Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7584 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7584 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 138/2023 R.G. proposto da: COGNOME e COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall ‘ avv. NOME COGNOME con domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente -contro
RAGIONE_SOCIALE quale mandataria in nome e per conto di RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall ‘ avv. NOME COGNOME domicilio digitale: NOME. , con domicilio eletto presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME, EMAIL
avverso l ‘ ordinanza della Corte Suprema di cassazione n. 15165/2022, pubblicata in data 12 maggio 2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 gennaio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono, sulla base di un unico motivo, nei confronti di BPER Credit Management S.C.p.A., ricorso per revocazione ex art. 391bis cod. proc. civ. avverso l ‘ ordinanza di questa Corte n. 15165/2022, con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione dagli stessi proposto avverso la sentenza pronunciata dalla Corte d ‘ appello di Catanzaro n. 375/2018.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Questi i fatti delle precedenti fasi del giudizio, come esposti nella ordinanza oggetto di istanza di revocazione.
2.1. NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero in giudizio, avanti il Tribunale di Catanzaro, la Banca Popolare di Crotone (cui subentrò la Banca Popolare del Mezzogiorno S.p.a.), deducendo: - di avere stipulato in data 3/3/2000 un contratto per la negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini su strumenti finanziari regolato su conto corrente; - di avere aderito in data 19/11/2001 al servizio di trading on line offerto dalla banca e gestito dalla Banca Popolare dell ‘ Emilia Romagna; - di avere acquistato, in data 16/12/2003, n. 190.000 azioni Parmalat Fin al controvalore presunto di € 139.650 come tale rientrante nella disponibilità del proprio conto corrente, pari a € 140.592,82; - di avere appreso che il controvalore
effettivo delle azioni era, invece, di € 190.389,50 e che in ragione di tanto si era creato uno scoperto di conto corrente pari a € 49.796,00; - di avere ricevuto dalla banca l ‘ invito a sanare la passività del conto con lettera del 5/1/2004; chiesero: a) dichiararsi la nullità ex art. 1418 cod. civ. dell ‘ ordine di acquisto on line di 190.000 azioni Parmalat Fin per violazione dell ‘ art. 21, comma 1, lett. e) , T.U.F. impositivo dell ‘ obbligo di sana e prudente gestione, in forza del quale la banca avrebbe dovuto rifiutare l ‘ esecuzione dell ‘ ordine di acquisto di titoli regolato su conto corrente in mancanza di adeguata provvista e di apposito contratto di finanziamento scritto; b) conseguentemente condannarsi la banca alla restituzione del capitale investito ex art. 2033 cod. civ., pari a € 140.593,00; c) dichiararsi l’ inesistenza del credito preteso dalla banca pari all ‘ammontare dello scoperto di € 49.796,00, oltre interessi. d) dichiararsi, in subordine, l ‘ inadempimento della banca con la conseguente condanna della stessa al risarcimento del danno, quantificabile nello scoperto, oltre maggior danno nella misura ritenuta di giustizia.
La Banca, costituendosi in giudizio, replicò che: il COGNOME era soggetto dedito a investimenti rischiosi; aveva effettuato un ordine di acquisto on line di azioni Parmalat Fin del tipo «prezzo al meglio» ed il prezzo indicato dal sistema informatico era, per tal motivo, da intendersi meramente indicativo; il sistema aveva segnalato all ‘ investitore l ‘ inadeguatezza dell ‘ operazione «per dimensione», ma, nonostante ciò, il Mungo lo aveva forzato confermando l ‘ ordine d ‘ acquisto.
Il Tribunale adito, con sentenza del 12 giugno 2012, dichiarò l ‘ inadempimento della banca agli obblighi su di essa gravanti in base al contratto predetto, ma rigettò le altre domande.
Osservò che la violazione dell ‘ obbligo sancito dall ‘ art 21, comma 1, lett. e) , d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria), nel testo applicabile ratione temporis -secondo il quale la banca deve «e) svolgere una gestione indipendente, sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati» -non integrava motivo di nullità dell ‘ ordine, ma piuttosto mero inadempimento; dichiarò la Banca inadempiente, per non essersi rifiutata di dare esecuzione all ‘ ordine di acquisto di titoli regolato su conto corrente per un controvalore superiore alle somme disponibili sul conto in assenza di un contratto di finanziamento, ma negò che costituisse danno risarcibile lo scoperto di conto corrente (€ 49.796,00), dal momento che gli attori non avevano chiesto la risoluzione del contratto ed avevano con ciò manifestato una volontà conservativa dell ‘ acquisto dei titoli Parmalat Fin rimasti, infatti, nella loro titolarità; escluse, altresì, che il danno patito dagli attori potesse essere rapportato agli interessi sulle somme anticipate in via di mero fatto dalla banca per effettuare l ‘ acquisto delle azioni, sia perché gli attori non avevano dedotto di avere corrisposto detti interessi, sia perché, a monte, la banca non aveva titolo per pretenderli in mancanza di un contratto di finanziamento scritto; negò, infine, il diritto alla restituzione dell ‘ attivo presente sul conto al momento dell ‘operazione di acquisto delle azioni (€ 140.593), avendo gli attori ammesso nell ‘ atto di citazione l ‘ intendimento d ‘ investire la loro disponibilità per intero; ragione per la quale doveva presumersi che, anche laddove la banca avesse rifiutato l ‘ esecuzione dell ‘ ordine di acquisto, essi avrebbero effettuato un nuovo ordine di acquisto per un valore corrispondente alla loro disponibilità.
2.2. La Corte d ‘ appello di Catanzaro ha rigettato il gravame interposto dagli originari attori, confermando integralmente la sentenza impugnata.
2.2.1. In motivazione ha anzitutto rilevato che gli appellanti, in
violazione dell ‘ art. 345 cod. proc. civ., avevano inammissibilmente modificato la domanda atteso che, mentre in primo grado avevano quantificato il danno in misura corrispondente allo scoperto di conto corrente (€ 49.796), con l’ atto d ‘ appello lo avevano indicato in importo pari al capitale esistente sul conto corrente interamente investito (€ 140.593). Ha parimenti rilevato l’ inammissibilità, in quanto nuova, della domanda tendente all ‘ accertamento della nullità del contratto di negoziazione e trasmissione degli ordini su strumenti finanziari, con i conseguenti obblighi restitutori, per difetto di sottoscrizione leggibile da parte del funzionario di banca incaricato. Ha ancora escluso potesse dedursi in appello la violazione dei generali doveri informativi gravanti sull ‘ intermediario finanziario poiché non allegata in primo grado e da ritenere comunque insussistente, essendo pacifico tra le parti che il sistema informatico avesse segnalato all ‘ investitore l ‘ inadeguatezza dell ‘ operazione. Ha rilevato il giudicato interno formatosi: a) sulla non configurabilità di un vizio genetico del contratto, causa di nullità, in dipendenza della violazione del dovere della banca di rifiutare l ‘ acquisto on line delle azioni Parmalat Fin per insufficiente disponibilità sul conto degli investitori e in assenza di un preventivo e collegato contratto di finanziamento; b) sulla sussistenza, per contro, in ragione di detta violazione, del dedotto inadempimento della banca, che sul punto non aveva proposto appello incidentale, restando circoscritto ai danni risarcibili il tema devoluto nel giudizio di secondo grado.
2.2.2. Passando, poi, ad esaminare il primo motivo di gravame, relativo alla pretesa risarcitoria riferita allo scoperto di conto corrente, rigettata in primo grado per la mancanza di domanda di risoluzione del contratto, lo ha ritenuto inammissibile sul rilievo che, essendo esso basato sul contenuto di missive del 15/1/2004 e del 18/3/2004 con le quali gli appellanti avevano recisamente rifiutato l ‘ operato della
banca, e dunque su circostanze anteriori alla instaurazione della lite, risultava inidoneo ad attingere la ratio decidendi , fondata sulla mancata proposizione di domanda di risoluzione del contratto di acquisto di azioni. La corte ha, peraltro, soggiunto che al momento dell ‘ instaurazione della lite il danno lamentato dagli attori non era neppure attuale, ma solo ipotetico, posto che essi non avevano sanato lo scoperto di conto corrente venutosi a creare per acquistare le azioni e che la banca, all ‘ epoca, aveva solo manifestato la volontà di agire per il recupero dello scoperto di conto corrente (azione dall ‘ esito incerto perché fondata su un ‘ anticipazione di denaro effettuata in assenza di regolare contratto di finanziamento scritto).
2.2.3. Analogo esito ha poi avuto l ‘ esame del secondo e del terzo motivo, entrambi relativi alla negata fondatezza della pretesa volta alla restituzione, a titolo di risarcimento, dell ‘ attivo presente sul conto al momento in cui era stata ordinata l ‘ operazione di acquisto dei titoli Parmalat Fin; sul punto, la Corte ha svolto tre considerazioni: -la prima volta a confermare la validità del ragionamento al riguardo svolto dal primo giudice (secondo cui gli attori non avevano mai messo in discussione la volontà di acquistare le azioni Parmalat e di investire in tale obiettivo l ‘ intero capitale disponibile sul conto, per cui, quand ‘ anche la banca avesse correttamente rifiutato di eseguire l ‘ ordine per quella entità, doveva presumersi che l ‘ attore avrebbe inoltrato un nuovo ordine per una quantità inferiore di titoli, comunque equivalente in valore all ‘ attivo del suo conto); -la seconda, che tale ragionamento, pur corretto, era perfino ultroneo dal momento che si trattava di questione estranea al thema decidendum , limitato alla domanda di nullità dell ‘ ordine di acquisto con conseguente diritto alla restituzione del capitale investito e all ‘ ulteriore domanda di risarcimento dei danni da inadempimento nella misura corrispondente allo ‘ scoperto ‘ venutosi a creare; il
danno di cui gli attori avevano chiesto il ristoro coincideva, dunque, con lo scoperto di conto corrente e non già con l ‘ intero capitale; -ha infine ulteriormente rilevato che la perdita del capitale investito non era causalmente riconducibile alla condotta della banca, ma alla perdita di valore delle azioni causata dal crac Parmalat; perdita che il Mungo avrebbe potuto evitare se solo avesse rinunciato all ‘ acquisto on line delle azioni dopo la segnalazione dell ‘ inadeguatezza dell ‘ operazione da parte del sistema informatico.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, articolando cinque motivi, cui ha resistito BPER Credit Management S.C.p.A.RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di BPER Banca S.p.a., depositando controricorso.
Con la ordinanza n. 15165 del 2022 qui impugnata, questa Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, motivando che:
il primo motivo di impugnazione, con cui si attingeva la sentenza d ‘ appello nella parte in cui aveva ritenuto inammissibile e, comunque, infondato il motivo d ‘ appello con cui ci si doleva del mancato accoglimento della pretesa risarcitoria, era da ritenersi inammissibile, per aspecificità, perché non era volto a censurare idoneamente la rilevata inammissibilità del motivo di gravame e, dunque, il vizio processuale, ma era piuttosto incentrato su argomenti che si muovevano sul piano del diritto sostanziale;
il secondo ed il terzo motivo, congiuntamente esaminati, con i quali si censurava la sentenza d ‘ appello per avere rigettato il secondo ed il terzo motivo di appello, con i quali era stato confermato il rigetto della pretesa risarcitoria commisurata all ‘ attivo presente sul conto al momento in cui era stata ordinata l ‘ operazione di acquisto dei titoli Parmalat Fin, erano parimenti inammissibili perché non investivano tutte le argomentazioni su cui poggiava la sentenza della Corte d ‘ appello, ma soltanto quella con cui la Corte aveva rilevato che
l ‘ infondatezza della pretesa derivava anche ‹‹ dal fatto che la perdita del capitale investito non era causalmente riconducibile alla condotta della banca, ma alla perdita di valore delle azioni causata dal crac Parmalat; perdita che il Mungo avrebbe potuto evitare se solo avesse rinunciato all ‘ acquisto on line delle azioni dopo la segnalazione dell ‘ inadeguatezza dell ‘ operazione da parte del sistema informatico ›› ;
il quarto ed il quinto motivo erano allo stesso modo inammissibili, in quanto introducevano temi, ‹‹ quali quello della nullità sotto vari profili del contratto a base dell ‘ esecuzione dell ‘ ordine di acquisto, che espressamente la corte d ‘ appello aveva ritenuto preclusi: a) dal giudicato interno formatosi sulla non configurabilità di un vizio genetico del contratto, causa di nullità, in dipendenza della violazione del dovere della banca di rifiutare l ‘ acquisto on line delle azioni Parmalat Fin per insufficiente disponibilità sul conto degli investitori e in assenza di un preventivo e collegato contratto di finanziamento; b) dalla l ‘ inammissibilità, in quanto nuova, della domanda tendente all ‘ accertamento della nullità del contratto per difetto di sottoscrizione leggibile da parte del funzionario di banca incaricato ›› .
In esito al deposito di proposta di definizione accelerata ex art. 380bis cod. proc. civ., con cui è stata prospettata l ‘ inammissibilità del ricorso per revocazione, il difensore dei ricorrenti ha depositato istanza di decisione.
Il ricorso è stato, quindi, avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell ‘ art. 380bis .1. cod. proc civ., in prossimità della quale i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
Il Collegio si è riservato il deposito nel termine di sessanta giorni dalla decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Nell ‘ impugnare l ‘ ordinanza di questa Corte i ricorrenti
denunciano, ai fini della revocazione, un errore di fatto ‹‹ consistente in un errore di percezione e/o in una svista materiale che ha indotto il Giudicante a supporre l ‘ inesistenza di un fatto (il giudicato) che risulta incontestabilmente accertato alla stregua degli atti di causa ›› .
Evidenziano, nello specifico, che:
è fatto non più contestabile, perché passato in giudicato, che la perdita dell ‘ attivo di conto corrente, pari a circa 140.000,00 euro, ‘ era da addebitare alla Banca che avrebbe dovuto, semplicemente, rifiutare l ‘ operazione relativa ai titoli Parmalat stante l ‘ insufficienza della provvista … e non impiegare l’ attivo disponibile in tale operazione con obbligo in capo alla Banca di risarcire il danno patito dai ricorrenti consistente nella perdita dell ‘ attivo, interessi e rivalutazione monetaria ‘ ;
‘ il contratto di negoziazione, ricezione, trasmissione di ordini su strumenti finanziari è nullo e la produzione in giudizio del contratto da parte della Banca non rende validi retroattivamente gli ordini d ‘ acquisto e le operazioni di compravendita de quibus , che richiedono a monte (e non ex post ) un valido contratto quadro, con la conseguente necessità di restituzione della somma impiegata al cliente e dei titoli alla banca ‘ ;
la Banca Popolare di Crotone ‘ risultava gravemente inadempiente agli obblighi su di essa gravanti e discendenti dal presunto contratto di negoziazione di strumenti finanziari e, quindi, la controricorrente Banca è obbligata al risarcimento del danno che deve essere integrale ‘ , dovendo il risarcimento comprendere una somma corrispondente alla diminuzione subita dal patrimonio (danno emergente e lucro cessante).
Per altro verso, i ricorrenti insistono nell ‘ accoglimento integrale dell ‘ originario ricorso per cassazione, denunziando l ‘ ‘ inammissibilità dell ‘ appello incidentale e passaggio in giudicato ‘ delle statuizioni della
sentenza di primo grado non impugnate.
Sostengono, al riguardo, che i capi della sentenza di primo grado, sfavorevoli alla Banca, avrebbero dovuto essere impugnati con appello incidentale e che, in difetto di tempestivo gravame nei termini di legge, gli stessi devono intendersi passati in giudicato; in particolare, rilevano che, nel corso del giudizio di primo grado, era risultato: 1) l ‘ inadempimento della Banca agli obblighi sulla stessa gravanti in base al contratto di negoziazione di strumenti finanziari, considerato che la banca intermediaria non avrebbe potuto dare corso all ‘ operazione che superava la disponibilità presente sul conto corrente, in assenza di una apertura di credito sul conto corrente e di un rapporto di finanziamento; 2) i contratti di finanziamento relativi all ‘ acquisto di strumenti finanziari dovevano rivestire la forma scritta, a pena di nullità ex art. 23 TUF, e dovevano essere contenuti nel contratto quadro relativo alla negoziazione dei titoli ed indicare gli elementi di cui agli artt. 30 e 47 del Reg. Consob n. 11522/1998, mentre, nella specie, non era stato allegato alcun contratto scritto con tali requisiti; 3) l ‘ esecuzione dell ‘ ordine impartito dal COGNOME non rispettava le istruzioni di utilizzo del servizio di trading on line fornite ai clienti della Banca; 4) la condotta della Banca era stata inadempiente anche con riguardo alle informazioni rese al cliente nel momento in cui aveva impartito l ‘ ordine di acquisto, in quanto la Banca si era limitata, tramite il servizio di trading on line , ad informare l ‘ investitore dell ‘ inadeguatezza dell ‘ operazione richiesta per dimensione, ma non aveva consentito al cliente di comprendere che l ‘ operazione era di valore superiore alla sua disponibilità e, quindi, di valutarne a pieno le conseguenze economiche.
Ribadiscono, quindi, che la violazione dei doveri da parte dell ‘ intermediario riguardanti la fase successiva alla stipulazione del contratto d ‘ intermediazione, oltre a generare obblighi risarcitori in
forza dei principi generali sull ‘ inadempimento contrattuale, poteva anche condurre alla risoluzione del contratto di intermediazione finanziaria.
Il ricorso, come già evidenziato con la proposta di definizione accelerata, non si sottrae alla declaratoria d ‘ inammissibilità sotto tutti i profili denunciati.
3.1. Il motivo di revocazione, come chiaramente emerge dall ‘ illustrazione del presunto errore ascrivibile all ‘ ordinanza qui impugnata, è inidoneo ad integrare l ‘ errore di fatto di cui al n. 4 dell ‘ art. 395 cod. proc. civ., atteso che ciò che con la sua prospettazione si imputa al Collegio che ha deciso il ricorso ordinario risulta essere un preteso errore di diritto nella individuazione dell ‘ esistenza del giudicato interno.
Ora, va al riguardo osservato che la revocazione ex art. 391bis cod. proc. civ. è ammissibile solamente per i vizi ex art. 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e, come questa Corte ha avuto più volte modo di affermare in tema di revocazione delle sentenze della Corte Suprema di Cassazione, la configurabilità dell ‘ errore revocatorio presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull ‘ affermazione dell ‘ esistenza o inesistenza di un fatto che la realtà processuale, quale documentata in atti, induce ad escludere o ad affermare; non anche quando, come nella specie, si assume che la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall ‘ area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass., sez. 2, 22/06/2007, n. 14608; Cass., sez. 3, 28/06/2005, n. 13915; Cass., sez. 2, 15/05/2002, n. 7064 ).
L ‘ errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione
necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell ‘ errore di giudizio.
Basti, in ogni modo e al riguardo, l’integrale richiamo alla puntualizzazione degli approdi della giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, sul punto, come operata da Cass., Sez. U., ord. 19/07/2024, n. 20013, in motivazione.
3.2. Nella specie, gli odierni ricorrenti censurano l ‘ impugnata ordinanza dolendosi che si sia stato ritenuto inesistente un giudicato che, invece, risultava ‘ incontestabilmente accertato alla stregua degli atti di causa ‘ e richiamano, a pag. 9 del ricorso, fatti che, secondo il loro assunto difensivo, sarebbero stati ormai accertati definitivamente nel giudizio di merito.
Emerge, invero, evidente che si è in presenza di una mera doglianza circa il corretto intendimento da parte di questa Corte della portata della sentenza di primo grado, nonché della censura svolta in sede di appello, e pertanto, in tesi difensiva, in realtà di un errore di interpretazione e valutazione degli atti, e non già di un vizio revocatorio di percezione ex n. 4 dell ‘ art. 395 cod. proc. civ., dovendosi ribadire che l ‘ errore revocatorio presuppone un errore di fatto, il quale si configura ove la decisione sia fondata sull ‘ affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall ‘ area degli errori revocatori la sindacabilità di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle medesime (Cass., sez. U, 19/07/2024, n. 20013; Cass., sez. U, 11/04/2018, n. 8984; Cass., sez. U, 27/12/2017, n. 30994), idonea ad integrare semmai errori di giudizio
formatisi sulla base di una valutazione (Cass., sez. 1, 14/8/2020, n. 17179; Cass., sez. 1, 26/9/2013, n. 22080; Cass., sez. L, 6/11/2012, n. 19071; Cass., sez. 2, 22/06/2007, n. 14608; Cass., sez. 3, 28/06/2005, n. 13915; Cass., sez. 1, 30/3/1998, n. 3317).
A tale stregua, non può ritenersi in particolare sussistente l ‘ errore revocatorio allorquando la parte abbia, come nella specie, denunciato l ‘ erroneo accertamento dell ‘ esistenza di un giudicato (nel caso, interno) (Cass., sez. 6 – 5, 13/1/2015, n. 321; Cass., sez. 1, 25/6/2008, n. 17443; Cass., sez. U, 17/11/2005, n. 23242). Essendo destinato a fissare la ‹‹ regola ›› del caso concreto, esso partecipa infatti della natura dei comandi giuridici, e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma deve essere assimilata, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, all ‘ interpretazione delle norme giuridiche, sicché l ‘ erronea valutazione in ordine alla relativa esistenza -equivalendo ad ignoranza della regula iuris – rileva non quale errore di fatto bensì quale errore di diritto, risultando sostanzialmente assimilabile al vizio del giudizio sussuntivo consistente nel ricondurre la fattispecie ad una norma diversa da quella che reca invece la sua diretta disciplina, e quindi ad una falsa applicazione di norma di diritto (Cass., sez. 3, 29/3/2019, n. 8768; Cass., sez. 3, 29/11/2018, n. 30838; Cass., sez. U, 9/5/2008, n. 11501; Cass., sez. 3, 16/5/2006, n. 11356).
Ne segue che, anche se si potesse per un momento condividere la lettura degli atti processuali espressa dai ricorrenti, quello che si addebita a questa Corte non sarebbe un errore di fatto, bensì solo un error in iure in ordine all ‘ apprezzamento di un giudicato interno, come tale non deducibile ai sensi dell ‘ art. 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. in relazione all ‘ art. 391bis cod. proc. civ.
Tanto determina l ‘ inammissibilità del ricorso per revocazione.
Da tanto non può che discendere anche l ‘ inammissibilità delle
ulteriori considerazioni critiche svolte dai ricorrenti alle pagine da 17 a 36 del ricorso, finalizzate a ribadire sostanzialmente censure già svolte con la impugnazione decisa con l ‘ ordinanza n. 15165 del 2022 ed a rimettere in discussione anche l ‘ esito del giudizio di secondo grado svoltosi dinanzi alla Corte d ‘ appello di Catanzaro, definito con la sentenza n. 375/2018, poiché non è consentito reiterare istanze impugnatorie, già in precedenza avanzate con ricorso per cassazione e ormai decise in via definitiva con ordinanza di questa Corte.
5. La definizione del giudizio in conformità alla proposta ex art. 380bis cod. proc. civ., comporta l ‘ applicazione del terzo e del quarto comma dell ‘ art. 96 cod. proc. civ., come testualmente previsto dal citato art. 380bis, ultimo comma, cod. proc. civ., con determinazione delle somme oggetto delle rispettive condanne come in dispositivo.
Come chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 36069/2023, ‹‹r ichiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l ‘ art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., l ‘ art. 380bis cod. proc. civ. codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato, una ipotesi di abuso del processo, già immanente nel sistema processuale, giacché non attenersi alla delibazione del Presidente che trovi poi conferma nella decisione finale, lascia presumere una responsabilità aggravata sanzionabile con la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore a euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma, cod. proc. civ., ove, appunto il legislatore usa la locuzione ‹‹ altresì ›› ) (v. Cass., sez. U, 22/09/2023, n. 27195, anche per quanto riguarda la disciplina intertemporale) ›› .
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, in favore della controricorrente, della somma di euro 10.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge, nonché al pagamento, ai sensi dell ‘ art. 96, terzo comma, c.p.c., della ulteriore somma di euro 10.000,00 ed al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della ulteriore somma di euro 5.000,00.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione