Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6122 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6122 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 07/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21619/2023 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO DI INDIRIZZOMILANO, COGNOME NOMECOGNOME, RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso l’ ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE n. 9651/2023 depositata in data 11/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel giudizio di espropriazione immobiliare (n. 3955 del 2010 R.G. Esecuzioni del Tribunale di Milano) promosso contro NOME
REVOCAZIONE DI ORDINANZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE.
R.G. 21619/2023
COGNOME
Rep.
C.C. 13/1/2025
C.C. 14/4/2022
COGNOME, NOME COGNOME, coniuge separato dell’esecutata, propose opposizione, da lui stesso qualificata come opposizione ai sensi dell’art. 619 cod. proc. civ., avverso l’ordinanza del 25 giugno 2018. Con tale provvedimento il giudice dell’esecuzione aveva dichiarato inammissibile l’istanza (riqualificata come domanda ai sensi dell’art. 512 cod. proc. civ.) con cui il COGNOME aveva affermato di essere proprietario del bene staggito e alienato, chiedendo la sospensione dell’intera esecuzione e avanzando istanza di sequestro dell’immobile e del ricavato dalla vendita.
Il giudizio di merito si concluse con la sentenza del Tribunale di Milano n. 4119 del 10 luglio 2020 che dichiarò inammissibili le domande del COGNOME rilevando, essenzialmente, che il giudice dell’esecuzione aveva espressamente qualificato la domanda proposta dal COGNOME quale domanda svolta ai sensi dell’art. 512 cod. proc. civ., norma la quale prevede che le controversie distributive sono decise con ordinanza impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’art. 617, secondo comma, cod. proc. civ., cioè con lo strumento dell’opposizione agli atti esecutivi. Tale qualificazione, decisiva ai fini del principio dell’apparenza che regola le impugnazioni, ha carattere vincolante, mentre il COGNOME aveva optato per lo strumento dell’opposizione di terzi all’esecuzione.
Avverso tale pronuncia il COGNOME propose ricorso per cassazione affidato a tre motivi, nel cui giudizio rimasero intimati il Condominio di INDIRIZZO di Milano, l’ISP RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile da questa Corte con l’ordinanza 11 aprile 2023, n. 9651.
In tale provvedimento si è detto, tra l’altro, che il ricorso conteneva un’esposizione «confusa, frammentaria e lacunosa della vicenda processuale», posto che il Fiorenza si era dilungato «in una contorta esposizione delle vicende personali e processuali (per
giunta, di un processo esecutivo che nemmeno lo vede coinvolto come parte in senso stretto), frammista a proprie incidentali considerazioni, sovente non pertinenti al merito della controversia», per cui il ricorso era privo, in effetti, dell’esposizione sommaria dei fatti indicata dall’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. come requisito imprescindibile ai fini dell’ammissibilità.
Oltre a ciò, l’ordinanza n. 9651 del 2023 ha aggiunto che il ricorrente aveva omesso, nonostante «lo sviluppo incontrollato dell’esposizione», di confrontarsi con le specifiche rationes decidendi poste dal Tribunale a fondamento della decisione impugnata, posto che il COGNOME aveva insistito in un’inammissibile diversa lettura degli atti del processo.
Contro l’ordinanza n. 9651 del 2023 di questa Corte NOME COGNOME propone ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 391bis cod. proc. civ., con atto affidato a quattro motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede. Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 391bis e 395, n. 4), cod. proc. civ. per errore di fatto, oltre ad errata rilevazione della violazione dell’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., in tema di esposizione sommaria dei fatti di causa.
Il ricorrente rileva che il ricorso poi dichiarato inammissibile conteneva l’illustrazione delle ragioni per le quali il COGNOME si riteneva legittimato a svolgere l’opposizione di cui all’art. 619 cod. proc. civ., perché la sua ex moglie COGNOME gli aveva in un primo tempo firmato, e poi revocato, una procura speciale che lo autorizzava a chiedere la conversione del pignoramento del bene immobile appreso. Vi sarebbe, dunque, un errore revocatorio consistente nella non corretta percezione di quello che era il vero
contenuto del ricorso, che non era privo dell’esposizione sommaria richiesta dalla legge.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 391bis e 395, n. 4), cod. proc. civ. per errore di fatto, per omessa rilevazione del richiamo al contenuto dell’ordinanza 25 giugno 2018 emessa dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Milano.
Il motivo rileva di aver censurato, col ricorso dichiarato inammissibile, l’errata qualificazione, da parte del Tribunale di Milano, della controversia come controversia sulla ripartizione della somma ricavata, aggiungendo che il giudice milanese non aveva dato una specifica qualificazione al ricorso in opposizione presentato a suo tempo dall’odierno ricorrente. Il giudizio introdotto davanti al Tribunale, quindi, doveva ritenersi ritualmente instaurato, con obbligo di decidere sulle domande volte alla revoca della distribuzione della somma. Vi sarebbero le ragioni, pertanto, per revocare l’ordinanza di inammissibilità emessa da questa Corte.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 391bis e 395, n. 4), cod. proc. civ. per errore di fatto, a causa dell’omessa rilevazione del contenuto della domanda originariamente avanzata nel ricorso davanti al Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Milano.
Secondo il ricorrente non sarebbe vero che il primo motivo del precedente ricorso non riportava il contenuto della domanda avanzata in origine, perché in quella sede era stato richiamato il ricorso in opposizione ex art. 619 cod. proc. civ. e le relative domande. L’ordinanza impugnata sarebbe quindi incorsa in un errore revocatorio, non considerando che lo scopo dell’opposizione «era quello di bloccare la procedura esecutiva e quindi anche la distribuzione a fronte delle plurime azioni oppositive messe in atto».
Con il quarto motivo di ricorso, che non è propriamente tale, si richiamano tutte le questioni di merito non decise in causa in quanto ritenute assorbite.
La Corte ritiene che i motivi di ricorso, benché tra loro differenti, debbano essere trattati congiuntamente in considerazione dell’evidente connessione che li unisce.
5.1. Costituisce giurisprudenza del tutto pacifica quella secondo cui una sentenza può essere oggetto di revocazione solo quando sia effetto di un preteso errore di fatto, e cioè unicamente nell’ipotesi in cui il fatto che si assume erroneo costituisca il fondamento della decisione revocanda o rappresenti l’imprescindibile, oltre che esclusiva, premessa logica di tale decisione, sicché tra il fatto erroneamente percepito, o non percepito, e la statuizione adottata intercorra un nesso di necessità logica e giuridica tale da determinare, in ipotesi di percezione corretta, una decisione diversa (così le Sezioni Unite di questa Corte, con l’ordinanza 23 gennaio 2009, n. 1666, ribadita, da ultimo, dall’ordinanza 23 aprile 2020, n. 8051, la quale ha chiarito che nella fase rescindente il giudice è chiamato a valutare la decisività dell’errore alla luce di un giudizio controfattuale).
Deve poi sussistere un’altra condizione prevista dalla legge, e cioè che il fatto sul quale si sarebbe determinato l’errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata si sia pronunciata.
5.2. Compiuta tale doverosa premessa, la Corte osserva che il ricorso è redatto con una tecnica tale da non poter neppure essere definito, a rigore, come ricorso per cassazione. Esso, infatti, dopo un lungo preambolo nel quale vengono ricostruite le varie fasi del giudizio, finisce col riproporre in questa sede le censure già svolte ed esaminate nell’ordinanza di questa Corte qui impugnata per revocazione.
L’ordinanza n. 9651 del 2023 ha stabilito, in sostanza, che il ricorso in quella sede esaminato e dichiarato inammissibile non aveva tenuto presente che il provvedimento del Tribunale di Milano allora impugnato aveva qualificato la domanda come contestazione sul riparto delle somme ricavate (art. 512 cod. proc. civ.), nei confronti del quale l’impugnazione consentita è l’opposizione agli atti esecutivi e non l’opposizione di terzo di cui all’art. 619 cod. proc. civ. utilizzata dall’odierno ricorrente (v., tra le altre, l’ordinanza 15 settembre 2020, n. 19122). Rispetto a quella impostazione, il ricorso non appariva idoneo a censurare in modo congruo la ratio decidendi del provvedimento impugnato.
Il ricorrente -anziché rendersi conto di quale sia stata la logica della decisione di questa Corte -pone oggi (nei primi tre motivi) censure asseritamente di carattere revocatorio che, però, tali non sono. Il ricorso, infatti, anche volendo tralasciare la sovrabbondante ripetizione di tutta la vicenda, si risolve nell’impugnazione della suindicata ordinanza attraverso la prospettazione di una serie di presunti errori di diritto o, comunque, di una serie di questioni di fatto, censure tutte inammissibili in sede di giudizio di revocazione avverso una pronuncia di legittimità. Il ricorso, in sostanza, è una sorta di ripetizione del ricorso per cassazione già dichiarato inammissibile, in tal modo risultando estraneo alla struttura dell’impugnazione per revocazione.
Il quarto motivo, poi, non è propriamente tale, perché richiama una serie di questioni di merito in vista del futuro ipotetico giudizio di rinvio.
Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.
Sussistono tuttavia i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza