Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16706 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 16706 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18352-2023 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Revocazione
R.G.N. 18352/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 28/05/2024
CC
avverso l’ordinanza n. 19342/2023 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 07/07/2023 R.G.N. 15187/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
con ordinanza del 7 luglio 2023 n. 19342, questa Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di NOME COGNOME avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro, di reiezione della sua domanda, invece accolta dal Tribunale in entrambe le fasi del rito Fornero, di accertamento della natura subordinata, anziché di agenzia come da formalizzazione con contratto, del rapporto intercorso tra le parti, risolto con atto da qualificare licenziamento disciplinare, illegittimo per violazione dell’art. 7 legge n. 300/1970 e comportante la condanna della società (non già preponente, ma) datrice al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura di dodici mensilità, a norma del testo novellato dell’art. 18, sesto comma legge cit., applicabile ratione temporis ;
essa ha ritenuto apprezzamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità, l’accertamento della natura autonoma e non subordinata del rapporto tra le parti, congruamente argomentato in esatta applicazione dei principi di diritto affermati in materia dalla giurisprudenza della Corte regolatrice; 3. con atto notificato il 5 settembre 2023, lavoratrice ha proposto ricorso per revocazione con un unico motivo, cui la società ha resistito con controricorso;
entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
1. la ricorrente ha dedotto violazione o falsa applicazione degli artt. 391 bis e 395 n. 4 c.p.c., per non avere la Corte di legittimità esaminato, per evidente svista e dimenticanza, il primo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 62, 69, primo comma d.lgs. 276/2003, in relazione agli artt. 1742 e 1743 c.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto che la richiesta di applicazione dell’art. 69, primo comma d.lgs. cit., ‘presumeva l’esistenza di un rapporto formalizzato per iscrit to quale rapporto di collaborazione a progetto’; ove occorrendo, quale conseguenza del suddetto errore di diritto, omesso esame della causa petendi basata sull’art. 69, primo comma d.lgs. cit., applicabile anche ai simulati contratti di agenzia non aventi ad oggetto l’incarico di promuovere affari, ma lo svolgimento di mansioni di area manager , con conseguente nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.), benché di carattere assorbente e su di esso incentrato il ricorso per cassazione (unico motivo);
esso è inammissibile;
come noto, l’errore di fatto che legittima la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione consiste in un’erronea percezione dei fatti di causa, che -oltre a dover rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, nonché di essenzialità e di decisività ai fini della decisione -deve riguardare gli atti interni al giudizio di
legittimità, ossia quegli atti che la Corte deve e può esaminare direttamente con propria indagine di fatto all’interno dei motivi di ricorso, e incidere unicamente sulla sentenza di legittimità (Cass. 18 febbraio 2014, n. 3820; Cass. 22 ottobre 2018, n. 26643; Cass. 18 febbraio 2019, n. 4686; Cass. 14 settembre 2021, n. 24700; Cass. 17 giugno 2022, n. 19713);
3.1. inoltre, come ancora recentemente è stato ribadito (Cass. 7 giugno 2022, n. 18335), esso non può consistere in un errore di diritto sostanziale o processuale, né in un errore di giudizio o di valutazione (Cass. 11 aprile 2018, n. 8984), dovendo piuttosto manifestarsi in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti invece in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato (Cass. 29 ottobre 2010, n. 22171; Cass. 11 gennaio 2018, n. 442);
3.2. l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, che presuppone l’esistenza di rappresentazioni divergenti dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa (Cass. 21 luglio 2011, n. 16003; Cass. 18 ottobre 2018, n. 26301). Sicché, ai sensi degli artt. 391 bis e 395, primo comma, n. 4, c.p.c., è esperibile la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte le volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle
argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (Cass. S.U. 27 novembre 2019, n. 31032);
nel caso di specie, la Corte di legittimità ha esaminato congiuntamente i due motivi di ricorso e deciso, sia pure sinteticamente ma più che adeguatamente, anche sul primo (distesamente enunciato ai p.ti da 5 a 5.3 di pgg. 4 e 5 dell’ordinanza), dando p articolare conto della riconducibilità pure ‘delle attività di coordinamento degli agenti dell’area assegnata’ (oggetto del primo motivo illustrato al p.to 5.1 di pgg. 4 e 5 dell’ordinanza) ‘nell’ambito del rapporto di agenzia’ (così al p.to 7.4 di pg. 7 d ell’ordinanza) e del ‘l’esclusione dell’esistenza di una simulazione’ (oggetto del primo motivo illustrato al p.to 5 di pg. 4 dell’ordinanza) ‘evidentemente implicita rispetto all’accertamento dell’inesistenza della subordinazione’ (così al p.to 7.5 di pgg. 7 e 8 dell’ordinanza). Sicché, essa ha compiuto una valutazione giuridica, non viziata da alcun errore di fatto;
il ricorso deve allora essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio regolate secondo il regime di soccombenza, con il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del
giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 28 maggio 2024