Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26457 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26457 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20146/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante elettivamente domiciliato in ROMA, studio legale SPHERIENS, INDIRIZZO, presso l’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
Per la revocazione dell’ ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE n. 6530/2023 depositata il 03/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La società ricorrente, RAGIONE_SOCIALE, ha stipulato nel 1979 con la RAGIONE_SOCIALE un accordo di coesistenza dei rispettivi segni distintivi, tramite il quale si è accordata la possibilità alla RAGIONE_SOCIALE di registrare e utilizzare il segno costituito dalla lettera ‘V’ o dal nome ‘RAGIONE_SOCIALE‘ su tutti i prodotti a eccezione delle calzature e pelletteria e alla RAGIONE_SOCIALE di utilizzare anche il nome ‘RAGIONE_SOCIALE‘ o la lettera ‘V’, e per le borse e gli altri prodotti in classe 18 (pelletteria e altro) ma unitamente alla dicitura ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘ all’interno o sugli involucri (packaging ), per tutte le merci.
Successivamente, la RAGIONE_SOCIALE ha convenuto la RAGIONE_SOCIALE contestandole l’inadempimento dell’art. 6 del citato accordo e la contraffazione di alcuni suoi marchi su modelli di borse. La RAGIONE_SOCIALE, in riconvenzione, ha lamentato a sua volta l’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE in relazione al medesimo accordo, art. 3, per contraffazione di quattro design su modelli di borse, oltre che per atti di concorrenza sleale.
Il Tribunale ha accertato l’inadempimento dell’art. 6 dell’accordo da parte della RAGIONE_SOCIALE per l’utilizzazione di un segno per borse, e ha accertato altresì la violazione dell’art. 3 dell’accordo da parte di RAGIONE_SOCIALE per la contraffazione di quattro design di borse e la decadenza per non uso di alcuni marchi, respingendo le domande relative alla concorrenza sleale.
La Corte d’appello ha parzialmente riformato la sentenza, ritenendo che la RAGIONE_SOCIALE non abbia violato l’accordo, avendo utilizzato per le borse segni diversi da quelli dell’altra
impresa, ma ha confermato la responsabilità della società RAGIONE_SOCIALE. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da entrambe le imprese. Questa Corte, con ordinanza n. 6530/2023, ha respinto entrambi i ricorsi.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per revocazione avverso la predetta ordinanza, affidandosi ad un motivo. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha proposto controricorso chiedendo la condanna della controparte ai sensi dell’art. 96 commi 3 e 4 c.p.c. Gli avvocati della ricorrente hanno depositato atto di rinuncia al mandato. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
RILEVATO CHE
1.Preliminarmente si osserva che l’atto di rinuncia al mandato da parte dei legali della società ricorrente non spiega effetto nel presente giudizio di legittimità, in virtù del principio della perpetuatio dell’ufficio di difensore di cui è espressione l’art. 85 c.p.c. (Cass. n. 28365 del 29/09/2022).
1.- Con il motivo di revocazione, si lamenta ai sensi degli artt. 391 bis e 395, n. 4, c.p.c. un errore di fatto, risultante dagli atti di causa.
La ricorrente deduce la erronea percezione, da parte del Collegio giudicante, del contenuto letterale dei motivi da IV a VI, che, costituendo errore revocatorio, avrebbe condotto il giudicante ad una omissione di pronuncia sui veri motivi di ricorso. Osserva che con riguardo ai motivi nn. IV, V e VI trattati congiuntamente dalla sentenza impugnata questa Corte ha anzitutto rilevato che la Corte d’Appello, ‘disattendendo la difforme tesi dell’impugnante’, avrebbe ‘ ritenuto che il senso della pattuizione, associato ai restanti patti col fine di bilanciare i contrapposti interessi economici, fosse nel senso di consentire alla NOME COGNOME di apporre sì all’esterno un simbolo tra quelli elencati , scelto a sua discrezione, purché
però accompagnato dall’apposizione, all’interno e nel packaging, del nome per esteso ‘; e, svolto questo rilievo, ha aggiunto che ‘ il nucleo essenziale della censura è nel suo complesso costituito dall’affermazione che l’art. 3 dell’accordo del 1979 avrebbe invece comportato la possibilità per la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di utilizzare all’esterno dei propri prodotti, sempre e senza condizioni, uno qualunque dei simboli detti ‘, vale a dire i segni ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘, ‘M. RAGIONE_SOCIALE‘, ‘RAGIONE_SOCIALE‘, ‘MV’ e ‘V’ .
Invece, osserva la ricorrente, essa non ha mai contestato che il diritto di usare i simboli predetti fosse subordinato una specifica condizione e cioè che all’interno del packaging fosse presente il marchio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; le proprie censure riguardavano il diritto della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di utilizzare all’esterno dei propri articoli di pelletteria, anche contestualmente, i segni elencati nell’art. 3, pur alla condizione mai messa in dubbio dalla ricorrente -che all’interno dei prodotti fosse apposto il nome per esteso ‘NOME COGNOME‘.
Si tratterebbe quindi, secondo parte ricorrente, di un errore revocatorio emergendo una radicale divergenza tra due rappresentazioni dello stesso oggetto, la cui decisività è così spiegata: ‘ Si tratta altresì di un errore la cui decisività appare innegabile: un evidente nesso causale intercorre, infatti, tra l’errore e la decisione assunta; si è cioè di fronte a un errore tale per cui, ove l’errata lettura/percezione/rievocazione del motivo non avesse avuto luogo, la pronuncia sarebbe stata differente, perché la corretta percezione di ciò che è stato realmente scritto nel ricorso avrebbe consentito al giudicante di rilevare le forti incongruenze e le illogicità che caratterizzano la sentenza d’appello in parte qua’ . Rileva inoltre che la decisione così assunta, qualora l’errore revocatorio non fosse stato commesso o venisse eliminato, non si potrebbe reggere su altre autonome ragioni espresse in sentenza.
2.- Il motivo è inammissibile.
2.1.Si premette che l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. consiste: a) nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte (Cass. SU n. 20013 del 19/07/2024)
2.2.- Nella ordinanza impugnata, invero, questa Corte incorre in una svista quando afferma che ‘ il nucleo essenziale della censura è nel suo complesso costituito dall’affermazione che l’art. 3 dell’accordo del 1979 avrebbe invece comportato la possibilità per la RAGIONE_SOCIALE di utilizzare all’esterno dei propri prodotti, sempre e senza condizioni, uno qualunque dei simboli detti ‘; mentre nel ricorso per cassazione, in realtà la RAGIONE_SOCIALE ha affermato che la clausola contrattuale avrebbe dovuto interpretarsi nel senso che ella poteva usare congiuntamente tutti i simboli.
2.3.- Tuttavia, la parte ricorrente non spiega la decisività di questa svista, limitandosi a una mera petizione di principio affermando che vi sarebbe un evidente nesso causale tra l’errore e la decisione assunta; e ciò perché la corretta percezione di ciò che è stato realmente scritto nel ricorso avrebbe consentito al giudicante di rilevare le forti incongruenze e le illogicità che caratterizzano la sentenza d’appello in parte qua.
2.4.- Così non è, perché i motivi di ricorso sono stati respinti sul rilievo che la Corte territoriale aveva dato una determinata interpretazione del contratto (e cioè che dei simboli se ne poteva utilizzare soltanto uno all’esterno con aggiunto nel packaging il marchio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) logicamente motivata e che la parte non avesse spiegato, nel ricorso, quali regole di ermeneutica la Corte di merito avrebbe violato, limitandosi a proporre la sua interpretazione alternativa, ‘ cosa notoriamente inammissibile in cassazione ‘ (pag. 10 ordinanza impugnata).
L’errore di lettura, pertanto, non verte direttamente sul contenuto della censura (erronea interpretazione del contratto), ma su quale sarebbe stata la interpretazione alternativa da dare (secondo la ricorrente) alla clausola contrattuale; dal momento che si tratta pur sempre di due interpretazioni alternative del contratto (quella data dalla Corte di merito e quella proposta dal ricorrente) restano ugualmente valide le considerazioni rese da questa Corte di legittimità, la quale si è pronunciata sul punto, affermando che non è spiegato in ricorso come e perché le regole di ermeneutica sarebbero state violate e che la parte si è limitata a proporre una diversa ed alternativa interpretazione della clausola contrattuale; nell’ordinanza impugnata la Corte si è attenuta alla consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale per mettere in discussione la interpretazione contrattuale data dal giudice di merito occorre far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., e a tal fine il ricorrente non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni
illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. n. 9461 del 09/04/2021; n. 28319 del 28/11/2017).
L’errore denunciato difetta quindi dell’indispensabile requisito di essenzialità e decisività.
Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo non ricorrendo invece i presupposti per applicare l’art. 96 III e IV comma, c.p.c. avendo la parte effettivamente evidenziato una svista nella ordinanza de quo pur traendone conclusioni erronee in punto di diritto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, euro 200,00 per spese non documentabili oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26/09/2024.