Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9404 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9404 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2025
Oggetto
Impugnazioni civili -Revocazione di ordinanza della Corte di cassazione per errore di fatto -Presupposti – Fattispecie
ORDINANZA
sul ricorso per revocazione iscritto al n. 4626/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME domiciliato digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
COGNOME COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME domiciliato digitalmente ex lege ;
-controricorrente – e nei confronti di
COGNOME NOME ;
avverso l’ordinanza della Corte Suprema di Cassazione, n. 25296/2023, depositata in data 25 agosto 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 17/2020, depositata in data 15/01/2020, la Corte d’Appello di Lecce, in totale riforma della decisione di primo grado, rigettò l’azione revocatoria proposta, ai sensi dell’art. 2901 c.c., con atto notificato in data 17 novembre 2012, da NOME COGNOME a tutela conservativa del credito vantato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE con riferimento all’atto di vendita con cui , in data 28 novembre 2007, la società aveva alienato l’unico compendio immobiliare di cui risultava proprietaria a NOME COGNOME figlio della sua amministratrice unica.
La sentenza venne pronunciata in accoglimento dell’appello proposto da quest’ultimo in contraddittorio: a) con il Fallimento della predetta RAGIONE_SOCIALE, dichiarato nelle more del giudizio di primo grado, il cui Curatore lo aveva riassunto instando con successo per l’accoglimento dell’azione revocatoria a tutela della massa ; b) nei confronti di NOME COGNOME originariamente evocato in giudizio quale garante per fideiussione della società debitrice, ma tuttavia rimasto contumace sia nel primo che nel secondo grado di giudizio.
Essa fu giustificata, in motivazione, dal rilievo della mancata prova che l’atto di compravendita fosse stato scientemente posto in essere da ambo le parti contraenti allo scopo di diminuire la garanzia patrimoniale del Brescia o dell’intera massa creditoria .
Osservò al riguardo la Corte d’appello che:
la società risultava aver acquistato nel febbraio dello stesso anno altro immobile in Roma per il prezzo di Euro 230.000;
lo stretto rapporto parentale tra l’amministratrice unica e l’acquirente dell’immobile era circostanza « niente affatto risolutiva » atteso che:
b1) i rapporti fra i predetti erano fortemente incrinati, tant’è vero che le trattative per l’acquisto vennero condotte con la socia di minoranza;
b2) il COGNOME all’epoca dell’acquisto aveva quarant’anni e trasferì effettivamente nell’immobile acquistato la propria attività commerciale prima svolta in Leporano;
b3) il prezzo d’acquisto fu congruo, corrispondente alla stima della banca mutuante e fu versato in modo tracciabile attraverso la somma presa a mutuo;
l’eventualità che l’immobile potesse essere venduto era stata espressamente accettata dal Brescia (art. 5 della transazione), che in vista di ciò aveva rinunziato ad incassare subito il dovuto, accordandosi senza riserve per il pagamento rateale (e vari convergenti elementi inducevano a pensare che avesse ricevuto parte delle somme dovute proprio attraverso le somme nel frattempo versate dal nuovo acquirente);
a parte i carichi tributari e previdenziali di cui non era riportata la data di accertamento e contestazione, le maggiori esposizioni debitorie risultavano essere tutte largamente successive al 28/11/2007, data della compravendita oggetto di revocatoria.
Avverso tale decisione propose ricorso per cassazione il curatore del fallimento della RAGIONE_SOCIALE sulla base di tre motivi.
Entrambi gli intimati, germani COGNOME non svolsero difese .
Con ordinanza n. 25296/2023, resa pubblica il 25/08/2023, questa Corte ha dichiarato improcedibile il ricorso, ai sensi dell’art. 369, secondo comma, num. 2, cod. proc. civ., per il mancato deposito della relazione di notificazione della sentenza impugnata.
Questa la motivazione, per quanto in questa sede ancora interessa:
« la parte ricorrente ha dichiarato in ricorso (v. pp. 1-2) che la sentenza impugnata in questa sede, che è stata pubblicata il 15/01/2020, è stata notificata in data 20 gennaio 2020 (precisamente è detto: ‘ notificata a mezzo p.e.c. al precedente procuratore domiciliatario costituito in data 20.01.2020 ‘), ma la medesima parte ha depositato, nei termini indicati dall’art. 369, primo comma, cod. proc. civ., solo copia autentica della sentenza, priva della relazione di notificazione. La stessa nota di iscrizione a ruolo reca l’indicaz ione del deposito della sola copia autentica del provvedimento impugnato e non anche della relata di notifica ».
Avverso tale ordinanza il curatore del fallimento della RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per revocazione, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 391bis c.p.c. e 395, primo comma, n. 4, c.p.c..
Resiste con controricorso NOME COGNOME mentre rimane intimato NOME COGNOME
La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis.1 cod. proc. civ.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero. Sia il ricorrente che il controricorrente hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. Fase rescindente.
Con unico motivo rescindente, il curatore del fallimento della RAGIONE_SOCIALE assume che « l’ordinanza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa -errore della decisione, in quanto fondata sulla supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita » (così testualmente nella rubrica del motivo, pag. 6).
Osserva che il convincimento espresso nell’ordinanza impugnata « è contrastato dalla produzione documentale: l’esistenza e allegazione della notifica della sentenza impugnata è, infatti, confermata non solo dal pacifico richiamo nel ricorso (come attestato nella stessa ordinanza
S.C. n. 25296/23: doc. B, pagina 4, § 4) ma, soprattutto, dal fatto che la sentenza della Corte d’Appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto n. 17 del 15.01.2020 (impugnata in quella sede) fosse stata notificata via pec in data 20.01.2020 al precedente difensore costituito per il Fallimento (avv. NOME COGNOME, ritualmente individuata nell’indice (doc. E, segnalibro 2), e allegata, con la relata, all’interno del fascicolo di parte in Cassazione R.G. 14429/2020 (doc. E, all. III.I -segnalibro 1) ».
Rimarca in tal senso il ricorrente (v. pagg. 10-11), al dichiarato « fine di dare piena prova del tempestivo deposito e presenza di tali documenti », che:
«1. con mail dell’8 settembre 2023 (doc. K) inoltrata alla Terza Sezione Civile della Corte di cassazione – chiedeva il rilascio di copia conforme dei documenti depositati e allegati al fascicolo di parte ricorrente in data 17/06/2023 , a seguito dell’iscrizione a ruolo del ricorso per Cassazione nel giudizio R.G. 14429/20; in particolare,
dell’indice;
dell’allegato III (sentenza gravata);
dell’allegato III.I (notifica via p.e.c. della sentenza gravata);
la richiesta veniva reiterata con p.e.c. del 26/09/2023 (doc. L);
con mail del 27/09/ 2023, l’Archivio Generale Civile della Corte di cassazione fissava la data del 29/09/2023, ore 11:30, per il ritiro della documentazione richiesta (doc. F).
Per il materiale ritiro presso l’Archivio Generale Civile della Corte di cassazione , il sottoscritto procuratore delegava l’avv. NOME COGNOME (docc. G-H) che, in pari data, acquisiva copia conforme analogica estratta dal fascicolo della curatela della documentazione sopra indicata, qui acclusa: trattasi di venti fogli, su ognuno dei quali risultano apposti tre o quattro timbri a secco; i timbri presentano al centro l’Emblema della Repubblica Italiana e, lungo la circonferenza, la
scritta: « Corte Suprema di Cassazione ». Nell’ultima facciata è stato apposto il timbro attestante la « copia conforme all’originale esistente negli atti allegati al ricorso n.ro 14429/2020 di r.g. di questa Corte. Roma, lì 27 SET 2023 f.to IL CANCELLIERE illeggibile COGNOME » (doc. D) ».
Conclusivamente sul punto afferma, quindi, il ricorrente che « tale documentazione (rilasciata dalla Cancelleria della Corte di cassazione e ritirata presso l’Archivio Generale Civile della Suprema Corte) attesta il regolare deposito della documentazione che si assume carente.
La presenza certificata di tale documento comprova l’effettiva coincidenza tra la data di notifica indicata in ricorso con quella della relata -completa di messaggio di accompagnamento p.e.c. -perfezionatasi in data 20/01/2020 (doc. D, pagg. 37 e 39) e, come giuridica conseguenza: (i) la tempestività della notifica del ricorso per Cassazione a mezzo p.e.c. del 21/05/ 2020; (ii) l’allegazione dei documenti posti a fondamento del ricorso di cui all’art. 366, primo comma n. 6) c.p.c..
La conferma che l’atto sia stato accluso è, perciò, evincibile dalla:
materiale presenza della notifica nel fascicolo di parte, sin dall’origine (doc. E, all. III.I segnalibro 1);
ii) copia attestata conforme dalla cancelleria della S.C. in data 27/09/2023 (doc. D pagine 37-42), rilasciata contestualmente al ritiro del fascicolo, occorso il 29/09/2023 (docc. D e F) ».
La censura, ad avviso del Collegio, è ammissibile e fondata.
2.1. Con specifico riferimento alle sentenze (o ordinanze) della Suprema Corte, di cui si chiede la revocazione ex art. 391bis c.p.c., sono ampiamente acquisite nella giurisprudenza di questa Corte, e vanno qui ribadite, le affermazioni secondo cui l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4:
consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione della esistenza o della inesistenza di un fatto,
la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione tra le parti;
non può concernere l’attività interpretativa e valutativa;
deve possedere i caratteri della evidenza assoluta e della immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche;
deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione erronea e la decisione revocanda deve esistere un nesso causale tale da affermare con certezza che, ove l’errore fosse mancato, la pronuncia avrebbe avuto un contenuto diverso;
deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte, poiché l’errore che inficia il contenuto della decisione impugnata in cassazione deve essere fatto valere con le impugnazioni esperibili contro la decisione stessa (v. Cass. Sez. U. 19/07/2024, n. 20013; Cass. n. 35879 del 2022; n. 29634 del 2019; n. 12283 del 2004; n. 3652 del 2006; n. 10637 del 2007; n. 5075 del 2008; n. 22171 del 2010; n. 27094 del 2011; n. 4456 del 2015; n. 24355 del 2018; n. 26643 del 2018).
2.2. Con particolare riferimento all’ipotesi di pronuncia di improcedibilità per mancato deposito della relata di notifica della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 2 cod. proc. civ. questa Corte (Cass. 21/05/2015, n. 10517; v. anche, da ultimo, Cass. 12/09/2023, n. 26392) ha altresì affermato il principio ─ che va qui ribadito ─ secondo cui, ai fini revocatori, la prova della sua presenza nel fascicolo di parte può essere fornita dimostrando l’espressa menzione dell’atto nel ricorso originario notificato alla controparte, ovvero sulla base di altri elementi, ma solo a condizione che essi non rientrino nella disponibilità materiale della parte che avrebbe interesse a fornire tale dimostrazione e, dunque, diversi
dall’indice a suo tempo vistato dalla cancelleria e poi ritirato dalla parte.
2.3. Ebbene, reputa il Collegio che tale seconda condizione ricorra nella specie, alla luce della documentazione prodotta in questa sede e denominata « doc. D ».
Come evidenziato nel ricorso per revocazione trattasi di copia digitale (documento informatico in formato PDF), attestata conforme alla copia analogica estratta dal fascicolo della curatela, dei documenti il cui rilascio in precedenza la stessa curatela aveva richiesto per e-mail alla Terza Sezione Civile della Corte di cassazione: vale a dire copia « dell’indice; dell’allegato III (sentenza gravata); dell’allegato III.I (notifica via p.e.c. della sentenza gravata) ».
Tale documentazione è composta di ventuno fogli, su ognuno dei quali risultano apposti tre o quattro timbri a secco; i timbri presentano al centro l’Emblema della Repubblica Italiana e, lungo la circonferenza, la scritta: «Corte Suprema di Cassazione». Nell’ultima facciata è stato apposto un timbro recante la seguente dicitura: « copia conforme all’originale esistente negli atti allegati al ricorso n.ro 14429/2020 di r.g. di questa Corte. Roma, lì 27 SET 2023 f.to IL CANCELLIERE illeggibile UGOLINI ».
Il contenuto è effettivamente rappresentato, tra l’altro:
a pag. 13, da un « Indice della produzione » ove è elencata al terzo punto (III) la produzione di « copie conformi sentenza gravata e (III.1) sentenza notificata »;
alle pagg. 15-25, da una prima copia della sentenza d’appello impugnata con ricorso per cassazione (senza relata di notifica) recante in calce l’attestazione di conformità , ex art. 16bis , comma 9bis , d.l. n. 179 del 2012, sottoscritta con firma autografa dall’avvocato;
alle pagg. 27-42, da una seconda copia della sentenza d’appello impugnata con ricorso per cassazione, dalla relata di notifica e dal messaggio p.e.c. che, ai fini di tale notifica, il difensore di controparte inviò in data 20 gennaio 2020 al difensore della curatela, oltre che, a
pag. 41, dal l’attestazione di conformità, ex art. 16-bis, comma 9-bis, d.l. n. 179 del 2012, sottoscritta con firma autografa dall’avvocato COGNOME
L’ultima pagina (pag. 42) di tale compendio documentale reca il timbro di cancelleria sopra descritto.
Sebbene il contenuto di tale timbro rechi un generico riferimento « all’originale esistente negli atti allegati al ricorso n.ro 14429/2020 », invece che, come sarebbe stato opportuno, una specifica descrizione, ancorché sommaria, del numero e del contenuto estrinseco dei documenti di cui si rilascia copia, e sebbene la Cancelleria, nel rilasciare detta copia, non abbia poi conservato in archivio un duplicato della copia rilasciata ─ moduli operativi che, ancorché poco funzionali, non possono ritorcersi a danno della parte ricorrente per revocazione ─ ritiene nondimeno il Collegio che la descritta documentazione (che ad un esame attento si sottrae ad ogni possibile ragionevole sospetto di alterazione) valga a dare effettivamente dimostrazione dell’esistenza, nel fascicolo di parte ritualmente prodotto al momento della iscrizione a ruolo, della copia notificata della sentenza attestata conforme.
A tale convincimento non osta la circostanza che detta copia sia stata chiesta e rilasciata in data successiva alla pubblicazione della ordinanza revocanda, dovendosi presumere -in difetto di alcuna emergenza o annotazione che possa far diversamente supporre ─ che il fascicolo sia sempre rimasto in custodia della cancelleria e non nella libera disponibilità della parte.
2.4. Sussiste pertanto il dedotto errore revocatorio, atteso che, a fronte delle descritte emergenze, il diverso convincimento espresso nella ordinanza impugnata non può che imputarsi a mera svista o errore di fatto percettivo.
Né ad una diversa qualificazione di tale convincimento come frutto di vera e propria valutazione giuridica, come tale non sindacabile sul piano revocatorio, potrebbe indurre il riferimento, nella motivazione
dell’ordinanza, alla nota di iscrizione a ruolo, della quale si dice che « reca l’indicazione del deposito della sola copia autentica del provvedimento impugnato e non anche della relata di notifica ».
Trattasi infatti di una affermazione meramente incidentale cui non sembra potersi attribuire valore effettivamente fondante della decisione, questa rimanendo essenzialmente giustificata dal rinvenuto deposito « nei termini indicati dall’art. 369, primo comma, cod. proc. civ., solo copia autentica della sentenza, priva della relazione di notificazione ».
In accoglimento del detto motivo rescindente l’ordinanza impugnata deve pertanto essere revocata.
Si procede dunque, come segue, in fase rescissoria, a nuovo scrutinio del ricorso per cassazione iscritto al n. 14429/2020 R.G..
II. Fase rescissoria.
Con il primo motivo, ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia « violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 102, 105, 110, 111, 163, 164, 331, 332, 338, 342, 354, 359 c.p.c.; m ancato rilievo d’ufficio dell’omessa integrazione del contraddittorio in appello, nei confronti di una delle parti costituite in primo grado », vale a dire dell’originario attore NOME COGNOME COGNOME
Con il secondo motivo, ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., la curatela deduce « violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 secondo comma, 2714, 2717, 2718, 2719, 2721, 2727, 2740, 2901 c.c. e 66 L.F.; viziata interpretazione delle prove », lamentando che la Corte territoriale, pur avendo attribuito rilevanza allo stretto rapporto parentale tra l’amministratore unico della società alienante ed il figlio cessionario del bene immobile oggetto di revocatoria, sia caduta in contraddizione « nella collazione degli elementi probatori ».
In particolare:
─ male avrebbe fatto la Corte territoriale a dar rilievo all’acquisto
da parte della società debitrice di altro immobile, visto che per l’80% il prezzo fu pagato con l’assunzione di altro debito che, insoluto, ha generato nuove e plurime formalità pregiudizievoli;
─ non era fondata la valutazione di congruità del prezzo ed era irrilevante la circostanza che sull’immobile l’acquirente avesse effettivamente trasferito la propria attività;
─ non era attendibile ed era contrastata da altri elementi la prova circa il carattere ‘incrinato’ del rapporto tra l’amministratrice della società e il figlio acquirente dell’immobile ;
─ il danno rappresentato dalla vendita era in re ipsa e non valeva a contrastarlo l’apparente tracciabilità della provvista per l’acquisto .
Con il terzo motivo, ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia infine « violazione e falsa applicazione degli artt. 66 l.fall. e 2901 c.c.; errata applicazione dei canoni ermeneutici della revocatoria ordinaria in relazione all’azione iniziata o proseguita dal curatore », per non avere la Corte di merito adeguatamente considerato la posizione di terzietà del curatore, quale rappresentante non più soltanto del singolo creditore che aveva inizialmente agito in revocatoria, qua nto dell’intera massa dei creditori concorsuali, rispetto ai quali l’atto di disposizione patrimoniale posto in essere dal debitore poi fallito è sempre potenzialmente dannoso, mentre il presupposto del consilium fraudis ha carattere impersonale.
Il primo motivo è infondato, quando non inammissibile.
4.1. Va anzitutto rilevato che il ricorrente non precisa se il creditore originario, NOME COGNOME continuò a rimanere parte del giudizio oppure venne dichiarato carente di legittimazione in conformità al principio affermato da Cass. Sez. U. n. 29420 del 17/12/2008 (a mente del quale « qualora sia stata proposta un’azione revocatoria ordinaria per fare dichiarare inopponibile ad un singolo creditore un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore e, in pendenza del relativo giudizio, a seguito del sopravvenuto fallimento
del debitore, il curatore subentri nell’azione in forza della legittimazione accordatagli dall’art. 66 legge fallimentare, accettando la causa nello stato in cui si trova, la legittimazione e l’interesse ad agire dell’attore originario vengono meno, onde la domanda da lui individualmente proposta diviene improcedibile ed egli non ha altro titolo per partecipare ulteriormente al giudizio », v. anche, conff., Cass. n. 13862 del 06/07/2020).
4.2. Supponendo che tanto non sia avvenuto e che dunque il Tribunale, come sembrerebbe doversi desumere dal tenore del dispositivo quale riportato in ricorso, abbia accolto la domanda originaria, con la conseguenza che in tal caso la posizione del Brescia era riconducibile all’art. 331 c.p.c. , il motivo va detto inammissibile perché il vizio derivante dalla mancata integrazione del contraddittorio in appello nei suoi confronti non avrebbe comunque potuto essere opposto dal fallimento in quanto parte che, pur non avendovi dato causa, ha contribuito al permanere di tale omissione, omettendo di rilevarla, ex art. 157, terzo comma, cod. proc. civ.
Ciò alla luce dei principi affermati da Cass. n. 21381 del 2018 secondo cui « nel caso in cui il giudizio di appello sia stato introdotto in violazione dell’art. 331 c.p.c. e la relativa nullità non sia stata rilevata né dalle parti né dal giudice, tale violazione può essere fatta valere dalle parti (compresa quella che introdusse l’appello), con ricorso principale o incidentale avverso la sentenza conclusiva del gravame, soltanto qualora la violazione abbia riguardato una situazione di litisconsorzio necessario iniziale (art. 102 c.p.c.) o di litisconsorzio necessario processuale determinata dall’ordine del giudice (art. 107 c.p.c.), atteso che in tali casi, a differenza di ogni altra ipotesi di violazione dell’art. 331 c.p.c. (e, dunque, di litisconsorzio necessario processuale da inscindibilità o da dipendenza), non può operare la regola dell’art. 157, comma 3, c.p.c. trattandosi di violazioni rilevabili d’ufficio dalla Corte di cassazione, circostanza che esclude che la parte
abbia perduto il potere di impugnare »; « la regola dettata dall’art. 157, comma 3, c.p.c., secondo cui la parte che ha determinato la nullità non può rilevarla, non opera quando si tratti di una nullità rilevabile anche d’ufficio, ma tale inoperatività è correlata alla durata del potere ufficioso del giudice, sicché una volta che quest’ultimo abbia deciso la causa omettendo di rilevare la nullità, la regola si riespande, con la conseguenza che la parte che vi ha dato causa con il suo comportamento, ed anche quella che, omettendo di rilevarla, abbia contribuito al permanere della stessa, non possono dedurla come motivo di nullità della sentenza, a meno che si tratti di una nullità per cui la legge prevede il rilievo officioso ad iniziativa del giudice anche nel grado di giudizio successivo ».
Il secondo motivo è inammissibile, con riferimento ad entrambe le censure al suo interno svolte.
5.1. L’ error in iudicando , per violazione delle norme codicistiche e dell’art. 66 l.fall., non viene in ricorso pertinentemente illustrato, limitandosi il ricorrente a sollecitare una rivalutazione delle risultanze probatorie, assumendo dunque la doglianza un contenuto prettamente meritale;
5.2. Il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. non è poi dedotto nei termini indicati da Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014, come rende manifesto la stessa intestazione, là dove si fa riferimento alla « viziata interpretazione del contratto ».
Il terzo motivo è anch’esso inammissibile, dal momento che non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, nella quale, diversamente da quanto postulato in ricorso, l ‘ insussistenza dei presupposti della proposta azione revocatoria viene affermata con riguardo al subentro del fallimento, come evidenziano i riferimenti alla massa dei creditori a partire dalle ultime due righe della terzultima pagina.
7 Il ricorso per cassazione, esaminato in fase rescissoria, deve
dunque essere rigettato.
Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
accoglie il ricorso per revocazione; revoca l’ordinanza impugnata; pronunciando in fase rescissoria sul ricorso per cassazione iscritto al n. 14429/2020 R.G., lo rigetta. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza