Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31288 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31288 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/12/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2794/2025 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO.
– Ricorrenti –
Contro
COGNOME NOME, COGNOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO.
– Controricorrenti –
Avverso l ‘ordinanza della Suprema Corte di Cassazione n. 31887/2024 depositata il giorno 11/12/2024.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 25 novembre 2025.
Rilevato che:
Con atto di citazione notificato il 6 maggio 2008, NOME e NOME COGNOME, proprietari di un immobile adibito a civile abitazione, in Roma, INDIRIZZO, convennero dinanzi al
REVOCAZIONE
Tribunale di Roma i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME, proprietari dell’immobile confinante, per sentirli condannare alla rimozione di tutti i manufatti realizzati sulla loro proprietà, in violazione delle distanze legali, oltre al risarcimento dei danni, con specifico riferimento, per quanto qui rileva, ad un gazebo in legno sulla preesistente terrazza.
Il Tribunale di Roma, nel contraddittorio dei convenuti, respinse la domanda, con sentenza n. 23884 del 2012, avverso la quale gli attori proposero appello.
La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 274 del 2021, rigettò il gravame.
Questa Corte di Cassazione, con ordinanza n. 31887 del 2024, ha respinto il ricorso proposto dagli originari attori contro detta pronuncia della Corte territoriale.
NOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per la revocazione dell’ordinanza della S.C. n. 31887 del 2024, sulla base di un motivo.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
A seguito della proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c. del consigliere delegato (dott. NOME COGNOME), i ricorrenti hanno chiesto la decisione ed è stata fissata udienza per la decisione in camera di consiglio.
Quanto alla composizione del Collegio, occorre ricordare che, nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte – ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1
c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (Sez. U, Sentenza n. 9611 del 10/04/2024, Rv. 670667 – 01).
In prossimità dell’udienza, le parti hanno depositato memorie.
Considerato che:
1. C on l’unico motivo di ricorso è denunciata ‘ Violazione dell’art. 395, comma 1, n. 4), c.p.c., in relazione all’art. 391 bis c.p.c., per avere l’Ecc.ma Corte di Cassazione commesso un errore di fatto consistente nell’attribuire al manufatto oggetto di causa la funzione di arredo temporanea, che invece era incontrastabilmente esclusa dall’utilizzazione vetusta e permanente del manufatto risultante in modo incontrovertibile dagli atti del giudizio, e che l’Art. 3, comma 1, lett.e.5), D.P.R. n.380/2001, considera la connotazione essenziale per definire un manufatto quale intervento di nuova costruzione edilizia, e come tale sottoposto al rispetto delle distanze legali e regolamentari dal confine con i fondi finitimi ex artt. 873 e ss Cod. Civ . ‘ .
Specificamente, i ricorrenti addebitano alla RAGIONE_SOCIALEC. un errore di percezione lì dove, aderendo alla statuizione dei giudici di merito, ha attribuito al gazebo la funzione di arredo temporaneo per poi escludere che si trattasse di una nuova costruzione soggetta alla disciplina delle distanze legali, senza avvedersi che, in realtà, era aspetto pacifico e non controverso in causa la vetustà e quindi l’uso prolungato nel tempo del manufatto, che ne infirmavano la funzione di arredo temporaneo, quale elemento sufficiente al fine di dichiarare
fondata la domanda attorea ex art. 873 c.c. (‘Distanze nelle costruzioni ‘) , visto il tenore testuale dell’art. 3, comma 1 lett. e.5 del d.P.R. n. 380 del 2001, per il quale sono ‘ interventi di nuova costruzione: l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee ‘;
1.1. il motivo è inammissibile.
Questo, in breve, il quadro giurisprudenziale di riferimento (sul punto, vedi Cass. n. 27800/2025):
(i) l’ errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, compresa quella della Corte di cassazione, presuppone l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali; il detto errore deve: (1) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, (2) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; (3) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (Cass. Sez. 6, n. 16439, 10/6/2021);
(ii) il combinato disposto dell’art. 391 bis e dell’art. 395, n. 4, c.p.c. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione. È inammissibile il ricorso al rimedio previsto
dall’art. 391 bis c.p.c. nell’ipotesi in cui il dedotto errore riguardi norme giuridiche, atteso che la falsa percezione di queste, anche se indotta da errata percezione di interpretazioni fornite da precedenti indirizzi giurisprudenziali, integra gli estremi dell'” error iuris “, sia nel caso di obliterazione delle norme medesime (riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione), sia nel caso di distorsione della loro effettiva portata (riconducibile all’ipotesi della violazione) (Cass. Sez. 6, n. 29922, 29/12/2011; in termini, Cass. n. 4584/2020); (iii) corollario di tali enunciati è il principio secondo cui l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione della sentenza della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., consiste in una svista su dati di fatto, produttiva dell’affermazione o negazione di elementi decisivi per risolvere la questione, ragion per cui è inammissibile il ricorso per revocazione che suggerisca l’adozione di una soluzione giuridica diversa da quella adottata (Cass. Sez. 6, n. 3494, 12/02/2013).
Ciò premesso sul piano dei principi, l’ordinanza della S.C. di cui è chiesta la revoca, al contrario di quanto si sostiene in ricorso, non disconosce la vetustà e l’uso prolungato nel tempo del manufatto, ma afferma (vedi pagg. 5 e 6) che la Corte d’appello ha esaminato tutte le doglianze formulate dagli attuali ricorrenti, alla luce delle risultanze istruttorie e delle due consulenze tecniche d’ufficio, giungendo a negarne la fondatezza, (per quanto qui interessa) in relazione al gazebo, per il quale è stata esclusa la qualificazione di intervento di nuova costruzione edilizia in ragione del fatto che la struttura non è fissa, ma rimuovibile, ha la funzione di arredo temporaneo, non costituisce cubatura, e, perciò, non è sussumibile entro la categoria delle costruzioni, né viola le disposizioni in tema di distanze dal confine.
In ultima analisi, l’ ordinanza revocanda non è criticata per l’erronea percezione di un fatto che risulti incontestabilmente accertato in causa, ma per un (asserito) errore di diritto, consistente nell’esclusione del gazebo dal novero delle nuove costruzioni soggette alla disciplina delle distanze legali e regolamentari dai fondi confinanti; non si fa valere un errore di percezione, ma, inammissibilmente, un error iuris , il quale, è utile ripeterlo, non è vizio revocatorio;
in conclusione, il ricorso per revocazione è inammissibile, nel suo complesso, perché esula dall’ambito di applicazione dell’ art. 391 bis c.p.c.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
3. poiché il ricorso è deciso in conformità della proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis c.p.c. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge (non inferiore ad euro 500 e non superiore a euro 5.000. Cfr. Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023, Rv. 668909 -01; Sez. U, Ordinanza n. 27195 del 22/09/2023, Rv. 668850 -01; Sez. 3, Ordinanza n. 27947 del 04/10/2023, Rv. 669107 -01).
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00, più euro 200,00, per esborsi, oltre al 15 per cento per il rimborso delle spese generali, e agli accessori di legge.
Condanna i ricorrenti al pagamento della somma di euro 3.500,00, in favore dei controricorrenti, ex art. 96 comma 3 c.p.c., e di una ulteriore somma di euro 3.000,00, in favore della cassa delle ammende, ex art. 96 comma 4 c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 111.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, in data 25 novembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME