Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24840 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24840 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5864/2023 R.G. proposto da:
COGNOME AVV_NOTAIO GIUSEPPE (CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliato in RomaINDIRIZZO, presso il proprio studio, rappresentato e difeso da sé medesimo
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Messina, INDIRIZZO, presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente – avverso l’ordinanza della Corte Suprema di Cassazione n. 24252/2022 depositata il 4/8/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/6/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Il Tribunale di Messina respingeva la domanda proposta dall’AVV_NOTAIO nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
avente ad oggetto il ricalcolo del saldo di chiusura del conto corrente intrattenuto dall’attore con tale istituto di credito e la condanna di quest’ultimo al pagamento delle somme dovute al correntista.
La Corte d ‘appello di Messina disattendeva l’impugnazione proposta avverso la sentenza di primo grado, osservando, da un lato, che correttamente il primo giudice aveva ritenuto intempestiva la contestazione, peraltro generica, degli estratti conto, dall’altra che le operazioni bancomat erano documentate dalle risultanze informatiche delle registrazioni effettuate automaticamente dalle apparecchiature, presso le quali erano state eseguite le operazioni stesse.
La Corte d’appello di Messina, con sentenza n. 766/2019, rigettava l’impugnazione per revocazione presentata dal COGNOME avverso tale statuizione, sostenendo la pacifica inesistenza, in atti, della documentazione menzionata nella sentenza di appello; ciò in quanto la prova dei prelievi bancomat era stata un elemento controverso, oggetto del dibattito processuale, e perché, in ogni caso, l’errore lamentato dal ricorrente doveva considerarsi privo di decisività.
Questa Corte, con ordinanza n. 24252/2022 R.G., respingeva il ricorso proposto dal COGNOME rispetto all’impugnazione per revocazione presentata alla Corte messinese.
Rilevava, in particolare, che l’errore imputato al giudice di appello era privo di decisività, dato che la sentenza oggetto della domanda di revocazione (laddove la c orte d’appello aveva condiviso i rilievi svolti dal tribunale in merito alla totale inverosimiglianza del fatto che nel corso di un rapporto protrattosi per diversi anni il correntista non avesse eseguito prelievi a mezzo bancomat) conteneva una prima spiegazione del perché la tesi del ricorrente dovesse ritenersi infondata.
Evidenziava che era senz’altro vero che la prova dei prelievi bancomat era stata un elemento controverso ed oggetto del dibattito processuale, come aveva affermato la corte territoriale.
Aggiungeva che, in ogni caso, la c orte d’appello, nella sentenza con cui aveva deciso sul gravame del tribunale, non aveva preso posizione sulla prova dei prelievi, in quanto, nel rilevare che « le operazioni bancomat sono documentate dalle risultanze informatiche delle registrazioni effettuate automaticamente dalle apparecchiature presso le quali sono state eseguite le operazioni stesse », si era chiaramente riferita alla generale modalità di registrazione dei prelievi attuati con carta di debito onde suffragare la successiva conclusione, secondo cui le deduzioni svolte dall’appellante, e incentrate sull’inesistenza delle operazioni, si rivelavano « del tutto insufficienti », intendendo così sostenere l’astratta non plausibilità dell’assunto del COGNOME per cui sarebbero state registrate operazioni di prelievo insussistenti.
Escludeva, pertanto, l’esistenza di un errore revocatorio, riferito alla prova dei prelievi bancomat, sottolineando come un simile errore sarebbe stato, comunque privo di decisività, dato che l’assenza di documentazione di simili prelievi non poteva che andare a discapito del correntista, siccome attore in giudizio per la ripetizione dell’indebito.
AVV_NOTAIO ha proposto ricorso per la revocazione di tale ordinanza prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE s.p.a..
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
Considerato che:
5.1 Il primo motivo di ricorso denuncia l’esistenza di un errore di fatto, ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., a causa dell’omessa pronuncia sul motivo di ricorso con cui era stato denunciato che la Corte d’Appello di Messina, nella sentenza n. 766/2019, era incorsa
nella violazione degli artt. 1832 e 1857 cod. civ., per aver confermato la precedente decisione, che aveva ritenuto il ricorrente decaduto dall’impugnazione degli estratti conto relativamente alla contestazione della validità e dell’efficacia dei rapporti obbligatori , dai quali derivavano gli addebiti in essi inseriti.
5.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta l’esistenza di un ulteriore errore di fatto, ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ.: all’interno del ricorso per cassazione era stato eccepito che la sentenza 766/2019, pur affermandone l’esistenza, era incor sa in un vizio motivazionale circa il momento del processo in cui si era dibattuto sulla presenza dei documenti che comprovavano l’esistenza dei prelievi bancomat.
La Corte di Cassazione sarebbe incorsa in un ulteriore errore di fatto, non avendo rilevato che in sede di merito il dibattito processuale aveva riguardato la legittimità delle scritture della banca che contabilizzavano i prelievi bancomat, con la pacifica conclusione della mancanza di tale prova, mentre, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza impugnata, non si era mai dibattuto sulla valenza probatoria di taluni specifici documenti.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.
6.1 Entrambi i mezzi denunciano, come errore revocatorio, un’omissione di pronuncia da parte di questa Corte.
Orbene, l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi degli artt. 391bis e 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte le volte in cui la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta,
anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (Cass., Sez. U., 31032/2019).
6.2 Nel caso concreto non può revocarsi in dubbio che questa Corte si sia pronunciata sull’unico motivo di ricorso per revocazione avverso la sentenza n. 766/2019, che, a sua volta, si era pronunciata sulla revocazione di altra sentenza della stessa co rte distrettuale nel cui ambito era ricompresa la denuncia della violazione degli artt. 1832 e 1857 cod. civ..
La Cassazione ha, invero, affermato che la questione relativa ai prelievi bancomat – come aveva correttamente ritenuto la sentenza n. 766/2019 – aveva costituito un fatto controverso sul quale la corte d’appello, nella sentenza oggetto di revocazione, si era pronunciata (tanto è vero che aveva disposto C.T.U., dalla quale era emersa l’insussistenza d i documentazione che recasse evidenza di tali operazioni).
La corte d’appello aveva, peraltro, affermato che i prelievi erano registrati dal sistema e che quindi era implausibile che fossero inesistenti.
Di qui la mancanza di un errore revocatorio all’interno della sentenza n. 766/2019, che questa Corte ha confermato, pronunciandosi, quindi, sul motivo di ricorso.
La dedotta violazione degli artt. 1832 e 1857 cod. civ. – che certo non denunciava un errore revocatorio della sentenza impugnata per cassazione – costituiva una motivazione della deduzione dell’unico motivo di revocazione sul quale questa Corte si è regolarmente pronunciata.
Ne discende l’inammissibilità dell’odierna revocazione.
6.3 Ricorre, peraltro, un’ulteriore ragione di inammissibilità dell’impugnazione.
In tema di revocazione dei provvedimenti della Corte di cassazione, la contestazione dell’errore di fatto revocatorio, ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., presuppone la sua decisività, requisito che deriva dalla natura straordinaria del rimedio e dall’esigenza di stabilità del giudicato, in ossequio al “principio di ragionevole durata del processo” e al connesso divieto di protrazione all’infinito dei giudizi; tale decisività non sussiste qualora l’impugnato provvedimento trovi fondamento anche in ulteriori ed autonome rationes decidendi rispetto alle quali non sia contestato alcun errore percettivo (Cass. 4678/2022; Cass. 16439/2021).
Nella specie, questa Corte, all’interno dell’ordinanza n. 24252/2022, ha anzitutto affermato che la corte d’appello aveva condiviso la statuizione del tribunale, secondo cui era inverosimile che il ricorrente non avesse effettuato prelievi bancomat per diversi anni, motivo per cui l’errore revocatorio imputato alla corte distrettuale non era affatto configurabile.
Per di più tale errore, seppure fosse stato configurabile, era privo di decisività, giacché l’assenza di documentazione di prelievi bancomat non poteva che ridondare in danno del correntista, attore in giudizio per la ripetizione di indebito e come tale onerato sia della prova degli avvenuti pagamenti che della mancanza di una valida causa debendi . Queste rationes decidendi non sono state in alcun modo contestate, cosicché il ricorso in esame risulta inammissibile anche per queste ragioni aggiuntive.
In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che
liquida in € 7.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 14 giugno 2024.