Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4495 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4495 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20480/2023 R.G. proposto da:
COGNOME domiciliato all’indirizzo Pec del difensore, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al ricorso.
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ricorrente – contro
NOMECOGNOME domiciliato all’indirizzo Pec del difensore, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME giusta procura speciale allegata al controricorso.
–
contro
ricorrente – avverso la SENTENZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE n. 6124/2023 depositata il 01/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/11/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che
COGNOME NOME, creditore per i propri compensi per l’attività svolta quale commercialista, della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, la convenne in giudizio avanti al Tribunale di Lucca insieme alla RAGIONE_SOCIALE per sentir dichiarare l’inefficacia ex art. 2901 cod. civ. dell’atto di vendita della nuda proprietà di alcuni immobili stipulato tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
1.1. Il Tribunale di Lucca accolse la domanda del dr. COGNOME e la sentenza fu appellata da RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME legale rappresentante della società, anche in proprio.
La Corte d’appello di Firenze rigettò il gravame e condannò i due appellanti anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ.
COGNOME COGNOME nelle sue precisate qualità, impugnò per cassazione la sentenza della Corte d’Appello di Firenze.
Avverso la sentenza n. 6124/2023, pronunciata dalla Corte di Cassazione, COGNOME COGNOME propone ora ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391 -bis c.p.c., affidato ad un unico motivo.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Considerato che
Con un unico motivo il ricorrente denuncia ‘Errore sul fatto art. 395, n. 4 cod. proc. civ. in relazione al motivo II (omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti) del ricorso per cassazione’.
Lamenta quanto segue: ‘Il secondo motivo del ricorso è stato ritenuto inammissibile sia ex art 348 bis c.p.c. sia perché censura
la valutazione delle prove. Ci preme evidenziare che il motivo dedotto riguardava l’omesso, o l’esame incompleto o incoerente o illogico, di un mezzo di prova di un fatto storico, decisivo della controversia e, segnatamente, della visura catastale del 17.10.2007, allegata alla perizia di stima del Geom. COGNOME (prodotta in primo grado da RAGIONE_SOCIALE e riprodotta in appello da RAGIONE_SOCIALE, che comunque qui si produce ancora) che non è stata reperita e pertanto non è stata oggetto di specifica valutazione. Infatti su questo punto si legge nella sentenza della Corte di Appello a pagina 4, punto 6, penultimo cpv : ‘E’ rimasto dunque sfornito di prova l’assunto degli appellanti secondo il quale RAGIONE_SOCIALE nonostante la stipula dell’atto di vendita immobiliare revocando, sarebbe rimasta nel possesso di terreni di valore ampiamente superiore al credito vantato dal COGNOME; specie considerando che dalla predetta visura risulta trattarsi di tre terreni, due indicati quali seminativo irriguo arborato e il terzo bosco ceduo, il cui reddito dominicale è pari, rispettivamente, a euro 12,79, euro 40,00 e euro 0,45, dunque beni di valore assolutamente esiguo’. Il mancato reperimento della perizia di parte del Geom. COGNOME (prodotta in primo grado ed in appello) si risolve non già in un giudizio sulla valutazione delle prove ma in un errore di fatto allorquando si afferma l’inesistenza agli atti del processo di un documento che invece è stato prodotto in causa (così Cass. 04/5475, 01/6758, 00/6319, ovvero sull’incompleta valutazione di un documento di causa cfr. Cass.95/4431). L’ inesatta percezione del Giudice di legittimità di circostanze in contrasto con i documenti del fascicolo processuale comporta il mancato riconoscimento della prova fornita dagli appellanti circa il valore ampiamente satisfattivo del bene residuo rispetto al credito azionato. E quindi la sussistenza del nesso causale tra l’errore e la decisione. Alla stregua delle suddette motivazioni si osserva che difettano anche i presupposti della mala fede ovvero
della colpa grave necessari ai fini della condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3. Riteniamo infatti che non vi sia stato alcun abuso del processo sotto il profilo del non potere vantare alcuna plausibile ragione’.
1.1. Il motivo è manifestamente inammissibile.
In primo luogo, perché fa riferimento ad una perizia di stima, della quale non risulta chiara la sorte, dato che l’odierno ricorrente nulla dice sul punto, in patente violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., e tenuto conto che la sentenza qui impugnata per revocazione non ne fa menzione alcuna, limitandosi ad argomentare soltanto su una visura catastale.
In secondo luogo, perché invoca in thesi l’esistenza di un errore di fatto, cioè di percezione del tenore del motivo, ma in realtà censura un preteso errore di valutazione del significato del motivo ed in definitiva il suo apprezzamento in iure (peraltro del tutto corretto). Si imputa alla decisione impugnata di avere commesso un errore di diritto nella valutazione di riscontro dei requisiti di ammissibilità del motivo.
Con la sentenza qui impugnata, infatti, questa Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso, con cui l’allora ricorrente lamentava che la sentenza di appello aveva trascurato di attribuire il giusto peso, dunque la rilevanza, ad una visura catastale, rilevando per un verso che l’esistenza sul punto di due precedenti decisioni di merito conformi in punto di fatto, con ogni conseguenza ai sensi dell’art. 348 -ter cod. proc. civ., per altro verso che il motivo sostanzialmente sollecita una nuova valutazione della prova, preclusa in sede di legittimità (‘Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto,
nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione’: v. tra le tante Cass., 22/11./023, n. 32505; Cass., 23/04/2024, n. 10927).
La prospettazione del motivo non è in alcun modo riconducibile al n. 4 dell’art. 369 c.p.c.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
Sussistono i presupposti perché il ricorrente venga condannato, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., al pagamento, a favore del controricorrente, di una somma equitativamente determinata, nella misura parimenti indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, della somma di euro 4.000,00, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza