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Errore di fatto: quando il nome del dispositivo non conta

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società per la revocazione di un’ordinanza. La società lamentava un errore di fatto, poiché la Corte aveva definito ‘autovelox’ un dispositivo con un altro nome commerciale. Secondo i giudici, l’uso del termine ‘autovelox’ in senso generico non costituisce un errore di fatto decisivo, se i requisiti di legge (omologazione e verifiche periodiche) dell’apparecchio sono stati correttamente accertati.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Errore di fatto e multe: se il giudice sbaglia il nome dell’autovelox?

Cosa succede se un giudice, in una sentenza relativa a una multa per eccesso di velocità, indica il dispositivo di rilevamento con il termine generico ‘autovelox’ anziché con il suo specifico nome tecnico? Questa imprecisione può configurare un errore di fatto tale da giustificare la revocazione della decisione? A questa domanda ha risposto la Corte di Cassazione con una recente ordinanza, stabilendo un principio importante sulla differenza tra forma e sostanza nel processo.

I fatti del caso: Dalla multa al ricorso in Cassazione

La vicenda ha origine dall’impugnazione di due verbali per eccesso di velocità da parte di una società. Le violazioni erano state rilevate tramite un apparecchio elettronico a distanza. Sia il Giudice di Pace che il Tribunale avevano respinto le opposizioni della società. Giunta in Cassazione, anche il suo ricorso era stato rigettato con un’ordinanza che confermava la legittimità delle sanzioni. In tale ordinanza, la Corte aveva menzionato l’apparecchio di rilevamento definendolo ‘autovelox’.

La richiesta di revocazione per errore di fatto

Non soddisfatta, la società ha proposto un ulteriore ricorso, questa volta per revocazione, sostenendo che la Corte Suprema fosse incorsa in un errore di fatto. Secondo la tesi difensiva, il dispositivo utilizzato non era un ‘autovelox’, ma un modello diverso, denominato ‘Red & Speed Evo L2’. Questa, secondo la ricorrente, non era una semplice imprecisione terminologica, ma una ‘falsa supposizione’ su un fatto decisivo, incontestabilmente smentito dagli atti processuali, vizio che la legge sanziona con la possibilità di revocare la sentenza.

Le motivazioni della Corte: quando l’errore di fatto non è decisivo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso per revocazione inammissibile, fornendo chiarimenti cruciali sulla nozione di errore di fatto revocatorio. I giudici hanno spiegato che il termine ‘autovelox’ è stato utilizzato latu sensu, ovvero in senso ampio, come sinonimo di qualsiasi apparato automatico per la rilevazione a distanza delle infrazioni al codice della strada.

Il punto centrale, secondo la Corte, non è il nome commerciale del dispositivo, ma il rispetto di due requisiti sostanziali e imprescindibili:

1. L’omologazione: l’apparecchio deve essere stato approvato dal ministero competente.
2. Le verifiche periodiche: il dispositivo deve essere sottoposto a controlli regolari per garantirne il corretto funzionamento.

Nel caso specifico, la precedente ordinanza aveva già accertato che entrambi questi requisiti erano stati soddisfatti. La società ricorrente, d’altra parte, non ha specificato quali differenze funzionali o normative tra un ‘autovelox’ e un ‘Red & Speed’ avrebbero potuto portare a una decisione diversa. In altre parole, non ha dimostrato la decisività dell’errore. Per giustificare una revocazione, l’errore percettivo del giudice deve essere tale che, senza di esso, la decisione sarebbe stata diversa. Qui, invece, il ragionamento giuridico applicato dalla Corte sarebbe rimasto identico, a prescindere dal nome dell’apparecchio.

Conclusioni: la prevalenza della sostanza sulla forma

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nel processo civile, la sostanza prevale sulla forma. Un’imprecisione terminologica, come l’uso di un nome generico anziché specifico per un dispositivo, non costituisce un errore di fatto rilevante se non incide sul nucleo della questione giuridica. Per ottenere la revocazione di una sentenza della Cassazione, non basta evidenziare una svista, ma è necessario dimostrare che quella svista è stata cruciale e determinante per l’esito del giudizio. La decisione sottolinea quindi l’onere, per chi ricorre, di andare oltre il formalismo e argomentare in modo specifico e concreto come l’errore abbia viziato la decisione nel merito.

Sbagliare il nome del modello di autovelox in una sentenza costituisce un errore di fatto che ne giustifica la revoca?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non costituisce un errore di fatto revocatorio se il termine ‘autovelox’ viene usato in senso generico per indicare un qualsiasi apparecchio di rilevamento a distanza e se i requisiti sostanziali di legge (omologazione e verifiche periodiche) sono stati correttamente accertati.

Quali sono i requisiti di un errore per portare alla revocazione di una pronuncia della Cassazione?
L’errore deve consistere in una percezione errata dei fatti di causa, la cui verità è incontestabilmente esclusa dagli atti. Inoltre, non deve riguardare l’attività interpretativa o valutativa del giudice, deve essere evidente, essenziale e, soprattutto, decisivo, ovvero tale che senza di esso la decisione sarebbe stata diversa.

Cosa deve dimostrare chi ricorre per revocazione lamentando un errore di fatto?
Il ricorrente ha l’onere di dimostrare non solo l’esistenza dell’errore percettivo, ma anche e soprattutto la sua ‘decisività’. Deve spiegare in modo specifico perché, senza quell’errore, la Corte avrebbe deciso diversamente. Non è sufficiente indicare la discrepanza se questa non ha avuto conseguenze sul ragionamento giuridico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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