Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3228 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3228 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/02/2025
ORDINANZA
sui ricorsi riuniti iscritti al n. 31792/2019 e al n. 3089/2020R.G. proposti da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE ROMA/C ORA ASL ROMA 2, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 5216/2018 depositata il 26/07/2018, e avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n.5604/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE -ora RAGIONE_SOCIALE-, cessionaria dei crediti di RAGIONE_SOCIALE, aveva chiesto e ottenuto dal Tribunale di Roma il DI n.15799/2000 a carico di RAGIONE_SOCIALE RomaRAGIONE_SOCIALE per l’importo di £ 3.813.727.015, in relazione al pagamento di sedici fatture inerenti alla fornitura di servizi per la manutenzione e la gestione degli impianti termici dell’Ospedale Sant’Eugenio e dei presidi esterni extraospedalieri. La AUSL aveva proposto opposizione non contestando il credito ma affermando l’inefficacia della cessione e la non debenza degli interessi di mora.
In data 5.12.2001 RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RomaRAGIONE_SOCIALE avevano stipulato una transazione con la quale quest’ultima si era impegnata a pagare £ 3.964.001.691, IVA inclusa, in relazione a parte delle fatture oggetto del decreto ingiuntivo.
La causa di opposizione introdotta ex art.645 c.p.c era stata definita dal Tribunale di Roma con la revoca del decreto ingiuntivo e con il rigetto di ogni ulteriore pretesa per il ritenuto carattere assorbente della transazione.
RAGIONE_SOCIALE aveva proposto appello nei confronti della sentenza del Tribunale di Roma rilevando che la transazione aveva riguardato solo sei delle sedici fatture azionate e che il credito complessivo per gli importi delle altre dieci fatture pure valorizzate monitoriamente non era mai stato rinunciato: a sostegno della propria tesi, aveva prodotto l’elenco delle fatture allegate alla transazione.
Respinto l’appello per ritenuta novità della produzione dell’elenco di fatture, la Corte di Cassazione, adita da UBI RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE, aveva accolto il ricorso proposto, affermando che la produzione indicata non potesse essere considerata nuova, e aveva cassato la sentenza ricorsa con rinvio alla Corte d’Appello di Roma per la rivalutazione del merito.
Riassunto tempestivamente il giudizio di rinvio RAGIONE_SOCIALE nel frattempo divenuta cessionaria del credito controverso, aveva insistito per il rigetto dell’opposizione in relazione al dovuto per le dieci fatture non comprese nella transazione, per le quali insisteva nella richiesta di condanna di RAGIONE_SOCIALE a pagare € 648.257,85, oltre interessi convenzionali ex art.35 e 36 DPR n.1063/1962; essendo intervenuto nel corso del giudizio di rinvio il pagamento dell’importo capitale portato dalle fatture residue, RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto dichiararsi cessata la materia del
contendere per l’originario credito per l’importo capitale di € 575.986,66 ma aveva insistito per il pagamento degli interessi di mora, dalla data delle singole fatture al 15.4.2015 e, sull’intero dovuto, dal 16.4.2015 al saldo.
La Corte d’Appello di Roma aveva dichiarato cessata la materia del contendere in ordine al capitale, dovuto dalla AUSL e pagato in corso di giudizio, mentre aveva respinto la domanda di pagamento degli interessi ex art.35 e 36, indicati come contenuti nel d. lgs. n.231/2002, riconoscendo i soli interessi legali a decorrere dalla notificazione del ricorso monitorio e del provvedimento relativo, perchè il contratto di appalto risaliva al 1991 e le fatture del cui pagamento si era discusso erano tutte state emesse tra il 1997 e il 1998, prima della direttiva 2000/35/UE e del provvedimento normativo di attuazione richiamato. Compensate quindi le spese per il primo grado di giudizio, aveva attribuito quelle di tutti i gradi successivi, compreso quello di legittimità, all’Azienda Sanitaria.
Contro la sentenza di rinvio RAGIONE_SOCIALE aveva prima proposto ricorso per revocazione ai sensi dell’art.395 n.4 c.p.c., ottenendo in quella sede la sospensione del termine per la proposizione del ricorso per cassazione, ex art.398 co 4 c.p.c., ‘fino alla comunicazione della sentenza che pronuncia sulla revocazione’. Il giudizio così radicato, in cui RAGIONE_SOCIALE aveva evidenziato di non aver mai chiesto gli interessi di mora ex d. lgs. n.231/2002 ma solo e sempre gli interessi di mora convenzionalmente pattuiti, con richiamo agli art.35 e 36 DPR n.1063/1962, dalla data di scadenza delle singole fatture fino al 15.4.2015 e poi dal 16.4.2015 al saldo sull’intero importo dovuto, si era concluso con una sentenza di dichiarazione di inammissibilità, avendo la Corte d’Appello di Roma ritenuto che non di errore revocatorio si trattava ma di un problema relativo alla lettura delle conclusioni della parte e al conseguente loro apprezzamento nell’ambito delle risultanze processuali.
Ripreso il decorso del termine RAGIONE_SOCIALE ha tempestivamente proposto un altro ricorso per cassazione -radicato con RG n.31792/2019avverso la sentenza n.5216/2018, conclusiva del giudizio di rinvio, affidandolo a tre motivi:
Violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c., nella parte in cui ha respinto la richiesta di condanna al pagamento degli interessi contrattualmente pattuiti ex art.35 e 36 DPR n.1063/1962, dalla data di scadenza delle singole fatture fino al 15.4.2015 e poi dal 16.4.2015 al saldo sull’intero importo dovuto, facendo erroneamente riferimento al disposto del d. lgs. n.231/2002 che la ricorrente non aveva mai invocato;
II) in via alternativa rispetto al motivo precedente, censura della sentenza ex art.360 co 1 n.4 c.p.c. per non aver pronunciato la Corte d’Appello, in violazione dell’art.112 c.p.c., sulla domanda di condanna agli interessi di mora contrattualmente pattuiti;
III) Censura, in subordine, della sentenza per apparenza o incomprensibilità della motivazione, avendo tra l’altro la Corte di merito invocato norme inesistenti quali gli art.35 e 36 d. lgs. n.231/2002.
10. Ha resistito con controricorso la AUSL Roma 2, già AUSL Roma/C, eccependo la propria carenza di legittimazione passiva per essere l’Azienda non il soggetto passivo del rapporto obbligatorio dedotto in giudizio ma solo l’Ente delegato dalla Regione Lazio a trasferire le somme ricevute da quest’ultima alla società ricorrente per la fornitura di servizi. Nel merito, sarebbe irrilevante, secondo l’Azienda, l’errore di indicazione del provvedimento normativo di riferimento per gli interessi, avendo chiaramente la Corte di merito inteso riconoscere solo gli interessi legali; comunque anche la individuazione della data di decorrenza degli interessi proposta non potrebbe essere condivisa, non potendo essere considerate le fatture atti di messa in mora.
11. RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione -radicato con RG n.3089/2020anche avverso alla sentenza con la quale la Corte d’Appello di Roma ha respinto la domanda di revocazione ex art.395 n.4 c.p.c., affidandolo ad un unico motivo, individuato nella violazione e falsa applicazione dell’art.395 n.4 c.p.c. in relazione all’art.360 co 1 n.3 c.p.c.
L’errore della Corte di merito non avrebbe riguardato infatti, secondo la ricorrente, l’attività interpretativa e valutativa, sarebbe evidente e rilevabile sulla base del solo raffronto tra la sentenza e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche e sarebbe essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione erronea e la decisione esisterebbe un nesso causale tale per cui senza l’errore la decisione sarebbe stata sicuramente diversa. Ne consegue che la decisione della Corte d’Appello all’esito del giudizio per revocazione sarebbe in violazione di legge, perché avrebbe individuato erroneamente la norma da applicare, inquadrando la fattispecie nell’ambito di operatività dell’art.360 c.p.c. invece che dell’art.395 n.4 c.p.c., come sarebbe stato corretto.
RAGIONE_SOCIALE ha altresì chiesto la riunione tra i ricorsi proposti, allegando la sussistenza di evidenti profili di connessione.
La RAGIONE_SOCIALE Roma 2, già RAGIONE_SOCIALE RomaRAGIONE_SOCIALE, ha resistito anche nel ricorso avverso la sentenza di declaratoria di inammissibilità della revocazione proponendo anche in tal caso l’eccezione di carenza di legittimazione passiva, per essere soggetto del rapporto obbligatorio dedotto in causa la Regione Lazio, e chiedendo comunque il rigetto del ricorso per insussistenza dell’errore revocatorio.
La controricorrente ha aderito alla richiesta di riunione dei due ricorsi per cassazione.
Tutte le parti hanno depositato memorie illustrative.
Ha depositato memoria ex art.380 bis co 1 c.p.c. in entrambi i procedimenti il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, concludendo per l’accoglimento del ricorso per cassazione ex art.360 c.p.c., con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, che apparirebbe essere incorsa in un errore di diritto respingendo la domanda di pagamento degli interessi al tasso convenzionali, e instando per il rigetto del ricorso per cassazione avverso la sentenza conclusiva del giudizio ex art.395 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Deve essere disposta la riunione dei due ricorsi per cassazione proposti da RAGIONE_SOCIALE perché, pure se le sentenze impugnate sono state pronunciate dalla Corte d’Appello di Roma all’esito di due diverse impugnazioni, queste hanno avuto origine nell’ambito della stessa controversia -la domanda di revocazione riguarda un vizio, allegato come errore di fatto e quindi riguardante il merito, che si afferma essere stato commesso dal Giudice d’Appello, la cui pronuncia è stata comunque ricorsa anche per prospettate violazioni dell’art.360 c.p.c., quindi per profili di legittimità- e sono in evidente connessione.
Si dispone pertanto la riunione del ricorso per cassazione radicato con il n.3089/2020 RG al ricorso per cassazione n. 31792/2019 RG, radicato per primo, entrambi pendenti tra le stesse parti e originanti dallo stesso contenzioso.
Si osserva che i rilievi della AUSL Roma 2 relativi alla propria carenza di legittimazione passiva non possono trovare ingresso nel presente giudizio: il contenzioso insorto tra le parti è già stato oggetto di un primo vaglio da parte della Corte di Cassazione, che aveva cassato con rinvio la precedente sentenza della Corte d’Appello di Roma, di rigetto della pretesa creditoria poi trasferita alla cessionaria RAGIONE_SOCIALE e che non aveva rilevato questioni sulla corretta identificazione, necessariamente presupposta, delle parti dei rapporti obbligatori dedotti in giudizio, e quindi sulla qualità di debitrice in capo alla AUSL Roma/C, ora AUSL Roma 2.
La questione, ormai coperta da giudicato all’esito, si ripete, della precedente pronuncia della Corte di Cassazione, non può certo essere reintrodotta nel prosieguo del giudizio e ancora coltivata in questa sede.
18. Quanto ai motivi di ricorso proposti da RAGIONE_SOCIALE nei giudizi riuniti, la questione di fondo da valutare è se l’errore in cui si assume sia incorsa la Corte d’Appello di Roma nella pronuncia relativa all’individuazione degli interessi di mora dovuti sia un errore revocatorio, rientrante nell’ambito di operatività dell’art.395 n.4 c.p.c., oppure se si tratti di un errore di interpretazione rilevante come errore di diritto, inquadrabile quindi nell’ambito dell’art.360 co 1 n.3 o n.4 c.p.c.
Ove si dovesse ritenere l’esistenza di un errore di fatto connotato delle caratteristiche richieste dall’art.395 n.4 c.p.c., risulterebbe fondato il ricorso per cassazione avverso la sentenza n.5604/2019 e infondato il ricorso ex art.360 co 1 c.p.c. avverso la sentenza n. 5216/2018; ove invece non sia ipotizzabile alcun errore di fatto il ricorso avverso la sentenza n.5604/2019 sarebbe infondato e dovrebbero essere vagliati nell’ambito dell’art.360 co 1 n.3 e 4 c.p.c. i motivi di critica articolati da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n.5216/2018
19. La Corte di merito ha infatti considerato gli interessi di mora richiesti fin dall’introduzione del giudizio dalla società creditrice come fondati dalla stessa sulla normativa disciplinata dal d. lgs. n.231/2002 -ritenendoli per questo non dovuti e riconoscendo i soli interessi legali ordinari-, mentre essi erano stati richiesti dalla società come interessi di mora convenzionalmente pattuiti con richiamo al disposto della -differente- normativa identificata espressamente negli art.35 e 36 DPR n.1063/1962: non si è trattato, da parte della Corte di merito, di un mero errore nella trascrizione del numero e dell’anno del provvedimento normativo preso a riferimento, perché la motivazione a sostegno della decisione per il profilo ancora controverso riguarda specificamente la materia delle transazioni commerciali, regolate appunto dal d. lgs n.231/2002 -attuativa della normativa unionale- e si sofferma sulla individuazione dei rapporti negoziali che, ratione temporis, ne sono disciplinati escludendo il contratto di appalto originante i crediti controversi perché stipulato nel 1991.
20. L’ambito dell’errore di fatto revocatorio è stato delineato in modo attento dalla Corte di Cassazione a SSUU con la sentenza 11 aprile 2018, n.8984, che ha evidenziato come non sia ‘causa di revocazione della sentenza … l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione ‘ (il principio,
individuato in relazione all’impugnazione per revocazione della sentenza di cassazione, ex art.391 bis e 395 n.4 c.p.c., traccia l’ambito di operatività del disposto dellart.395 n.4 c.p.c. quanto all’individuazione dell’errore di fatto che ne è oggetto in modo generale, riferibile all’impugnazione per revocazione anche delle sentenze di merito). Nella motivazione della sentenza di legittimità richiamata si legge: ‘ La giurisprudenza di legittimità ha perimetrato l’errore di fatto, tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti (e) integri gli estremi dell’error iuris, sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della violazione (vedasi tra le tante Cass., Sez. U., 27/12/2017, n. 30994 e sent. ivi cit. a § 3.4; conf. Cass., Sez. U., 27/12/2017, nn. da 30995 a 30997). Resta, quindi, esclusa dall’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perché siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass., Sez. U., n. 30994/2017)… ‘.
In sostanza, l’errore revocatorio ex art. 395, n. 4), c.p.c., ‘ consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto la cui verità sia incontestabilmente esclusa ovvero l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita dagli atti o documenti di causa, qualora il fatto non sia stato un punto controverso oggetto della sentenza impugnata ‘ -in tal senso Cass. n.37382/2022-.
21. Nel caso di specie non appaiono sussistere i presupposti per affermare che la Corte d’Appello sia incorsa in un errore di fatto revocatorio: la Corte di merito ha riportato correttamente nella ‘motivazione della sentenza’ che il fondamento normativo della misura degli interessi richiesti dalla società era stato individuato dalla stessa negli art.35 e 36 DPR n.1063/1962 (cfr. la terza pagina della sentenza, nella parte iniziale) e che la decorrenza veniva indicata nella data di scadenza delle
singole fatture fino al 15.4.2015 e poi, sull’intero, dal 16.4.2015 al saldo; la Corte ha quindi più propriamente mal interpretato il contenuto della domanda relativa agli interessi formulata dalla società, ancorandolo, in conseguenza di un errore che è interpretativo e riverbera direttamente sul piano giuridico, alla normativa dettata in materia di transazioni commerciali dal d. lgs. n.231/2002 ritenuta inapplicabile, e disattendendo in concreto la richiesta di RAGIONE_SOCIALE sia quanto alla misura convenzionale degli interessi di mora (fondata sul rimando al DPR n.1063/1962), sia quanto alla loro decorrenza, senza offrire giustificazione appropriata.
22. Appare pertanto corretta la declaratoria di inammissibilità della domanda di revocazione ex art.395 n.4) c.p.c., pronunciata dalla Corte d’Appello di Roma con la sentenza n.5604/2019, con conseguente rigetto del motivo di ricorso che riguarda detta pronuncia.
23. Sono invece fondate le doglianze svolte da RAGIONE_SOCIALE con il secondo motivo di ricorso formulato, ex art.360 n.4 c.p.c., nei confronti della sentenza della Corte d’Appello di Roma n.5216/2018 che ha definito il giudizio di appello perché, effettivamente, non risulta che la società ricorrente abbia mai chiesto gli interessi ex d. lgs. n.231/2002, non risulta si sia mai discusso dell’alternativa applicativa tra gli stessi e quelli legali ordinari, mentre emerge univocamente dalla stessa sentenza impugnata che sono sempre e solo stati richiesti gli interessi -convenzionali la cui misura si determina- con riferimento agli art.35 e 36 (che non esistono nel d. lgs. n.231/2002 e che sono presenti invece nel) DPR n.1063/1962, disattesi, sia quanto alla loro misura sia quanto alla decorrenza per essi pure instata, senza esplicitazione di motivazione alcuna.
24. La fondatezza del secondo motivo di ricorso per cassazione avverso la sentenza di rinvio rende ultronea la valutazione degli altri due motivi di ricorso proposti, il primo e il terzo, con i quali RAGIONE_SOCIALE ha lamentato differenti profili di prospettata illegittimità ex art.360 co 1 c.p.c. della decisione della Corte di merito sulla questione evidenziata, alternativi rispetto a quello accolto.
25. In conclusione, deve essere respinto il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n.5604/2019, che ha deciso la revocazione proposta ex art.395 co 4 c.p.c. avente ad oggetto la sentenza della Corte d’Appello di Roma n.5216/2018; deve invece essere accolto il secondo motivo di ricorso per cassazione ex art.360 co 1 n.4 c.p.c. avverso la sentenza n.5216/2018 della Corte d’Appello di Roma, con rimessione alla stessa Corte, in diversa composizione, per la rivalutazione