Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22110 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22110 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16029/2022 R.G. proposto da COGNOME NOME, in qualità di titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
COMUNE RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-controricorrente – avverso l’ordinanza della Corte di cassazione n. 5965/22, depositata il 23 febbraio 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 18 gennaio 2012, il Tribunale di Torre Annunziata, Sezione distaccata di RAGIONE_SOCIALE, accolse la domanda proposta da NOME COGNOME, in qualità di titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE, nei confronti del RAGIONE_SOCIALE e della Commissione straordinaria di liquidazione nominata ai sensi dell’art. 252 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, riconoscendo all’attore il diritto agl’interessi legali ed alla rivalutazione monetaria sulla somma di Euro 326.543,00, dovuta a titolo di corrispettivo per lavori edili e stradali, con decorrenza dal 5 maggio 1987 al soddisfo.
L’impugnazione proposta dal RAGIONE_SOCIALE e dalla Commissione fu accolta dalla Corte d’appello di Napoli, che con sentenza del 20 aprile 2016 dichiarò non dovuta la rivalutazione monetaria, riconoscendo all’attore il maggior danno di cui all’art. 1224, secondo comma, cod. civ., in misura pari alla differenza tra il tasso di rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degl’interessi legali, disponendo che gl’interessi e la rivalutazione decorressero dal 23 febbraio 1998, e dichiarando non dovuti gl’interessi e la rivalutazione dalla data della dichiarazione di dissesto del RAGIONE_SOCIALE alla data del rendiconto di cui all’art. 256 del d.lgs. n. 267 del 2000.
Sul ricorso per cassazione proposto dal COGNOME, questa Corte, con ordinanza del 23 febbraio 2022, ha accolto il primo motivo del ricorso incidentale proposto dal RAGIONE_SOCIALE, ha dichiarato assorbito il ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale, e, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda di riconoscimento del maggior danno proposta dall’attore.
Premesso che il Tribunale aveva condannato il RAGIONE_SOCIALE al pagamento della rivalutazione monetaria in misura pari agl’indici Istat, lasciando intendere che non era mai stata proposta una domanda di risarcimento del maggior danno di cui all’art. 1224, secondo comma, cod. civ., e precisato che tale statuizione era rimasta incensurata in appello, essendosi il COGNOME limitato ad insistere per il riconoscimento della rivalutazione monetaria, questa Corte ha rilevato che il Giudice di secondo grado, dopo aver riqualificato l’obbligazione fatta valere dall’attore come credito di valuta, aveva ritenuto che fosse
stata proposta un’autonoma domanda di risarcimento del maggior danno, senza considerare che quest’ultimo non costituisce una conseguenza automatica del ritardo nell’adempimento, ma richiede l’allegazione dei fatti costitutivi della pretesa.
La predetta ordinanza è stata impugnata dal COGNOME per revocazione, con ricorso affidato ad un solo motivo. Il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
A sostegno dell’impugnazione, il ricorrente osserva che, nel dichiarare assorbito il ricorso principale, l’ordinanza impugnata è incorsa in errore di fatto, non avendo considerato che con il terzo motivo egli aveva denunciato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 248, comma quarto, del d.lgs. n. 267 del 2000 in riferimento non solo alla rivalutazione monetaria, ma anche agl’interessi legali, a suo avviso dovuti anche per il periodo intercorrente tra la dichiarazione di dissesto e l’approvazione del rendiconto. Premesso che la censura è stata esaminata esclusivamente in riferimento alla rivalutazione monetaria, sostiene che l’omessa pronuncia in ordine agl’interessi non costituisce il frutto di una mera omissione, ma dipende da una falsa rappresentazione del contenuto del ricorso, avente carattere essenziale e decisivo, in quanto idonea ad impedire l’accoglimento della censura, e quindi riconducibile all’art. 395 n. 4 cod. proc. civ.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Com’è noto, l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, ivi comprese quelle della Corte di cassazione, presuppone un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali, e deve a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni indut-
tive, ed c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (cfr. Cass., Sez. VI, 26/01/2022, n. 2236; 10/06/2021, n. 16439; Cass., Sez. V, 22/10/2019, n. 26890). Con particolare riguardo alle sentenze (o alle ordinanze) di cassazione, esso deve inoltre riguardare gli atti «interni» al giudizio di legittimità (ovverosia quelli che la Corte deve, e può, esaminare direttamente con la propria indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio), e deve incidere esclusivamente sulla sentenza di cassazione, dal momento, ove sia stato causa determinante del provvedimento impugnato, in relazione ad atti o documenti che sono stati o avrebbero dovuto essere esaminati in quella sede, il vizio potrebbe essere fatto valere soltanto con le impugnazioni esperibili contro la pronuncia di merito (cfr. Cass., Sez. I, 22/10/2018, n. 26643; Cass., Sez. lav., 18/02/2014, n. 3820; Cass., Sez. III, 14/02/2006, n. 3190). Tra gli errori di fatto che, in quanto ricadenti sugli atti interni del giudizio di legittimità, possono legittimare l’impugnazione per revocazione delle sentenze (e delle ordinanze) di cassazione, ai sensi degli artt. 391bis e 395 n. 4 cod. proc. civ., dev’essere annoverato anche quello in cui questa Corte sia incorsa per avere omesso di pronunciare in ordine ad uno o più motivi di ricorso, a condizione però che tale omissione non dipenda dall’interpretazione e valutazione dei motivi d’impugnazione, la quale implica un’attività di giudizio, ma da una svista percettiva, emergente ictu oculi dal confronto tra la rappresentazione della realtà posta a fondamento della sentenza o dell’ordinanza e quella risultante dagli atti e dai documenti di causa. Sicchè il vizio revocatorio deve essere escluso tutte le volte in cui la pronuncia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura sul punto, poiché in tal caso è dedotto, non già un errore di fatto, bensì un’errata interpretazione dell’oggetto del ricorso e, quindi, un preteso errore di giudizio (cfr. Cass., Sez. Un., 27/11/2019, n. 31032; Cass., Sez. I, 18/10/2018, n. 26031; Cass. 3760/2018; Cass., Sez. VI, 21/07/2011, n. 16003).
Tale vizio non è riscontrabile nell’ordinanza impugnata, la quale, nell’accogliere il primo motivo del ricorso incidentale proposto dal RAGIONE_SOCIALE e dalla
Commissione di liquidazione, avverso la sentenza con cui la Corte d’appello di Napoli li aveva condannati al risarcimento del maggior danno per il ritardo nel pagamento della somma richiesta dall’attore, non ha affatto omesso di pronunciarsi in ordine alle censure proposte con il ricorso principale, ma le ha espressamente dichiarate assorbite, unitamente alle altre censure proposte con il ricorso incidentale, osservando che le stesse avevano ad oggetto la quantificazione del maggior danno e la rituale proposizione della domanda di risarcimento del maggior danno in sede di gravame, anch’essa destinata a perdere rilevanza, una volta esclusa l’avvenuta proposizione della medesima domanda in primo grado. In altri termini, questa Corte ha accolto -nella sentenza qui impugnata -il primo motivo del ricorso incidentale del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, con il quale l’ente aveva dedotto la nullità della sentenza di appello per ultrapetizione, avendo la Corte territoriale, sebbene avesse qualificato come debito di valuta quello del RAGIONE_SOCIALE, riconosciuto al COGNOME il maggior danno ex art. 1224 c.c., in difetto di una specifica domanda, dichiarando -di conseguenza -assorbiti tutti gli altri motivi di ricorso principale ed incidentale ‘volti a tradursi in censure sulla mera quantificazione del danno’.
Ebbene, l’errore incidente sulla dichiarazione di assorbimento di uno o più motivi d’impugnazione non è di certo qualificabile come errore di fatto, né in caso di assorbimento in senso proprio, che ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita sia divenuta superflua, per sopravvenuto difetto d’interesse della parte, che con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, né in caso di assorbimento improprio, che sussiste quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande: la predetta dichiarazione non comporta in alcun caso un’omissione di pronuncia, se non in senso formale, poiché, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare una decisione implicita (di rigetto o di accoglimento) anche sulle questioni ritenute assorbite, la cui motivazione consiste proprio nell’assorbimento (cfr. Cass., Sez. I, 12/11/2018, n. 28995; Cass., Sez. III, 19/12/2019, n. 33764; Cass., Sez. I, 27/12/2013, n. 28663), sicché la correttezza della relativa valutazione non è censurabile con l’impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395 n. 4 cod. proc. civ. (cfr. Cass.,
Sez. III, 4/08/2017, n. 19510).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 14/05/2024