalena quale socia accomandataria.
Con sentenza n° 208 del 14.3.2018 il Tribunale di Roma dichiarava il fallimento.
Con ricorso depositato il 9.4.2018 era interposto tempestivo reclamo ex art. 18 L.F. dinanzi alla Corte di Appello di Roma avverso la sentenza dichiarativa di fallimento rilevando la mancanza di legittimazione dell’Acea Energia s.p.a. a presentare
l’istanza di fallimento per inesistenza del credito, nonché per la mancanza da parte della RAGIONE_SOCIALE dei requisiti oggettivi di cui all’art. 1, 2° comma lett. C), L.F., chiedendo altresì la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni, al pagamento di tutte le spese della procedura fallimentare inerenti alla curatela e ai suoi ausiliari, nonché le spese di lite da distrarsi a favore della difesa delle reclamanti.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza n° 5190/2021 dell’11.12.2020, pubblicata il 14.7.2021, rigettava il reclamo ex art. 18 L.F. sull’assunto che l’Acea s.p.a. fosse legittimata a presentare l’istanza di fallimento, avendo compiuto una delibazione positiva di fondatezza del vantato credito, statuendo altresì che le reclamanti non avevano assolto l’onere della prova di dimostrare l’inesistenza dei debiti oltre la soglia di € 500.000,00.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE e COGNOME proponevano ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resisteva con controricorso Acea s.p.a.
Con ordinanza nr 12125/2024 la Corte di cassazione dichiarava l’inammissibilità del ricorso.
Osservava per gli aspetti che qui interessano l’inammissibilità del secondo motivo con cui era stata denunciata l’apparenza della motivazione laddove la Corte di appello aveva ritenuto che non fosse stata fornita la prova dell’inesistenza dei debiti oltre la soglia di € 500.000,00 di natura non fiscale nonostante la questione fosse stata risolta in primo grado a loro favore e non fosse stata dedotta da Acea che aveva preteso di attribuire ad Annifo un debito a lei estraneo, era inammissibile.
Rilevava al riguardo che i ricorrenti avevano dimenticato di censurare l’ulteriore ratio decidendi posta a sostegno della
decisione impugnata, che- in relazione ai requisiti soggettivi di fallibilità, secondo comma l. fall- aveva ritenuto che la società debitrice non avesse fornito la prova anche del mancato superamento degli altri due requisiti dimensionali previsti ,1 secondo comma , lett a) e b) l. fall.
Pertanto, a fronte di tale ratio non impugnata, le ulteriori censure sull’indebitamento complessivo ex art 1, secondo comma lett c) l. fall articolate dai ricorrenti diventano irrilevanti, posto che il debitore deve fornire la prova del mancato superamento di tutte e tre le soglie di fallibilità.
Avverso tale ordinanza RAGIONE_SOCIALE e COGNOME RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per revocazione ai sensi degli artt. 391 bis e 395 1° comma n. 4, c.p.c. sulla base di un unico motivo cui ha resistito RAGIONE_SOCIALEpRAGIONE_SOCIALEaRAGIONE_SOCIALE con controricorso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ritenuto che:
Con un unico motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115, 116 e 132 C.P.C.; art. 118 disp. att. C.P.C.; artt. 1, 2° comma lett. A) e B) e 18 Legge Fallimentare; artt. 2697 e 2909 C.C. e art. 111 Cost. perché, con una motivazione apparente, ha dichiarato inammissibile il secondo motivo di ricorso sull’erroneo assunto che le reclamanti fossero restate acquiescenti per non avere censurato la sentenza impugnata che avrebbe affermato il superamento dei parametri oggettivi sub A) e B) art. 1, 2° comma, L.F..
Circostanza, si sostiene, in realtà inesistente e smentita chiaramente dai documenti e fatti di causa dai quali era facile percepire che il thema decidendum ineriva solo al parametro sub C)
dell’anzidetto articolo, precisamente la contestazione della ritenuta mancata dimostrazione da parte delle reclamanti di non avere debiti di natura diversa da quella fiscale-erariale superiori alla soglia di € 500.000,00, quando l’accertamento dello stato passivo, dichiarato esecutivo il 19.9.20218, aveva stabilito un totale di debiti di € 361.600,35. (art. 360, 1° comma, n° 3, 4, e 5, C.P.C.).
Si afferma che la decisione si sarebbe basata sull’erronea percezione di un fatto, qual è la ritenuta mancata contestazione da parte delle reclamanti della supposta statuizione della Corte di Appello di Roma dell’esistenza dei parametri oggettivi sub A) e B) dell’art. 1, 2° comma, L.F. per essere dichiarati falliti, in verità inesistente e inequivocabilmente smentito dagli atti e dai documenti di causa.
Si osserva infatti che la dichiarazione di fallimento non si era basata sulla sussistenza dei parametri sub A) e B) ma solo su quello sub C) e limitatamente alla debitoria fiscale-erariale per non essere stato assolto, secondo il Tribunale di Roma, l’onere della prova da parte della RAGIONE_SOCIALE per dimostrare che l’entità dei debiti di tale natura fosse inferiore a € 500.000.00.
Si rileva pertanto che la società RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE avevano avuto la necessità di contestare solo l’anzidetta statuizione inerente al parametro sub C) della debitoria fiscaleerariale, facendo rilevare che per l’importo di € 328.810,17 da esse dichiarato in fase prefallimentare non era stato possibile documentarlo con specifica certificazione dell’ente di riscossione (ma solo con semplici prospetti di sintesi delle cartelle) a causa del rifiuto dello stesso a rilasciarla.
Si sostiene che la Corte di Appello, con una motivazione apparente, avrebbe ritenuto che le reclamanti non avessero dato
prova di avere debiti inferiori alla soglia di € 500.000,00 di natura diversa da quella fiscaleerariale sull’assunto che non fosse stata presentata la dichiarazione dei redditi Unico 2018, anno d’imposta 2017, e perciò la documentazione contabile incompleta per tale anno nonostante la società fosse non operativa e la contabilità consistesse nella sola registrazione delle fatture inerenti ai canoni mensili di affitto dell’azienda, peraltro regolarmente eseguita.
Si evidenzia pertanto che il thema decidendum delineatosi dinanzi alla Corte di appello era chiarissimo e riguardava solo le due menzionate questioni del parametro sub C) art. 1, 2° comma, L.F..
Si ritiene quindi che l’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione per la quale si agisce in revocazione ex artt. 391 bis. e 395, numero 4), C.P.C., pertanto, ignorando tutto ciò, si palesa essere fondata su un fatto (la ritenuta acquiescenza delle reclamanti alla statuizione di sussistenza dei parametri sub A) e B) dell’art. 1, 2° comma, L.F.) assolutamente inesistente e chiaramente smentito dai documenti e fatti di causa.
Il ricorso è inammissibile.
Giova ricordare che che l’errore di fatto, che legittima l’impugnazione per revocazione ex art. 395 cod. proc. civ. consiste in una falsa percezione della realtà, in un errore, cioè, obiettivamente e immediatamente rilevabile, tale da aver indotto il giudice ad affermare l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti o dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo positivamente accertato in essi (sempre che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta adeguata pronuncia). L’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione
necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., Sez. III, 18 settembre 2008, n. 23856; Cass., Sez. I, 9 maggio 2007, n. 10637; Cass., Sez. III, 20 febbraio 2006, n. 3652).
L’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (Cass., Sez. Un., 27 novembre 2019, n. 31032).
Le Sezioni Unite hanno più di recente precisato, sempre in tema di revocazione delle pronunce di questa Corte, che l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ.: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione
dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte (Cass., Sez. U., 20013/2024).
Si deve ribadire che l’errore revocatorio, previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ.:- non può quindi riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche;- deve consistere in un errore di percezione, del fatto, in una svista di carattere materiale;- deve avere rilevanza decisiva;non deve cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata;- deve rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all’utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi.
Occorre ricordare, allora, che, come si è già detto in precedenza, in tema di revocazione delle decisioni della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio presuppone, non un qualsiasi errore di fatto, ma un errore di fatto (riguardante gli atti interni al giudizio di legittimità. Cfr. Cass., SU, n. 20013 del 2024) che si risolva in un’erronea percezione dei fatti di causa, non ricorrendo, dunque, vizio revocatorio, quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione
o interpretazione di documenti e risultanze processuali e non nella relativa inesatta percezione (cfr. Cass., SU, n. 13181 del 2013; Cass. n. 22171 del 2010; Cass. n. 16447 del 2009; Cass. n. 26022 del 2008. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche le più recenti Cass. n. 20635 del 2017, Cass. n. 16138 del 2019, Cass. n. 3544 del 2022, Cass. n. 735 del 2023 e Cass., SU, n. 20013 del 2024).
Ciò posto nel caso di specie la censura veicolata dal ricorrente non denuncia una svista obiettivamente ed immediatamente percepibile, commessa dalla Corte regolatrice, bensì contesta la valutazione espressa da quest’ultima relativamente al contenuto della decisione impugnata che potrebbe integrare un errore di giudizio (non altrimenti emendabile nel vigente sistema delle impugnazioni, ove riferito ad una decisione della Corte di cassazione, per superiore volontà della Legge affinché ne lites fiant paene perennes, et vita hominum modum excedant) e non un errore di fatto revocatorio, tendendosi, in ultima istanza, a sollecitare un rinnovato giudizio sul disatteso motivo del precedente ricorso per cassazione.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento in favore di Acea s.p.a. delle spese di legittimità che si liquidano in complessivi € 4000,00 oltre 200,00 per esborsi ed al 15% per spese generali e accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma 2.04.2025