Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5895 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 5895 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11396/2023 proposto da:
NOME COGNOME , domiciliato ex lege in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata ex lege in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni agli indicati indirizzi PEC dell’AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 33619/2022 depositata il 15/11/2022; udita la relazione della causa svolta nell’udienza del
12/1/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Oggetto: revocazione
artt. 391- bis e 395,
n. 4, c.p.c.
R.G.N. 11396/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 12/1/2024 – CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza indicata in epigrafe, questa Corte ha rigettato il ricorso per cassazione proposto da NOME COGNOME contro la sentenza n. 3513/2021 del la Corte d’Appello di Napoli. La Corte territoriale aveva a sua volta respinto il reclamo proposto dal ricorrente contro la sentenza di primo grado con cui il Tribunale di Benevento, in funzione di giudice del lavoro, aveva confermato la legittimità del licenziamento disciplinare intimato al ricorrente dall ‘RAGIONE_SOCIALE (A.C.E.R.).
Contro la sentenza indicata in epigrafe il lavoratore ha ora proposto ricorso per revocazione, ai sensi degli artt. 391 -bis e 395, n. 4, c.p.c., illustrato anche con memoria. L’ RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso.
Il processo viene trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, comma 2, n. 4, 380 -bis. 1 e 380 -ter , comma 1, c.p.c., come novellati dal d.lgs. n. 149 del 2022, in quanto la fissazione della data per l’adunanza in camera di consiglio è stata adottata successivamente al 31/12/2022 (art. 35, comma 7, d.lgs. citato).
RAGIONI DELLA DECISIONE
Nel denunciare il preteso vizio revocatorio, si ipotizza che questa Corte sia caduta in «errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa» laddove si è pronunciata per l’ inammissibilità del quarto motivo di ricorso per cassazione, volto a censurare l’affermazione della Corte territoriale secondo cui , nel procedimento disciplinare a carico del ricorrente, non fu violato il principio della necessaria terzietà dell’UPD (RAGIONE_SOCIALE per il Procedimento Disciplinare).
Il ricorrente ribadisce che «le contestazioni disciplinari, i procedimenti disciplinari consequenziali e le sanzioni finali adottate sono state tutte intimate» dal direttore generale, che «al tempo stesso era ed è capo della struttura amministrativa ove era
stato assegnato». E questo sarebbe il fatto risultante dagli atti su cui sarebbe caduta in errore la Corte di Cassazione.
Il ricorso è inammissibile.
2.1. Il passo della motivazione della sentenza oggetto di censura è il seguente:
« Questa Corte ha già affermato, ed al principio deve essere data continuità, che il principio di terzietà, sul quale riposa la necessaria previa individuazione dell ‘ ufficio dei procedimenti, non può essere confuso con quello di imparzialità dell ‘ organo giudicante, che solo un soggetto terzo rispetto al lavoratore ed alla amministrazione potrebbe assicurare, e postula unicamente la distinzione sul piano organizzativo fra detto ufficio e la struttura nella quale opera il dipendente (cfr. tra le tante Cass. n. 5317/2017; Cass. n. 20721/2019; Cass. n. 20417/2019; Cass. n. 41568/2021).
Ciò perché quel principio ‘ riflette l ‘ obiettivo di garantire, in relazione alle sanzioni di maggiore gravità, che tutte le fasi del procedimento disciplinare vengano condotte da un soggetto terzo, così da attuare un ‘ sufficiente distacco dalla struttura lavorativa alla quale è addetto il dipendente autore dell ‘ infrazione ‘ e l ‘ esigenza ‘ di evitare che la cognizione disciplinare avvenga nell ‘ ambito ‘ stesso dell ‘ ufficio di appartenenza (Cass. n. 20417/2019, fra altre), nel quale potrebbero non sussistere le indispensabili condizioni di serenità e imparzialità nell ‘ esame dei fatti ‘ (Cass. n. 41568/2021).
Dai richiamati principi non si è discostato il giudice d’appello il quale ha rilevato che ‘ il direttore generale non era il superiore gerarchico diretto del NOME e non aveva lui originariamente rilevato la violazione commessa ed effettuato la relativa segnalazione, dipendendo il NOME operativamente da altra figura sottordinata …’ .
Il motivo, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, in realtà è volto a censurare l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte distrettuale (non a caso nel corpo del motivo si insiste
sulla violazione dell’art. 116 cod. proc. civ.), alla quale si addebita di non avere valorizzato l’ordine di servizio del 2 gennaio 2017, dal quale emergerebbe l’assegnazione all’RAGIONE_SOCIALE, affidato alla responsabilità diretta del Direttore Generale.
Si tratta, quindi, di una censura che nella sostanza sollecita una diversa valutazione delle risultanze processuali, non consentita a questa Corte all’esito della riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., che assegna rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
È ius receptum l’orientamento secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un ‘ erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l ‘ allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all ‘ esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l ‘ aspetto del vizio di motivazione, nei limiti fissati dalla normativa processuale succedutasi nel tempo. Il discrimine tra l ‘ una e l’altra ipotesi è, dunque, segnato dal fatto che solo quest ‘ ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. fra le tante Cass. n. 26033/2020; Cass. n. 3340/2019; Cass. n. 640/2019; Cass. n. 24155/2017). È stato altresì affermato che nella deduzione del vizio di violazione di legge o di disposizioni di contratto collettivo è onere del ricorrente indicare non solo le norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, svolgere specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l ‘ interpretazione delle stesse fornite
dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 17570/2020; Cass. n. 16700/2020).
Il motivo addebita alla Corte territoriale, non un errore interpretativo inerente alla specificazione del concetto di terzietà, bensì un’errata applicazione dello stesso nella fattispecie, conseguente alla valutazione erronea della documentazione in atti, sicché la censura non è riconducibile né al vizio di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. né a quello del riformulato n. 5, perché i fatti storici, ossia l’assegnazione del dipendente ad una data struttura affidata alla responsabilità di un dirigente diverso da quello che ha inflitto a sanzione, sono stati esaminati dal giudice del merito ».
2.2. È del tutto evidente che la decisione di questa Corte non si basa sull’accertamento di un fatto -sul quale si possa ipotizzare che sia caduta in errore -ma sulla valutazione, in diritto, della incensurabilità con il ricorso per cassazione dell’accertamento del fatto effettuato dal giudice del merito e, in particolare, sulla valutazione dell ‘i mpossibilità di utilizzare la denuncia del vizio di violazione di legge per pretendere dalla Corte di Cassazione un riesame del fatto.
Si tratta di valutazioni in linea con quella che è la funzione del giudizio di legittimità, come descritta nel codice e seguita dalla costante giurisprudenza, ma -per quel che rileva in questa sede -è sufficiente constatare che si tratta, appunto, di valutazioni in diritto e non di un accertamento di fatto, che compete al giudice del merito.
In sostanza, viene qui riproposto una seconda volta il quarto motivo di ricorso per cassazione che, già ritenuto inammissibile come tale (perché « sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, in realtà è volto a censurare l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte distrettuale »), lo è a maggior ragione come motivo di impugnazione per revocazione, perché pretende di trasformare la
reiterata critica all’accertamento del fatto compiuto dalla Corte d’Appello in una di censura di «errore di fatto» attribuito alla Corte di Cassazione.
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
A i sensi dell’art. 13 , comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, d ell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di lite , che liquida in € 5.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15%, ad € 200,00 per esborsi e agli accessori di legge;
a i sensi dell’art. 13 , comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, d ell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12/1/2024.