Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14062 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14062 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/05/2024
sul ricorso 4217/2023 proposto da:
COGNOME NOMENOME elettivamente domic. in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO, dal quale è rappres. e difeso, per procura speciale in atti;
-ricorrente-
-contro-
COGNOME NOME; COGNOME NOME, entrambi in proprio e quali eredi di NOME; COGNOME NOMENOME tutti elett.te domic. in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO, dal quale sono rappres. e difesi, per procura speciale in atti;
-controricorrenti-
NOME; NOME COGNOME; NOMENOME COGNOME NOME;
-intimati-
avverso l’ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione, n. 24149/22 , pubblicata in data 03.08.2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13.03.2024 dal Cons. rel., AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con ordinanza del 3.8.22- oggetto del ricorso per revocazione in esame- la Cassazione rigettava- previa riunione- due ricorsi proposti, l’uno da NOME COGNOME, e l’ altro da NOME COGNOME, NOME, NOME e NOME COGNOME (quali eredi di NOME COGNOME) i ricorsi proposti avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma del 6.4.17.
Al riguardo, NOME, NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME citarono innanzi al Tribunale di Roma NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendone la condanna al risarcimento dei danni cagionati dall’attività di negoziazione di titoli dagli stes si svolta per loro conto, che aveva determinato la perdita integrale del capitale investito per euro 350.509,61; gli attori avevano stipulato contratti di negoziazione con i convenuti tra maggio e luglio 2000, di cui chiedevano la nullità in quanto stipulati con un soggetto che svolgeva abusivamente l’attività d’intermediazione finanziaria , nonché l’inefficacia degli ordini impartiti dal delegato COGNOME, deducendo altresì l’inadeguatezza delle operazioni compiute per loro conto, in quanto caratterizzate da un altissimo grado di rischio.
Con sentenza del 23.8.10, il Tribunale dichiarò nulle le deleghe al convenuto COGNOME, ma rigettò la domanda, ritenendo che gli attori avessero ratificato le operazioni compiute, delle quali erano stati tempestivamente informati, escludendo la violazione degli obblighi di diligenza e buona fede, e l’inadeguatezza delle operazioni rispetto al profilo di rischio degli investitori.
La Corte territoriale accoglieva l’appello dei COGNOME – anche come eredi di NOME– e della COGNOME, condannando i convenuti al pagamento della somma di euro 580.850,85, in quanto: l’invalidità del mandato conferito al COGNOME escludeva il potere dello stesso di impartire ordini d’investimento all’intermediario, comportandone la responsabilità extracontrattuale, indipendentemente dalla correttezza e dall’adeguatezza delle operazioni compiute in esecuzione degli ordini inefficaci, avuto riguardo alla consapevolezza della predetta nullità e alla gravità del pregiudizio arrecato agli attori; era responsabile anche il NOME per non aver rifiutato l’esecuzione degli ordini.
Con ordinanza del 3.8.2022, la Cassazione rigettava il ricorso proposto avvero tale sentenza da COGNOME, COGNOME, e gli altri eredi COGNOME, osservando che: era irrilevante la pendenza di un procedimento arbitrale nei confronti di coobbligati solidali, non sussistendo i presupposti dell’integrazione del contraddittorio; era irrilevante il rigetto da parte del Tribunale della domanda di risarcimento dei danni, in quanto la citazione aveva ad oggetto anche la dichiarazione di nullità delle deleghe conferite al COGNOME per falsità delle relative sottoscrizioni, e per difetto di abilitazione all’esercizio dell’attività di promotore finanziario da parte del delegato, con la conseguenza che l’accoglimento di tale ultima domanda aveva determinato l’onere di impugnazione incidentale avverso l’altro capo della sentenza, non essendo sufficiente la mera riproposizione delle eccezioni sollevate al riguardo; il giudicato interno formatosi precludeva dunque l’esame delle sentenze prodotte dal COGNOME, afferenti alla medesima questione della validità delle deleghe; era infondata la tesi della ratifica degli ordini d’investimento, implicitamente di sattesa dalla sentenza della Corte d’appello , non sprovvista di motivazione sul punto (né a diversa conclusione sarebbe stato possibile addivenire sulla base delle
sentenze emesse in altri giudizi tra le parti, prive di efficacia vincolante nel giudizio in questione, poiché a tali giudizi non avevano preso parte i ricorrenti, mentre erano diversi petitum e causa petendi) ; era infondata la doglianza sulla preclusione dell’eccezione di prescrizione, non essendo stata impugnata sul punto la sentenza di primo grado; la sentenza della Corte d’appello aveva affermato il corretto principio per il quale il danno risarcibile era commisurabile alla differenza tra il valore dei titoli alla data dell’acquisto e quello residuo al momento della domanda di risarcimento, motivando, seppure sinteticamente, circa il rigetto della domanda riconvenzionale del COGNOME, escludendo l’elemento soggettivo del reato di calunnia ascritto agli attori.
Avverso la suddetta ordinanza della Cassazione, NOME COGNOME ricorre per revocazione con due motivi, illustrati da memoria.
NOME e NOME COGNOME– in proprio e quali eredi di NOME– e NOME COGNOME resistono con controricorso.
Non si sono costituiti gli altri intimati.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denuncia errore di fatto, ex art. 395, n.4, c.p.c., per aver la Corte di Cassazione ritenuto, contrariamente agli atti, che la sentenza di primo grado avesse espressamente rigettato l’eccezione di prescrizione del ricorrente COGNOME , ritenendo così necessario l’appello incidentale anziché, come avvenuto, la riproposizione di tale eccezione. Il secondo motivo denunzia errore di fatto, per aver la Cassazione ritenuto che il ricorrente avesse tardivamente censurato la sentenza d’appello nella parte relativa alla statuizione sull’eccezione di prescrizione.
I due motivi di revocazione, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono inammissibili.
Va osservato che l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, compresa quella della Corte di Cassazione, presuppone l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali; il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (Cass., n. 16439/2021; Cass., n. 3190/2006).
Inoltre, non sono suscettibili di revocazione le sentenze della Corte di Cassazione per le quali si deduca come errore di fatto un errore che attiene alla valutazione di atti sottoposti al controllo della Corte stessa – atti che, come tali, essa abbia dovuto necessa riamente percepire nel loro significato e nella loro consistenza – poiché un tale errore può risolversi al più in un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, in ogni caso qualificabile come errore di giudizio (Cass., n. 5326/2023; Cass., n. 4859/1998). Nella medesima prospettiva, si è affermato che, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio di cui all’art. 391 bis c.p.c. presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze
processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass., n. 10040/2022; Cass., S.U., n.8984/2018).
Orbene, nella specie, va premesso che il rilievo della tardività della censura mossa alla Cort e d’appello dal COGNOME riguardo alla prescrizione, operato dalla sentenza oggetto di impugnazione , non è decisivo, atteso che la Corte ha rigettato nel merito il motivo di ricorso. Questa Corte ha invero rilevato – ed in affetti il rilievo è corretto (v. sentenza di appello, p. 7) – che il rigetto dell’eccezione di prescrizione da parte del Tribunale non aveva costituito oggetto di appello incidentale, per cui, essendosi verificata un parziale soccombenza del COGNOME, questi avrebbe dovuto impugnare la decisione di primo grado con appello incidentale, non limitandosi a riproporre la questione, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.
Sul punto si era dunque formato il giudicato, con la conseguenza che la questione di prescrizione non poteva essere valutata neppure in Cassazione; si tratta di decisione su questione controversa tra le parti, resa all’esito della valutazione degli atti processuali (sentenza di prime cure e atti difensivi delle parti), come tale incensurabile in sede di revocazione.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 8.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della 1° sezione civile del 13