Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1906 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1906 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/01/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3199/2024 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliata per legge;
-ricorrente-
contro
COMUNE DI SANTA TERESA DI RIVA, nella persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliato per legge;
-controricorrente-
nonchè contro
NOME
-intimato-
del ricorso originario in tema di responsabilità aquiliana.
Inammissibilità.
Ad cc 22 gennaio 2025
avverso l’ORDINANZA n. 2610/2023 di questa CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA, depositata il 27/01/2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2007 NOME COGNOME conveniva in giudizio il Comune di Santa Teresa di Riva e NOME COGNOME, chiedendo la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, che quantificava in € 500.000,00, con vittoria delle spese di giudizio. A fondamento della domanda risarcitoria deduceva che: a) era proprietaria di un lotto di terreno, sito in Santa Teresa di Riva, in INDIRIZZO, riportato in catasto al foglio 10, part. 938; b) aveva ottenuto il rilascio delle concessioni edilizie n. 1632 del 2002 e 1632 sub 1 del 2003 per la edificazione dei tre lotti ricavati a seguito di piano di lottizzazione e aveva dato inizio ai lavori di costruzione, realizzando il rustico dei tre fabbricati assentiti dalle suddette concessioni; c) con le determine dirigenziali n. 3 del 16/03/2003 e n. 4 del 26/06/2003 (a firma del COGNOME, funzionario comunale) le concessioni erano state revocate in autotutela, motivando la revoca con la circostanza che lei aveva falsamente indicato nelle progettazioni che l’accesso ai lotti sarebbe stato esercitato attraverso la via pubblica nel mentre la INDIRIZZO era una strada privata ad uso pubblico. Deduceva parte attorea che l’ingiustificata revoca delle concessioni la aveva esposta all’azione risarcitoria dei coniugi COGNOME e di Triolo-COGNOME, cui aveva ceduto la proprietà ed i diritti edificatori su due dei tre lotti, e di aver subito anche un processo penale per le false dichiarazioni rese, nel corso del quale era stato disposto il sequestro dei lotti di terreno, processo che si era concluso con sentenza della Corte di appello di Messina con la formula ‘perché il fatto non costituisce reato’.
Si costituiva in giudizio il Comune di Santa Teresa di Riva, che: in via preliminare, eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice
ordinario in favore di quello amministrativo e, nel merito, contestava la fondatezza della domanda attorea, di cui chiedeva il rigetto, deducendo che in data 01/06/2006 la Starrantino aveva presentato nuova domanda di concessione, corredandola dei titoli che documentavano il suo diritto di servitù di passaggio su INDIRIZZO a seguito della quale era stata rilasciata concessione edilizia n. 1818 del 25/01/2007.
Si costituiva anche il COGNOME che, a sua volta, eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Nel merito evidenziava come le ragioni della revoca delle concessioni del 2002 e del 2003 fossero documentalmente provate e come la stessa COGNOME ne avesse di fatto confermato la validità, corredando solo la successiva domanda di concessione del 01/06/2006 con la documentazione relativa al suo diritto di servitù di passaggio, che aveva poi consentito il rilascio della concessione n. 1818 del 2007.
Istruita documentalmente la causa, il Tribunale di Messina, con sentenza n. 254/2019, rigettava l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, riteneva che nella condotta dell’Ente (attraverso le determine dirigenziali a firma del COGNOME) non erano ravvisabili profili di responsabilità extracontrattuale e rigettava la domanda, condannando l’attrice alle spese di lite.
Avverso la sentenza del Tribunale proponeva appello la COGNOME, articolando due motivi di gravame.
Si costituivano in appello, con separate comparse, il Comune di Santa Teresa di Riva ed il Pellegrino, che contestavano entrambi il fondamento dei motivi di gravame, chiedendo il rigetto dell’appello.
La Corte d’appello di Messina, con sentenza n. 305/2021, ritenuto ammissibile l’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., rigettava l’impugnazione condannando parte appellante alla rifusione in favore delle due parti appellate delle spese processuali relative al grado.
Avverso la sentenza della corte territoriale proponeva ricorso per cassazione la Starrantino, che articolava un unico motivo d’impugnazione.
Resistevano con distinti controricorsi sia il Comune di Santa Teresa di Riva che il Pellegrino.
Questa Corte, con ordinanza n. 2610/2023, respingeva il ricorso, condannando parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali.
Avverso detta ordinanza di questa Corte ha proposto ricorso per revocazione la Starrantino.
Ha resistito con controricorso il Comune di Santa Teresa di Riva. Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte ed i Difensori delle parti non hanno depositato memoria.
La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta dalla decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La COGNOME – dopo aver trascritto il motivo di impugnazione che aveva articolato nel suo ricorso a questa Corte, nonché la motivazione dell’ordinanza con cui lo stesso è stato rigettato – censura detta ordinanza ex art. 395 n. 4 c.p.c. perché emessa sulla base di un errore che ha riguardato la sua condotta.
Osserva che questa Corte con la ordinanza, oggetto di ricorso per revocazione, <>.
Sottolinea che, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, lei non si era resa responsabile di alcuna condotta illecita, né di alcuna dichiarazione infedele, né ancor meno aveva mai posto in essere una condotta fattuale, tale da portare l’Ente Locale alla decisione di revocare le già rilasciate concessioni edilizie. A sostegno di ciò deduce di essere stata scagionata da ogni responsabilità e da ogni ipotesi di falso, riferita alla rappresentazione in progetto della strada di accesso alla sua proprietà (indicata come strada pubblica in luogo di strada privata di uso pubblico), come risulta dalla sentenza n. 571/2007, con la quale la Corte d’appello penale di Messina l’aveva assolta perché il fatto ascrittole non costituiva reato.
In definitiva, secondo la ricorrente, poiché il giudice penale aveva escluso ogni sua illecita condotta fattuale, del pari la corte di merito in sede civile avrebbe dovuto escludere la sua dichiarazione infedele, con la conseguenza che la sentenza della corte territoriale e l’ordinanza di questa Corte, oggetto di ricorso per revocazione, sarebbero entrambe fondate su un fatto (la sua condotta illecita, legata alla rappresentazione in progetto di una strada), in realtà insussistente (proprio perché la sussistenza della stessa era rimasta <> in sede penale).
Quanto poi alla domanda risarcitoria, da essa proposta, sottolinea che il suo patrimonio è stato aggredito dai suoi aventi causa, ai quali aveva trasferito i lotti, i quali avevano avviato cause risarcitorie per svariate centinaia di migliaia di euro con richieste di misure cautelari; e sostiene che detta domanda avrebbe dovuto essere ritenuta provata sulla base per l’appunto di tutti gli atti giudiziari, già prodotti, di cui era stata destinataria e che erano diretti ad aggredire il suo patrimonio.
Il ricorso per revocazione è inammissibile.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’errore revocatorio consiste nella percezione, in contrasto con gli atti e le risultanze di causa, di una falsa realtà documentale, in conseguenza della quale il giudice si sia indotto ad affermare l’esistenza di un fatto o di una dichiarazione che, invece, incontrastabilmente non risulta dai documenti di causa.
Basti, al riguardo, un richiamo integrale a quanto, da ultimo, sul punto precisato dalle Sezioni Unite con ord. 19/07/2024, n. 20013 (con ampi richiami giurisprudenziali): sommariamente potendo qui dirsi che l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione dev’essere inteso nella rigorosa accezione di svista materiale sul contenuto obiettivo degli atti del giudizio di legittimità ed escluso sempre e comunque ogniqualvolta si sia in presenza di una valutazione degli atti di causa o di una lettura complessiva di questi e del medesimo ricorso.
Orbene, nel caso in esame, contrariamente a quanto denunciato dalla ricorrente, la censurata ordinanza di questa Corte non è stata emessa sulla base di un presunto errore di fatto con dette caratteristiche, che avrebbe riguardato la condotta della ricorrente, ma nel perimetro del motivo articolato dalla stessa ricorrente nell’originario ricorso (che concerneva la contestata assenza o apparenza della motivazione posta a sostegno della sentenza n. 305/2021 della Corte d’appello di Messina), in esito alla ricostruzione, quale unica ragione di doglianza, esclusivamente di un preteso vizio motivazionale – appunto e in concreto poi escluso a reiezione dell’impugnazione – e non invece della correttezza in sé, in fatto o in diritto, della motivazione del provvedimento originariamente gravato.
Tanto risulta: sia nella parte iniziale della impugnata ordinanza (ove si legge <>) che nella parte finale >>.
In definitiva, l’ordinanza impugnata puntualizza espressamente, per ben due volte, che unica ragione di doglianza era stato un preteso vizio motivazionale e non la correttezza in sé, in fatto o in diritto, della motivazione della sentenza di merito (impugnata col ricorso originario).
Per la ragione che precede, non prospettando esso un vizio per il quale l’impugnazione straordinaria azionata è ammessa, il ricorso va dichiarato inammissibile.
A tanto consegue, oltre alla condanna alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla controparte, la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
-condanna la ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro 8.200 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge;
-ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificat o a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2025, nella camera di consiglio