Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22036 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22036 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11048/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e nella qualità di Amministratore Unico, ora liquidatore, della Societa RAGIONE_SOCIALE, nonché di erede di NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’av vocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso ORDINANZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 32751/2022 depositata il 07/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 3.7.2009 NOME COGNOME in proprio e quale erede del defunto padre NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE (di cui il predetto è stato socio e amministratore per lunghissimo tempo),entrambi soggetti qualificati ed usi ad operare in strumenti finanziari speculativi, avanzarono al Tribunale di Bologna con riferimento all’attività di investimenti in derivati che hanno intrattenuto, sin dal 2002, con l’allora Unipol RAGIONE_SOCIALE s.p.a., oggi RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE S.p.a., una domanda di dichiarazione di nullità o invalidità delle operazioni svolte dalla RAGIONE_SOCIALE per loro conto e di risarcimento dei danni -a loro dire – subìti a seguito delle operazioni a loro illegittimamente addebitate per euro 45.717.578,00, oltre al danno non patrimoniale ed all’immagine.
La RAGIONE_SOCIALE si costituì con comparsa del 16.10.2009, chiedendo il rigetto delle domande attoree e spiegando a sua volta domanda riconvenzionale avente ad oggetto l’accertamento della posizione debitoria del solo Sig. COGNOME -anche quale erede del padre NOME – con riferimento ai c/c nn. 1374 e 237, e la conseguente condanna del predetto al pagamento del relativo saldo debitore al 30.9.2009, pari ad oltre 21 milioni di Euro in linea capitale, oltre interessi, dal dì del dovuto al saldo. Nell’ambito di ta le contenzioso veniva espletata un’articolat a attività istruttoria, con l’assunzione di prove orali e l’espletamento di c.t.u. contabile finanziaria , all’esito della quale veniva accertata la provenienza dal cliente degli ordini relativi a 22.000 operazioni esaminate dal
c.t.u., in quanto, per un verso, non vi era una forma scritta convenzionale, potendo gli ordini essere impartiti anche per telefono, e, per altro verso, sussistevano plurime deposizioni testimoniali oltre alla mancata presenza di NOME COGNOME a rendere l’interrogatorio formale, che confermavano detta provenienza, in considerazione anche del le conferme d’ordine al cliente e delle decine di accessi quotidiani via internet ai conti ed al portafoglio titoli.
Il Tribunale di Bologna respinse la domanda degli attori ed accolse la domanda riconvenzionale della RAGIONE_SOCIALE e, con sentenza definitiva n. 1261/2016, a seguito di altra sentenza non definitiva che aveva disposto la rimessione in istruttoria per l’espletamento di c.t.u. contabile integrativa -volta esclusivamente alla determinazione del quantum dell’esposizione debitoria a carico dell’COGNOME con riguardo alla domanda riconvenzionale dell’Istituto di credito -, dispose la condanna del Sig. NOME COGNOME, anche in qualità di erede del padre NOME, al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE della complessiva somma di Euro 23.952.168,86, oltre ulteriori interessi, spese di lite ed accessori.
La Corte d’appello di Bologna con sentenza del 27 maggio 2020 respinse l’appello proposto dall’ odierno ricorrente contro la sentenza non definitiva emessa dal Tribunale di Bologna in data 8 giugno 2015, mentre , in accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME e dalla RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza definitiva del medesimo tribunale in data 17 maggio 2016, ridusse la condanna del medesimo, in favore di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a., alla somma di € 21.486.001,16, oltre interessi legali dal 15 ottobre 2009, in relazione ad operazioni in derivati concluse tra le parti.
Avverso questa sentenza proposero ricorso per cassazione NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, sulla base di
cinque motivi al quale resisteva con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La Suprema Corte di Cassazione con sentenza nr. 32751 del 2022 dichiarò inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna.
Avverso la suddetta sentenza n.32751 del 2022, ha proposto ricorso per revocazione il COGNOME. COGNOME, anche nelle menzionate qualità, chiedendo alla Suprema Corte, ai sensi dell’art. 391bis c.p.c., di revocare la predetta ordinanza per errore di fatto. Il ricorrente ha depositato memoria. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE spa ha resistito con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che per orientamento nomofilattico consolidato, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (C ass. 10040/2022; Cass. S.U. 8984/2018).
Ed inoltre, la domanda di revocazione della pronuncia della Corte di cassazione per errore di fatto deve contenere, a pena di inammissibilità, oltre all’indicazione del motivo della revocazione, prescritta dall’art. 398, comma 2, c.p.c., anche l’esposizion e dei fatti di causa, richiesta dall’art. 366, comma 1, n. 3 c.p.c., al fine di rendere agevole la comprensione della questione controversa e dei profili di censura formulati in immediato coordinamento con
il contenuto della sentenza impugnata (Cass. 30720/2022; Cass. 14126/2018).
Nel caso concreto manca una chiara esposizione dei fatti di causa e la chiara e specifica indicazione dell’errore di fatto nel quale sarebbe incorsa la Corte, non essendo state articolate formali censure, ma essendosi il ricorrente limitato a dedurre che «i motivi della revocazione sono spiegati dalla complessità dei fatti e dalla enorme mole di documentazione che ha accompagnato i due precedenti gradi di giudizio». Il ricorso – attraverso la riproduzione di stralci della c.t.u. e degli atti del giudizio di merito – mira, in definitiva a censurare, men che un errore di fatto, piuttosto la considerazione e la valutazione degli atti del giudizio compiuta da questa Corte, inammissibilmente sollecitandone una diversa considerazione in questa sede.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro18.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 24/04/2024.