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Errore di fatto in Cassazione: quando è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso per la revocazione di una propria precedente ordinanza. Il caso riguarda una lunga disputa tra un correntista e un istituto di credito sui prelievi bancomat. La Corte chiarisce che l’errata interpretazione dei motivi di ricorso costituisce un errore di giudizio, non un errore di fatto revocatorio. Inoltre, l’appello viene respinto perché la decisione impugnata si basava anche su altre motivazioni autonome e non contestate (rationes decidendi), rendendo l’errore lamentato non decisivo.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Errore di fatto in Cassazione: i limiti della revocazione

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione sui confini dell’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, in particolare sulla distinzione cruciale tra errore di fatto ed errore di giudizio. La vicenda, nata da una contestazione di prelievi bancomat, si conclude con una pronuncia di inammissibilità che ribadisce i rigorosi paletti di questo rimedio straordinario.

I fatti del caso: la contestazione dei prelievi bancomat

Un correntista citava in giudizio il proprio istituto di credito chiedendo il ricalcolo del saldo del conto corrente e la restituzione di somme a suo dire indebitamente addebitate. Il cuore della controversia era la contestazione di una serie di prelievi effettuati tramite bancomat, che il cliente affermava di non aver mai eseguito. Il Tribunale di primo grado respingeva la domanda.

Il percorso nei gradi di merito

La Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado, ritenendo tardiva e generica la contestazione degli estratti conto e considerando le operazioni bancomat sufficientemente documentate dalle risultanze informatiche della banca. Successivamente, lo stesso correntista proponeva un’istanza di revocazione contro la sentenza d’appello, lamentando un errore di fatto: la documentazione menzionata in sentenza, a suo dire, non era mai esistita. Anche questa istanza veniva respinta dalla Corte d’Appello, che giudicava l’errore lamentato privo di decisività.

Il primo ricorso in Cassazione e l’errore di fatto contestato

Contro la decisione sulla revocazione, il correntista si rivolgeva alla Corte di Cassazione. Quest’ultima, con una prima ordinanza, rigettava il ricorso. La Corte Suprema osservava che l’errore imputato al giudice d’appello non era decisivo, poiché la sentenza originale si basava anche sull’inverosimiglianza del fatto che, in un rapporto durato anni, il correntista non avesse mai effettuato prelievi con bancomat.

È contro questa prima ordinanza della Cassazione che viene proposto l’ulteriore ricorso per revocazione, oggetto della pronuncia che analizziamo. Il ricorrente sosteneva che la Suprema Corte fosse incorsa a sua volta in un errore di fatto, omettendo di pronunciarsi su uno specifico motivo di ricorso e travisando l’oggetto del dibattito processuale.

La decisione della Suprema Corte: la differenza tra errore di fatto ed errore di giudizio

La Corte di Cassazione dichiara il ricorso per revocazione inammissibile, fornendo chiarimenti fondamentali. L’impugnazione per revocazione contro le sentenze della Cassazione è permessa solo per l’errore di fatto, inteso come un errore di percezione (una “svista”) su atti o documenti del processo, e non per un errore di valutazione o interpretazione giuridica (errore di giudizio).

le motivazioni

La Corte spiega che, nel caso specifico, non vi è stata alcuna svista percettiva. La precedente ordinanza aveva esaminato e deciso sull’unico motivo di ricorso proposto. Sostenere che la Corte abbia interpretato male le argomentazioni o non abbia colto il punto centrale della doglianza non configura un errore di fatto, bensì la denuncia di un presunto errore di giudizio, che non può essere fatta valere con lo strumento della revocazione. La Corte ha regolarmente pronunciato sul motivo, anche se con una motivazione che il ricorrente non ha condiviso.

Inoltre, la Corte ribadisce un altro principio cruciale: la decisività dell’errore. La revocazione è ammessa solo se l’errore è stato tale da determinare la decisione. Nel caso in esame, la precedente ordinanza si fondava su più rationes decidendi (ragioni della decisione) autonome. Anche se una di esse fosse stata viziata da un errore, le altre sarebbero state sufficienti a sorreggere la decisione. In particolare, la Corte aveva evidenziato come l’inverosimiglianza della tesi del correntista e il principio dell’onere della prova (che grava su chi agisce in giudizio) costituivano autonomi motivi per respingere il ricorso. Poiché queste ulteriori ragioni non sono state contestate, l’eventuale errore sarebbe comunque privo della necessaria decisività.

le conclusioni

L’ordinanza riafferma la natura eccezionale e i limiti rigorosi del rimedio della revocazione contro le pronunce della Cassazione. Viene tracciato un confine netto tra l’errore percettivo, emendabile, e l’errore valutativo o interpretativo, che attiene al giudizio e non può essere corretto tramite questo strumento. La decisione sottolinea anche l’importanza del requisito della decisività dell’errore, che non sussiste quando la sentenza si regge su una pluralità di argomentazioni indipendenti e non tutte contestate. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese legali.

Qual è la differenza tra errore di fatto ed errore di giudizio secondo la Cassazione?
L’errore di fatto è una svista percettiva, un errore materiale nella lettura di un atto processuale (es. leggere una data per un’altra). L’errore di giudizio, invece, riguarda l’errata interpretazione o applicazione di una norma di legge o delle argomentazioni delle parti. Solo il primo può essere motivo di revocazione per una sentenza della Cassazione.

Quando è ammissibile un ricorso per revocazione contro una decisione della Corte di Cassazione?
È ammissibile solo nell’ipotesi di errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. Questo errore deve essere stato compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, deve essere decisivo per l’esito della sentenza e deve emergere in modo evidente dagli atti stessi, senza necessità di nuove valutazioni.

Perché l’errore lamentato in questo caso non è stato ritenuto decisivo?
L’errore non è stato ritenuto decisivo perché la decisione impugnata si basava anche su altre ragioni giuridiche autonome (rationes decidendi), come l’inverosimiglianza della tesi del correntista e l’onere della prova a suo carico. Poiché queste ragioni non sono state contestate e sono di per sé sufficienti a sorreggere la decisione, l’eventuale errore su un altro punto non avrebbe comunque potuto cambiarne l’esito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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