Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10736 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 10736 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11007/2023 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall ‘avvocato COGNOME
– controricorrente –
avverso l’ORDINANZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 7024/2023, depositata il 09/03/2023 pronunciata su ricorso 28118-
2018 proposto dalla sopra indicata NOME contro COGNOME
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Sostituto Procuratore generale in persona del dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’ accoglimento del ricorso per revocazione e in sede rescissoria per l’accoglimento dei due motivi di ricorso;
uditi gli avvocati COGNOME per la ricorrente e COGNOME per la controricorrente;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva dinanzi il Tribunale di Genova NOME COGNOME esponendo di aver acquistato l’appartamento nell’edificio in Genova, INDIRIZZO individuato all’interno 4 della scala destra e che la convenuta, proprietaria dell’unità interno 6A, porzione minore della originaria unità 6, articolata su due livelli, nel corso di modifiche strutturali della sua proprietà aveva inglobato al proprio appartamento una porzione del sottotetto di pertinenza dell’appartamento d ell’attore che chiedeva, conseguentemente, il riconoscimento della proprietà del sottotetto con condanna della Loss alla riduzione in pristino.
Si costituiva in Giudizio NOME COGNOME sostenendo l’infondatezza della domanda dell’attore, in quanto la porzione rivendicata era in realtà il locale cucina dell’appartamento Loss, fisicamente separata. in confine, dal solaio, costituente soffitto dell’appartamento COGNOME e pavimento di quello Loss, e spiegava domanda riconvenzionale per sentir condannare il COGNOME a contribuire alla realizzazione delle opere di consolidamento e separazione tra le due proprietà.
Il Tribunale di Genova accoglieva la domanda attorea e dichiarava “che il locale sottotetto esistente nello stabile di Genova INDIRIZZO tra l ‘ appartamento interno 4 al di sopra del locale
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disimpegno e del locale igienico e confinante con il tetto di detto stabile censito ed annesso unitamente a maggior porzione dell’interno 6A di proprietà della signora NOME COGNOME contraddistinto dal foglio 95, mapp. 253, s11b. 21, A/5. d 8, Sez. GE A, vani 2,5 era pertinenza dell’appartamento interno e quindi di proprietà del signor NOME COGNOME per averlo acquistato in forza dell’atto Atto Notaio NOME COGNOME rep. N. 48736 in data 8 luglio 2002 e comunque in virtù di atti di provenienza precedenti: accertava e dichiarava che la signora NOME COGNOME, proprietaria dell’appartamento sito nel civico INDIRIZZO INDIRIZZO aveva abusivamente occupato ed ampliato il proprio appartamento annettendo un vano sottotetto meglio indicato sopra e la condannava a rimettere in pristino i locali di cui è causa ed a consegnare ad NOME COGNOME il locale sottotetto libero e sgombero da persone e cose; rigettava la domanda riconvenzionale di parre convenuta” e la condannava al pagamento delle spese di causa e di quelle della CTU.
NOME NOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
Si costituiva nel giudizio di secondo grado NOME COGNOME il quale chiedeva il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza gravata.
La Corte d’Appello rigettava il gravame. La Corte, dopo aver rinnovato la CTU, esaminati i rispettivi titoli di acquisto e le conclusioni dell’ausiliario riteneva corretta la decisione del giudice di primo grado. Questi aveva motivato correttamente sia in fatto che in diritto, disattendendo la conclusione del CTU Ing. COGNOME in quanto non ritenuta chiara e non fondata su documenti certi. Il primo Giudice si era basato, infatti, sull’esame diretto della situazione dei luoghi, ricavato sia dalla CTU che dalle foto, che rappresentavano come senz’altro non calpestabile l’area di sottotetto, perché realizzata in
canniccio, con la conseguenza che essa non poteva essere stata utilizzata dalla Loss, né da eventuali inquilini.
A tale area sottotetto, senza alcun dubbio, la Loss era acceduta mediante la rottura del muro di spina di divisione dell’unico vano di cui era composto l’int. 6A.
Sulla base di tali circostanze, non contestabili in fatto, la sentenza appellata aveva ritenuto provato che la porzione di causa avesse la funzione di spazio destinato a servire da protezione (anche per dimensioni ed altezza) dell’appartamento interno 4, quanto meno nella parte non sovrastata da pavimento calpestabile, diversamente da quello, invece, calpestabile facente parte della proprietà acquistata da Loss nel 1979 ed indicata nell’atto di provenienza avente come confine il sottostante appartamento int. 4.
Il fatto, poi, che attraverso l’apertura nel muro di spina dell’appartamento 6/a, era stato creato un varco di accesso, unito al chiaro tentativo di realizzare un solaio calpestabile al posto del preesistente canniccio, da parte di Loss, rafforzava la conclusione raggiunta dalla sentenza gravata e, cioè, che il vano, non avendo alcun interesse al servizio condominiale, costituiva il sottotetto di pertinenza dell’appartamento interno 4 di proprietà Canova. Ciò indipendentemente dall’altezza abitabile dell’appartamento int. 4, indicata negli atti in mt. 3,80 laddove il confine era rappresentato dall’appartamento 6/A. L’altezza, in realtà, si estendeva oltre il limite dei mt. 3,80. creato con il controsoffitto di mt. 3,85, laddove, invece, il confine era rappresentato dal tetto, non essendo la porzione di sottotetto, sovrastata dal pavimento calpestabile di pertinenza dell’appartamento acquistato dalla Loss.
NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi di ricorso.
COGNOME NOME resisteva con controricorso.
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Il ricorso era articolato in due motivi, tra loro strettamente connessi: 1) con il primo motivo si lamentava ‘omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.’; 2) con il secondo motivo si contesta va ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 922 e 2967 c.c., 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 , c.p.c.’;
Questa Corte con ordinanza n.7024/2023 dichiarava inammissibile il ricorso perché la sentenza d’appello si fonda va ‘pedissequamente, laconicamente allineandovisi’ sulle stesse ragioni della sentenza di primo grado, sicché il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. non era proponibile (v. l’art. 348 -ter, ultimo comma c.p.c. e cfr. al riguardo Cass. n. 7724/2022). L’inammissibilità del primo motivo si riflette va sul secondo, per il quale l’omesso esame avrebbe comportato la violazione degli artt. 922 e 2967 c.c. e 115 c.p.c., non essendo stato considerato dai giudici di merito che la ricorrente, per effetto dei contratti di compravendita dei suoi danti causa, aveva acquisito la proprietà di tutto il sottotetto, così che la domanda di COGNOME non poteva che essere considerata sfornita di prova e rigettata.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per revocazione della suddetta sentenza.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
A seguito di tale comunicazione, la parte ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
14 . È stata fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ
All’esito di tale udienza la Corte ha rimesso la trattazione del ricorso alla pubblica udienza.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso per revocazione e nel giudizio rescissorio l’accoglimento dei due motivi di ricorso .
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve richiamarsi la pronuncia delle Sezioni Unite secondo cui: nel procedimento ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024).
1.1 Con il motivo di ricorso per revocazione si lamenta che l’ordinanza n.7024/2023 è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti e dai documenti di causa. In particolare, nell’ordinanza la Corte avrebbe erroneamente supposto l’esistenza di un atto di appello azionato successivamente all’11 settembre 2012, data a partire dalla quale è entrata in vigore la normativa che ha introdotto l’art. 348 ter , c.p.c..
L’atto di citazione in appello, invece, era stato notificato il 30 aprile 2010 e, dunque, la sentenza della Corte di Appello di Genova trattava un procedimento di impugnazione azionato nel 2010.
Pertanto, poiché la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’ art. 348 ter, quinto comma, cod. proc. civ. non si applica, agli effetti dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11 settembre 2012, emergerebbe l’errore della Corte che sarebbe anche decisivo in quanto unico argomento a sostegno alla decisione di inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME e pertanto qualificabile come errore decisivo.
1.1 Il ricorso per revocazione è fondato.
Il collegio condivide le conclusioni del P.G. circa l’ammissibilità del ricorso per revocazione.
Infatti, è del tutto consolidato l’orientamento secondo cui : La domanda di revocazione della sentenza della Corte di Cassazione per errore di fatto, da proporre, in base al disposto dell’art. 391 bis cod. proc. civ., con ricorso ai sensi degli articoli 365 e seguenti, deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione del motivo della revocazione, prescritta dall’art. 398, comma secondo, cod. proc. civ. e la esposizione dei fatti di causa rilevanti, richiesta dall’art. 366, n. 3, cod. proc. civ. e non anche la riproposizione dei motivi dell’originario ricorso per Cassazione (Cass. Sez. U., 20/11/2003, n. 17631, Rv. 568331 – 01).
Nella specie il ricorso soddisfa questi requisiti ancorché parte ricorrente non abbia riproposto i motivi dell’originario ricorso .
Le Sezioni Unite nella citata sentenza hanno precisato che una volta accertata la sussistenza dell’errore, con conseguente annullamento della sentenza che ne era affetta (giudizio rescindente),
la Corte di cassazione dovrà procedere alla rinnovazione del giudizio di legittimità sulla originaria domanda di cassazione (giudizio rescissorio), in applicazione del disposto dell’art. 402, comma 1, c.p.c. opportunamente adattato al giudizio di legittimità, e cioè prendendo in esame il ricorso originariamente proposto . Ricorso che è inserito nel fascicolo d’ufficio del procedimento definito con la sentenza revocata, che già si trova presso la Corte di cassazione e che va necessariamente riunito al fascicolo relativo al ricorso per revocazione .
1.2 Superata la questione riguardante l’ammissibilità del ricorso e passando al merito deve affermarsi che sussiste l’errore revocatorio.
Nella giurisprudenza di questa Corte è oramai acquisito il principio secondo il quale l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, compresa quella della Corte di Cassazione, presuppone l’esistenza di un contrasto tra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali; il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza e obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (Cass. Sez. 6-2 10-6-2021 n. 16439 Rv. 661483-01, Cass. Sez. 3 14-2-2006 n. 3190 Rv. 590611-01).
L’errore nella fattispecie ha tutte queste caratteristiche, in quanto è consistito in un errore di percezione sulla data di inizio del giudizio di appello che ha determinato l’applicazione dell’art. 348 ter c.p.c. e la conseguente inammissibilità del motivo fondato su omesso esame su
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fatto decisivo oggetto di discussione e sulla conseguente inammissibilità anche del motivo successivo.
Nella specie risultava dagli atti che la citazione in appello era del 30 aprile 2010 (pag. 4 sentenza di appello) e infatti il procedimento di appello recava il numero di ruolo generale 668/10. Dunque, il giudizio era già pendente alla data prevista dalla disciplina transitoria per l’applicazione dell a norma sopra citata. Infatti, ai sensi dell’ art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, le regole sulla pronuncia della cd. ‘ doppia conforme ‘ si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto (id est, ai giudizi di appello introdotti dal giorno 11 settembre 2012).
La parte controricorrente obietta che nell’ordinanza revocanda non si è mai affermata la data di inizio del processo di appello e, dunque, che l’errore sarebbe di diritto. La tesi non è condivisibile in quanto , proprio per non esservi stata una esplicita decisione sul punto, deve ritenersi che il presupposto sul quale si è fondata la decisione di applicazione delle regole della c.d. ‘ doppia conforme ‘ , sia stato l ‘errore di percezione circa il momento di inizio del processo di appello.
Ritenuta la sussistenza dell ‘errore di fatto che ha comportato l’erronea dichiarazione di inammissibilità dei motivi di ricorso per cassazione deve accogliersi il ricorso per revocazione ed esaurito il giudizio rescindente, deve procedersi ad esaminare nella successiva fase rescissoria, i motivi di ricorso originariamente proposti.
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: ‘omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.’ .
L a Corte d’appello, dopo avere riportato stralci degli atti pubblici di acquisto delle parti in causa, con mere affermazioni di principio giunge a conclusioni illogiche e apodittiche, senza menzionare (ed evidentemente senza esaminare) gli atti pubblici di provenienza della ricorrente del 22 maggio 1956 e del 1° aprile 1940 e quello di provenienza di Canova del 29 dicembre 1969.
Gli atti di provenienza dell’immobile oggi di Loss e gli atti di provenienza dell’immobile oggi di Canova sono perfettamente coerenti: hanno ad oggetto i due immobili che si sovrappongono l’uno (quello della Loss) all’altro (quello del Canova). L’esame di detti atti pubblici di provenienza, secondo parte ricorrente, sarebbe stato assolutamente omesso dalla Corte: se tali documenti fossero stati esaminati, la decisione sarebbe stata di segno diverso perché il Giudice non avrebbe potuto ritenere, come invece ha fatto con erronea deduzione, il tetto quale confine superiore dell’immobile Canova in quanto tutti i sottotetti di INDIRIZZO scala destra risultano documentalmente di proprietà della Loss, proprietà che si interpone tra il Canova ed il tetto.
Le caratteristiche strutturali e funzionali dei vani sottotetto ai fini dell’attribuzione della proprietà quale pertinenza dell ‘ appartamento sottostante, rilevano salvo che il titolo disponga diversamente. La proprietà del sottotetto si determina infatti in base al titolo; il giudice d’appello ha poi, come il primo giudice, disatteso le conclusioni raggiunte dal consulente tecnico d’ufficio, pedissequamente riportandosi alla sentenza di primo grado, senza spiegare le ragioni delle divergenze rispetto all’ausiliario . Nella CTU di appello si legge che: tenuto conto che la Loss ha comprato nel 1979 e probabilmente detto locale esisteva già ed era descritto in planimetria come locale di sgombero. Il Canova ha acquistato nel 2002, in data posteriore alle sanatorie intrapresa da Loss e comunque con il locale in questione già inglobato nel civ. 6a. se il vano fosse stato di pertinenza del Canova, l
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precedenti proprietari avrebbero dovuto prima di lui evidenziare una presa di possesso impropria del locale oggetto di causa e nell ‘ appartamento del Canova doveva esservi un accesso per accedere al locale oggetto di causa.’
Dunque, parte ricorrente lamenta anche il mancato esame delle risultanze della CTU quale vizio della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risolvendosi nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 922 e 2967 c.c., 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
I consulenti tecnici d’ufficio avrebbero omesso di valorizzare il dato oggettivo rappresentato dall’esplicita previsione dei sottotetti negli atti di compravendita e, in particolare, nei richiamati rogiti del 1940 e del 1956, omissione che ha fatto sì che la Corte d’appello, come già il Tribunale, non abbia posto a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, in tal modo violando l’art. 2697 c.c. e l’art. 115 c.p.c.
I due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.
Come evidenziato dall’Ufficio di Procura l a Corte territoriale non ha tenuto in nessun conto gli atti pubblici di provenienza della dante causa della ricorrente datati 22 maggio 1956 e 1° aprile 1940, il cui testo è riportato alla pg. 13 del ricorso nel rispetto del principio di autosufficienza.
Il Procuratore Generale evidenzia anche che da tali titoli si ricava effettivamente che i sottotetti sono di proprietà della Loss, interponendosi tra il Canova e il tetto, così come meglio specificato alla pg. 21 del detto atto avversativo e ribadito alle pg. 3 e 4 della memoria di parte istante per l’adunanza del 13 ottobre 2022; il che va letto in
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combinato anche con la riscontrata perdurante altezza interna di mt. 3,80, anch’essa diuturnamente dedotta nei libelli difensivi di parte istante .
Il collegio condivide le suddette conclusioni nella parte in cui si evidenzia un omesso esame dei titoli di provenienza della Loss. In particolare, l’atto pubblico del 22 maggio 1956 di acquisto di NOME COGNOME dante causa della Loss con atto del 29 marzo 1979 non è stato in alcun modo oggetto di esame da parte della Corte d’Appello quantomeno per porlo a raffronto con il successivo titolo della Loss.
L’esame del suddetto titolo era necessari o anche al fine di stabilire la data di venuta ad esistenza e di inglobamento del sottotetto nell’appartamento della ricorrente che, invece, la Corte ha ritenuto di non poter determinare con certezza. L’accoglimento della domanda di rivendica del Canova , dunque, si è fondata anche su un’erronea distribuzione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c..
Risulta peraltro del tutto contraddittoria l’affermazione della sentenza secondo cui il sottotetto svolge solo una funzione di protezione caldo/freddo dell’appartamento del Canova e che non è calpestabile, argomenti dai quali la Corte trae la conclusione che il sottotetto è pertinenza del suddetto interno 4 nella parte in cui non vi si interpone l’appartamento della ricorrente.
4. L’accoglimento dei due motivi di ricorso comporta la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Genova con rinvio al giudice a quo in diversa composizione anche per le spese dei giudizi di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso per revocazione avverso l’ordinanza della Corte di cassazione n. 7024 del 2023, pubblicata il 9 marzo 2023, revoca la suddetta ordinanza e giudicando in rescissorio sul ricorso
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contro
la sentenza n. 1040/2018 della Corte d’appello di Genova, depositata il 25 giugno 2018, accoglie i due motivi di ricorso, cassa la predetta sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese dei giudizi di legittimità, alla suddetta Corte d’Appello in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione