Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20549 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20549 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18363-2023 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Centrale dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 6909/2023 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 08/03/2023 R.G.N. 30149/2020;
Oggetto
R.G.N. 18363NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 30/05/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/05/2024 dal AVV_NOTAIO.
R.G. 18363/23 RILEVATO CHE
Con ordinanza n.6909/23 questa Corte dichiarava inammissibile il ricorso presentato da COGNOME NOME avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 2330/19 che aveva respinto la domanda svolta nei confronti dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto la regolarizzazione della propria posizione contributiva in relazione a un affermato rapporto di lavoro subordinato intercorso con il Comune di Conversano.
Riteneva questa Corte che, ferma la mancata prova di un rapporto di lavoro subordinato con il Comune di Conversano, i motivi presentassero una mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei; vi era poi un difetto di localizzazione dei documenti invocati in ricorso, poiché in esso non si dava atto che erano stati prodotti in copia e nemmeno se ne segnalava la presenza entro il fascicolo d’ufficio del giudice d’appello; ancora, le censure alla valutazione del materiale istruttorio da parte de l giudice d’appello era inammissibili, al di fuori dei limiti dell’art.360, co.1, n.5 c.p.c.
Avverso l’ordinanza ricorre per revocazione COGNOME NOME, proponendo due motivi, illustrati da memoria.
L’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
All’adunanza camerale il collegio riservava il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, COGNOME NOME deduce erronea percezione dei fatti, in particolare relativi ad antefatti processuali riportati dall’ordinanza e alla lettura degli atti processuali delle sentenze di merito dei pregressi gradi. Il
motivo fa derivare da tale errata percezione conseguenze per sé pregiudizievoli, ovvero: la Corte avrebbe erroneamente ritenuto insussistente il rapporto di lavoro subordinato con il Comune di Conversano, mentre tale circostanza non era emersa nel processo . Il motivo censura l’ordinanza anche laddove ha concluso per l’inammissibilità della censura proposta ai sensi dell’art.115 c.p.c. Si deduce che era stata provata documentalmente la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato con il Comune. Il motivo adduce altresì errore di fatto laddove la sentenza aveva escluso che il ricorso localizzasse i documenti su cui si fondava.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce che l’ordinanza avrebbe violato i diritti fondamentali previsti dalla Convenzione EDU, non avendo proceduto ad un esame molto attento e rigoroso di ogni elemento in fatto, e in particolare di vari elementi probatori allegati da cui risultava l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con il Comune di Conversano.
Il primo motivo è inammissibile.
Va premesso che l’errore ha rilevanza a fini revocatori solo se sia essenziale e decisivo, poiché su di esso poggia la decisione (Cass.4678/22). Esso inoltre deve vertere su un fatto che non abbia costituito punto controverso sul quale sia caduta la decisione.
Nel caso di specie difettano entrambi i requisiti.
I pretesi errori di fatto dedotti col motivo attengono tutti a punti oggetto della decisione di cui si chiede la revocazione.
Quanto al requisito della decisività, esso manca riguardo al dedotto errore sulla affermata insussistenza della localizzazione degli atti: tale errore, quand’anche in ipotesi esistente, è irrilevante poiché la sentenza è basata su un’altra e autonoma ratio di inammissibilità, ovvero la promiscuità dei motivi
contenenti plurime censure riconducibili a più delle ipotesi enumerate all’art.360 c.p.c. (v. Cass.4678/22 circa l’irrilevanza dell’errore ove la sentenza sia basata su un’altra ratio decidendi non attinta da errore).
I restanti argomenti del primo motivo deducono non errori di fatto ma presunti errori di giudizio compiuti, e quindi risultano ancora una volta inammissibili. Invero, costituisce errore di giudizio quello che verte sulla cattiva applicazione dell’art.115 c.p.c. fatta dall’ordinanza impugnata; è errore di giudizio quello secondo cui erroneamente sarebbe stato ritenuto non provato il rapporto di lavoro subordinato, quando esso risultava invece dimostrato alla luce delle prove acquisito al processo.
Occorre ricordare che, sebbene nominato come errore di fatto, l’errore nella valutazione degli atti processuali sottoposti al controllo della Corte di cassazione, è errore di giudizio e non di fatto, risolvendosi al più in un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali (Cass.5326/23).
Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
Premesso che non si verte in tema di revocazione ex art.391quater c.p.c., poiché non è intervenuta alcuna sentenza della Corte EDU che abbia riconosciuto come contrario alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali ovvero ad uno dei suoi Protocolli il contenuto dell’ordinanza qui impugnata, il motivo in realtà si limita a dedurre un errore di giudizio: l’ordinanza avrebbe dovuto aver riguardo ad alcuni elementi istruttori trascurati. Poiché si è al di fuori dell’er rore di fatto, per essere la selezione degli elementi istruttori attività rientrante nella valutazione del giudice, non sussistono i presupposti della revocazione.
Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna alle spese secondo soccombenza.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio di cassazione, che si liquidano in €2500 per compensi, €200 per esborsi, oltre 15% per spese generali, e accessori di legge; dà atto che, attesa l’inammissibilità, sussiste il presupposto processuale di applicabilità dell’art.13, co.1 quater, d.P.R. n.115/02, con conseguente obbligo in capo al ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso; Roma, deciso all’adunanza camerale del 30.5.24