Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11813 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11813 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
REVOCAZIONE ORDINANZA CORTE DI CASSAZIONE
ORDINANZA
sui ricorsi riuniti iscritti ai nn. 20965, 21872 e 21967 del R.G. dell’anno 2023 proposti rispettivamente il primo da ,
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
il secondo e il terzo da
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE COGNOMERAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente successivo –
contro
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE -FORNITURE ORTOFRUTTICOLE ALIMENTARI RAGIONE_SOCIALE
-intimati –
Avverso e per la revocazione dell ‘ordinanza n. 20696/2023 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositata il giorno 17 luglio 2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 febbraio 2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Nel 2002 l ‘ Azienda Ospedaliera ‘Complesso Ospedaliero San Giovanni-Addolorata ‘ (in appresso, per brevità: l’Azienda Ospedaliera) stipulò un contratto di appalto con un ‘ associazione temporanea di imprese, della quale facevano parte (fra le altre e per quanto in questa sede ancora rileva), RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE
Il contratto di appalto aveva ad oggetto la fornitura di pasti e la gestione del magazzino alimentare, con le connesse operazioni di trasporto e distribuzione, in favore dei degenti e del personale dell ‘ Azienda Ospedaliera.
A partire dall ‘ anno 2006 insorse controversia fra la committente e le società appaltatrici: la prima sostenne di avere contabilizzato e pagato, nel periodo compreso fra il 2002 e il 2005, i pasti relativi ad un numero di degenze superiore a quello effettivo, ed a tal fine corresse in riduzione i dati già comunicati alle appaltatrici.
Queste ultime contestarono la legittimità di tale condotta e nel 2008 convennero, in separati giudizi poi riuniti, l ‘ Azienda Ospedaliera innanzi il Tribunale di Roma, chiedendone la condanna al pagamento delle somme ancora dovute, richieste in misura pari a circa 1,6 milioni di euro per la RAGIONE_SOCIALE, e circa 500.000 euro per la NOME.
Nel resistere alle domande, l’ Azienda Ospedaliera dedusse che in relazione a tale vicenda un proprio funzionario amministrativo, NOME COGNOME era stato sottoposto a procedimento penale ed alla misura cautelare della custodia in carcere, con l ‘ imputazione di corruzione, truffa e falso, per avere in concorso con altre persone e nell’esercizio delle proprie funzioni, fatturato e fatto pagare all’Azienda « rimborsi per
un numero maggiore dei pasti effettivamente erogati e talvolta maggiori delle necessità connesse al numero massimo di posti letto effettivi » (così, anni dopo, si pronuncerà la seconda sezione penale di questa Corte nella sentenza n. 49398 del 29.10.2018).
All’esito della controversia di prime cure (nella quale venne trattata congiuntamente analoga domanda proposta da altra società appaltatrice, la RAGIONE_SOCIALE), il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 18247 emessa il 17 settembre 2013, in parziale accoglimento delle istanze attoree, condannò l’Azienda Ospedaliera al pagamento di euro 679.759,18 in favore di RAGIONE_SOCIALE e di euro 415.446,07 in favore di NOME, oltre, per entrambe, interessi al tasso ex d.lgs. 8 agosto 2002, n. 231.
Per quanto ancora qui d’interesse, il Tribunale ritenne:
-) condivisibili, nel merito e nel metodo, le conclusioni rassegnate dal nominato consulente tecnico d ‘ ufficio, affermando, in particolare, l’utilizzabilità, ad opera dell’ausiliario, dei documenti prodotti dall ‘ Azienda Ospedaliera dopo lo spirare dei termini previsti dall’art. 183 del codice di rito;
-) il contratto di appalto de quo da interpretare nel senso che il compenso unitario per ciascun pasto e per ciascun giorno di degenza andava riferito ai soli pazienti che avessero trascorso almeno una notte in ospedale, con esclusione quindi di quanti fossero stati ricoverati e dimessi nella stessa giornata (in regime di day hospital o day surgery ).
Avverso detta pronuncia formularono separati appelli (poi riuniti) la RAGIONE_SOCIALE e la Azienda Ospedaliera.
Con sentenza 16 ottobre 2019 n. 6192 la Corte d’appello di Roma rigettò il gravame della RAGIONE_SOCIALE ed accolse quello della Azienda Ospedaliera, riducendo , per l’effetto, gli importi da quest’ultima dovuti ad euro 521.196,35 nei riguardi della RAGIONE_SOCIALE e ad euro 344.041,83 nei confronti della NOME.
Cons. est. NOME COGNOME
Questi, in sintesi, gli argomenti fondanti la decisione:
(i) le domande di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale e di condanna per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 cod. civ. proposte dalla RAGIONE_SOCIALE non potevano essere esaminate, perché espressamente formulate in via subordinata rispetto alla domanda di condanna all ‘ adempimento del contratto, domanda la quale era stata accolta, ancorché parzialmente;
(ii) gli esiti della esperita consulenza tecnica di ufficio erano condivisibili: quanto al metodo, i documenti utilizzati dal l’ausiliario officioso e prodotti dall’Azienda Ospedaliera erano stati legittimamente valutati, sia per espressa autorizzazione all ‘ acquisizione da parte del giudice, sia per mancata opposizione delle altre parti;
(iii) nella determinazione del compenso contrattualmente stabilito non dovevano essere conteggiati gli accessi in regime di day hospital e di day surgery , siccome ricoveri inferiori alle 24 ore e che non includevano la permanenza notturna in ospedale;
(iv) qualunque contegno della Azienda Ospedaliera, consistito nell’avallare differenti interpretazioni contrattuali, era irrilevante a fronte del principio per cui i contratti delle pubbliche amministrazioni devono essere redatti per iscritto, con la conseguenza che i patti in essi contenuti non potevano essere modificati per facta concludentia ;
(v) la sentenza di primo grado era erronea per contraddittorietà, ed andava riformata, nella parte in cui, da un lato, aveva affermato in iure che il contratto ancorava la misura del corrispettivo dovuto dall ‘ Azienda alle imprese appaltatrici alla « giornata di degenza pro capite », e, dall ‘ altro, aveva conteggiato nel compenso anche gli accessi in ospedale in regime di day hospital e di day surgery ;
(vi) inammissibile era invece il motivo di appello con cui l ‘ Azienda Ospedaliera aveva censurato la liquidazione degli interessi di mora al
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tasso stabilito dal d. lgs. n. 231 del 2002, in quanto prospettante una questione nuova, non sollevata nel precedente grado di giudizio.
Avverso la sentenza resa in appello la COGNOME dispiegò ricorso per cassazione in via principale, articolato in quattro motivi.
Oltre a resistere con controricorso, proposero altresì ricorso incidentale l’Azienda Ospedaliera (affidandosi a due motivi) e la NOME (per un unico motivo).
La Innova manifestò, con controricorso, resistenza al ricorso incidentale dell’Azienda Ospedaliera.
Non svolse difese nell’impugnazione di legittimità la RAGIONE_SOCIALE
All’esito dell’adunanza camerale del 21 giugno 2023, in vista della quale tutte le parti costituite depositarono memoria illustrativa, questa Corte, con ordinanza n. 20696/2023 pubblicata il 17 luglio 2023, dichiarò l’improcedibilità del ricorso principale e dei due ricorsi incidentali sul rilievo dell’omess o deposito, ad opera di tutte le parti impugnanti, di copia della sentenza impugnata munita della relazione di notificazione, in violazione dell’art. 369 del codice di rito , disponendo altresì la compensazione, per intero, delle spese del grado.
Di tale ordinanza hanno domandato la revocazione:
) la RAGIONE_SOCIALE con ricorso iscritto, con deposito telematico del 30 ottobre 2023, al n. 20965 del R.G. dell’anno 2023;
) l’Azienda Ospedaliera, con ricorso, per mera duplicazione, depositato (in via telematica) per due volte (nei giorni 11 e 13 novembre 2023) e, quindi, iscritto (rispettivamente), ai nn. 21872 e 21697 del R.G. dell’anno 2023 .
La trattazione dei ricorsi è stata fissata nell’udienza camerale in epigrafe e con separate ordinanze è stata disposta la riunione, a mente dell’art. 335 cod. proc. civ., dei ricorsi nn. 21872 e nn. 21967 a quello previamente iscritto al n. 20965 del R.G. anno 2023.
Nei giudizi di revocazione non hanno svolto difese la NOME e la FRAGIONE_SOCIALE
Le parti ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
I ricorsi sono stati trattati all’udienza camerale in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
A suffragio dell’istanza di revocazione, la RAGIONE_SOCIALE lamenta l’errore di fatto, decisivo ai fini della declaratoria di improcedibilità dei ricorsi per cassazione, costituito dall’aver ritenuta non prodotta agli atti del fascicolo la copia autentica della sentenza impugnata corredata dalla relazione di notifica della stessa.
Adduce, in particolare, che la Corte di legittimità, per mera svista percettiva, non si è avveduta che la copia della sentenza, in uno alla relazione di notifica, era stata depositata – come documento sub c) nel relativo fascicoletto – dalla controricorrente e ricorrente incidentale Azienda Ospedaliera, all’atto della tempestiva costituzione in giudizio (avvenuta in data 24 gennaio 2020, a fronte di un controricorso notificato il 7 gennaio 2020 in risposta al ricorso principale della Innova notificato il 3 gennaio 2020).
Identiche argomentazioni sorreggono il ricorso per revocazione separatamente formulato dalla Azienda Ospedaliera.
Le domande di revocazione sono fondate.
3.1. Per consolidato orientamento di nomofilachia, la dichiarazione – contenuta nel ricorso per cassazione – di avvenuta notificazione della sentenza impugnata, attesta un fatto processuale – la notificazione della sentenza, appunto – idoneo a far decorrere il termine breve di impugnazione ex art. 325 cod. proc. civ. e, quale manifestazione di autoresponsabilità della parte, impegna quest ‘ ultima a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere in capo ad essa l ‘ onere di depositare, nel termine stabilito dall ‘ art. 369 cod. proc. civ., copia della sentenza munita della relata di notifica – ovvero
Cons. est. NOME COGNOME
delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo PEC – senza che sia possibile recuperare alla relativa omissione mediante la successiva, e ormai tardiva, produzione ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ. ( ex plurimis, cfr. Cass., Sez. U, 06/07/2022, n. 21349; Cass. 07/06/2021, n. 15832).
Più specificamente, in caso di impugnazione di legittimità di una sentenza notificata a mezzo di posta elettronica certificata, ai fini della procedibilità del ricorso, il ricorrente è tenuto a depositare, unitamente allo stesso, il messaggio di posta elettronica certificata in formato .eml o .msg recante la relata di notifica della sentenza impugnata: il mero deposito della copia autentica di quest’ultima, non corredato dalla relazione di notifica, importa dunque il difetto di procedibilità del ricorso (così Cass. 27/05/2024, n. 14790; Cass. 22/07/2019, n. 19695).
La dichiarazione di improcedibilità resta tuttavia esclusa quando l ‘ impugnazione sia proposta contro una sentenza notificata, di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica (o le copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notifica a mezzo PEC), ove tale documentazione risulti comunque nella disponibilità del giudice, per essere stata prodotta dal controricorrente nel termine di cui all ‘ art. 370, terzo comma, cod. proc. civ., ovvero acquisita – nei casi in cui la legge dispone che la cancelleria provveda alla comunicazione o alla notificazione del provvedimento impugnato (da cui decorre il termine breve per impugnare ex art. 325 cod. proc. civ.) – mediante l ‘ istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio (oltre alle pronunce citate supra, cfr. Cass., Sez. U, 02/05/2017, n. 10648; Cass. 12/02/2020, n. 3466; Cass. 20/06/2024, n. 17014).
3.2. Tanto puntualizzato in linea generale, nella vicenda in esame va rilevato come la relazione di notifica della sentenza n. 6192/2019 della Corte d’appello di Roma -in dettaglio, la riproduzione a stampa del messaggio pec inviato dal difensore della RAGIONE_SOCIALE ai difensori
delle controparti recante la notifica, in allegato, di detta sentenza – era stata prodotta dal controricorrente (nonché ricorrente incidentale) Azienda Ospedaliera, al momento della costituzione nel giudizio per cassazione, compiuta nel rispetto del termine sancito d all’art. 370, terzo comma, cod. proc. civ. (e precisamente, con deposito effettuato il 24 gennaio 2020, a seguito del controricorso con ricorso incidentale notificato in data 7 gennaio 2020).
Risulta pertanto evidente la svista percettiva in cui è incappata questa Corte, qualificabile come errore di fatto, precisamente su un fatto processuale, rilevante ed altresì decisivo, dacché in sua mancanza la decisione sarebbe stata di segno opposto alla dichiarata improcedibilità dei ricorsi per cassazione.
3.3. Riscontrata la sussistenza di un vizio integrante la fattispecie di cui all’art. 395, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., l’ordinanza di questa Corte n. 20696/2023 del 17 luglio 2023 va revocata, limitatamente però alla dichiarazione di improcedibilità dei ricorsi per cassazione spiegati dalla RAGIONE_SOCIALE e dall’Azienda Ospedaliera.
Resta invece ferma la statuizione di improcedibilità del ricorso per cassazione interposto dalla NOMECOGNOME in difetto di istanza di revocazione ad opera di quest’ultima ed attesa la non dipendenza di tale statuizione dalla decisione resa sugli altri due ricorsi.
Occorre dunque muovere al giudizio rescissorio.
A tanto si procede in appresso, seguendo l’ordine di proposizione delle impugnazioni di legittimità: dapprima, il ricorso principale della RAGIONE_SOCIALE, di poi il ricorso incidentale dell’Azienda Ospedaliera.
Il primo motivo del ricorso della NOME denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e seguenti cod. civ. nonché dei d.d.mm. Ministro Sanità 27 ottobre 2000 n. 380 e 14 dicembre 1994.
La trasgressione ai canoni di ermeneutica negoziale viene ravvisata da parte impugnante nell’aver e la Corte d ‘ appello romana interpretato
l ‘ espressione « giornata di degenza pro capite» (costituente l’unità di misura cui il contratto di appalto parametrava il corrispettivo dovuto dall’Azienda Ospedaliera ai fornitori di pasti) alla stregua di « ricovero comportante almeno un pernottamento in ospedale ».
Ad avviso della ricorrente, per contro, il corrispettivo del servizio di ristorazione era dovuto al fornitore per « ciascuna presenza registrata in ospedale a titolo di degenza, anche se di breve durata o limitata ad una sola giornata», dacché, a mente del d.m. n. 380 del 2000, «ogni singolo accesso giornaliero del paziente è conteggiato come giornata di degenza »: ragion per cui il compenso andava riconosciuto anche per i ricoveri diurni ( day hospital e day surgery ).
5.1. Il motivo è inammissibile, per una duplice, autonoma, ragione.
5.1.1. In primo luogo, perché la questione con esso sollevata è coperta dal giudicato.
Come puntualmente eccepito in memoria illustrativa dall’Azienda Ospedaliera, questa Corte, con l’ordinanza n. 7022/2020 pubblicata il giorno 11 marzo 2020, pronunciando sullo stesso rapporto contrattuale oggetto del contendere in relazione a prestazioni eseguite in differente annualità, ha ritenuto corretta l’esegesi offerta dal giudice terri toriale all’accordo negoziale intercorso tra le parti nel senso di escludere la spettanza alla società fornitrice del corrispettivo per i pasti relativi alle degenze effettuate in regime di day hospital e day surgery .
Più specificamente, con il citato arresto, questo giudice ha valutato la sopra riportata lettura ed interpretazione delle dichiarazioni negoziali pienamente rispettosa dei canoni di ermeneutica fissati dal legislatore, non connotata da « alcuna attribuzione di significati estranei al comune contenuto semantico delle parole », né inficiata da « una ricostruzione del significato complessivo dell’atto negoziale in termini di palese irrazionalità o intima contraddittorietà ».
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La pronuncia fa stato e preclude un nuovo apprezzamento in questa sede del medesimo regolamento contrattuale.
5.1.2. Sotto altro profilo, l’inammissibilità del motivo risiede nel fatto che esso si limita a richiedere a questa Corte una diversa esegesi del contratto , senza addurre e compiutamente illustrare l’inosservanza di alcuno specifico criterio di ermeneutica negoziale.
Devesi al riguardo rammentare che l’interpretazione di un contratto fornita dal giudice di merito può condurre al positivo esito del sindacato di legittimità quando essa sia grammaticalmente, sistematicamente o logicamente scorretta, ma non già quando rappresenti una delle possibili e plausibili interpretazioni del negozio.
La valutazione della Corte di cassazione non può infatti investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’àmbito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce soltanto alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica dettati dagli artt. 1362 e seguenti del codice civile e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di qualsivoglia critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nel rappresentare una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati ( ex plurimis , Cass. 10/02/2023, n. 4272; Cass. 14/12/2022, n. 36516; Cass. 09/04/2021, n. 9461; 09/04/2021, n. 9461; Cass. 20/01/2021, n. 995; Cass. 26/05/2016, n. 10891; Cass. 09/04/2015, n. 7118; Cass. 10/02/2015, n. 2465).
Nel caso di specie, la società ricorrente, sotto la apparente veste della denuncia di inosservanza di plurimi criteri legali di ermeneutica, nella sostanza contrappone una propria interpretazione del contratto a quella adottata dal giudice territoriale, la quale di per sé si connota come non implausibile.
Ed invero, secondo le accezioni semantiche comunemente invalse, tra i significati del lemma « giornata » rientra anche quello di sinonimo
di « giorno », ovvero di « arco di tempo della durata di almeno 24 ore »: sicché per nulla implausibile risulta il senso nei predetti termini attribuito al lemma dal giudice di merito.
Non giova infine alla ricorrente il richiamo ai decreti Ministero della Sanità del 27 ottobre 2000 (intitolato « Regolamento recante norme concernenti l’aggiornamento della disciplina del flusso informativo sui dimessi dagli istituti di ricovero pubblici e privati ») e del 14 dicembre 1994 (intitolato « Tariffe delle prestazioni di assistenza ospedaliera »).
Ambedue i decreti, eccentrici per oggetto e per scopo rispetto alla materia oggetto dal contratto da cui scaturisce la lite, nemmeno offrono elementi adoperabili per un ‘ interpretazione sistematica di esso.
Il primo (d.m. 27 ottobre 2000) regola la raccolta dei dati per la misurazione dei flussi di ingresso e di permanenza negli ospedali: ma la nozione di « degenza » a tal fine contenuta dal d.m. è in tutta evidenza differente dal concetto di « degenza » quale parametro per la somministrazione dei pasti (e la debenza del relativo corrispettivo): per l’ovvia (ma dirimente) considerazione che chi mangia in ospedale può non dormirvi, ma chi dorme in ospedale non può non mangiarvi.
Il secondo (d.m. 14 dicembre 1994) disciplina i criteri di tariffazione delle prestazioni erogate dalle strutture sanitarie: anch’esso , pertanto, non solo non è decisivo per l’interpretazione dei contratti di fornitura dei pasti, ma per di più contiene una indicazione contrastante con la prospettazione della società ricorrente.
Gli allegati a detto decreto, infatti, dettano differenti criteri di tariffazione per le prestazioni rese in « regime di ricovero diurno » (Allegato 2) e per le prestazioni erogate in « regime di degenza » (Allegato 3): distinzione che si pone in antitesi con la assimilazione dei due regimi invece assunta dalla ricorrente come fondamento della propugnata lettura interpretativa del contratto de quo .
Il secondo motivo del ricorso della COGNOME ascrive alla gravata sentenza violazione del principio di non contestazione sancito dall’art. 115 cod. proc. civ., per aver trascurato che l’Azienda Ospedaliera non aveva contestato (ed anzi, aveva confermato) il criterio di calcolo delle giornate di degenza inclusivo dei ricoveri diurni fondante la domanda attorea, accolta all’esito del giudizio di prime cure.
6.1. Anche questo motivo è inammissibile per plurime ragioni.
6.1.1. In primis , per inosservanza del requisito stabilito dall’art. 366, primo comma, num. 6, del codice di rito.
Per fermo orientamento di nomofilachia, ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con si denunci la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell ‘ atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi (mercé la riproduzione degli atti del giudizio nella misura necessaria a tale scopo), sia, specificamente, il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori scritti difensivi della controparte, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. (sul tema, cfr. Cass. 29/05/2024, n. 15058; Cass. 22/05/2017, n. 12840; Cass. 09/08/2016, n. 16655).
Nella specie, tale onere si palesa radicalmente inadempiuto, la non contestazione ad opera dell’Azienda risultando meramente postulata.
6.1.2. In secondo luogo, perché la vicenda in scrutinio esula dal corretto àmbito di operatività del principio di non contestazione.
Quest’ultimo, infatti, concerne, per definizione, « fatti », intesi come accadimenti di vita in senso storico-naturalistica, non già nozioni o qualificazioni giuridiche oppure ancora elementi in iure costitutivi di un diritto (Cass. 30/01/2024, n. 2844): stabilire come vada interpretato
un contratto, e quali diritti ed obblighi ne nascano a favore ed a carico dei contraenti, è una attività di giudizio, non di accertamento dei fatti.
Qualsiasi atteggiamento processuale assunto nelle proprie difese dal l’Azienda Ospedaliera non avrebbe potuto vincolare il giudicante nella interpretazione del contratto di appalto oggetto di lite: e tanto, anche perché, pur se riferito a fatti in senso proprio, dal difetto di contestazione non nasce un vincolo di meccanica conformazione per il giudice, il quale ben può pervenire ad un diverso accertamento, ove dagli atti di causa o dal materiale probatorio raccolto emerga la inesistenza del fatto non contestato o una sua diversa ricostruzione (Cass. 07/06/2023, n. 16028; Cass., Sez. U, 16/02/2016, n. 2951).
7. Il terzo motivo del ricorso della RAGIONE_SOCIALE, articolato per violazione dell’art. 1375 cod. civ., censura la mancata condanna dell’Azienda Ospedaliera -condanna domandata nell’atto di appello -al risarcimento del danno da inadempimento per avere l’Azienda richiesto un numero di rette alimentari sovrabbondante rispetto alle necessità del nosocomio « con danno economico del tutto ingiustificato a carico del fornitore, che, remunerato a forfait, ha dovuto fornire un numero di pasti non necessari, sopportando un esborso di spesa ingiustificato ».
7.1. Il motivo è inammissibile, non rivolgendo una critica precisa, puntuale e pertinente della ratio decidendi dell’impugnata sentenza.
La domanda di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale (come quella di condanna per ingiustificato arricchimento) non è stata decisa nel merito dalla Corte territoriale ma ritenuta assorbita in quanto, alla stregua delle conclusioni rassegnate nel giudizio di primo grado (pedissequamente trascritte alla pag. 8 della sentenza), formulata in via subordinata rispetto al l’eventualità di rigetto della domanda principale volta ad ottenere il pagamento del corrispettivo, domanda principale invece in parte accolta.
Cons. est. NOME COGNOME
Orbene, l’intera argomentazione sviluppata dalla ricorrente – tesa a sostenere una subordinazione della domanda risarcitoria circoscritta al solo caso di integrale reiezione della domanda di pagamento del corrispettivo si fonda sul contenuto dell’atto di appello ed alle emergenze dello stesso: e perciò essa non si correla alla motivazione della sentenza gravata.
7.1.2. Per completezza argomentativa, si osserva che le ulteriori considerazioni della sentenza impugnata (alla pag. 9) circa la mancata dimostrazione di un inadempimento contrattuale consistente nella dedotta richiesta di un numero di pasti superiore a quello dei degenti (nonché circa la non configurabilità di un indebito arricchimento ex art. 2041 cod. civ.) risultano sviluppate « ad ogni modo e per ragioni di completezza », cioè a dire dichiaratamente ad abundantiam : attesa la ininfluenza della motivazione di tal fatta ai fini della decisione, è inammissibile, per difetto di interesse, una impugnazione di legittimità che richieda un sindacato su detta motivazione (v., sulle orme di Cass., Sez. U, 20/02/2007, n. 3840, cfr. Cass. 19/12/2017, n. 30393; Cass. 16/06/2020, n. 11675; Cass., Sez. U, 01/02/2021, n. 2155).
7.1.3. Del tutto inconferente è, infine, la denuncia della violazione dell’art. 1375 cod. civ., norma non pertinente al caso in disamina, vertente sulla interpretazione di una domanda giudiziale.
Il quarto motivo del ricorso della COGNOME, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 cod. civ., assume l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di ingiustificato arricchimento, nonostante fosse stat a provata l’utilità tratta dalla Azienda Ospedaliera dalla fornitura di oltre 80.000 pasti in più rispetto a quelli necessari a soddisfare le esigenze alimentari del nosocomio.
8.1. Il motivo è inammissibile.
La domanda di condanna per ingiustificato arricchimento è stata reputata assorbita (e, quindi, non stata valutata nel merito) dalla Corte
d’appello, siccome dispiegata in via gradata rispetto alla domanda principale, in parte accolta, di condanna al pagamento del corrispettivo.
Il motivo in scrutinio attinge criticamente la motivazione sulla non configurabilità nella specie di un indebito arricchimento rilevante ai sensi dell’art. 2041 cod. civ. estrinsecata ad abundatiam nella sentenza in vaglio (pag. 9): esso pertanto si appalesa inammissibile, per le ragioni già illustrate sopra, sub § 7.1.2..
Il primo motivo del ricorso incidentale dell’Azienda Ospedaliera lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 345 cod. proc. civ. e degli artt. 1, 2, 4, 5 e 11 del d.lgs. n. 231 del 2002.
Parte impugnante censura la sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto « nuovo » e, quindi, inammissibile in appello, il motivo con cui l’Azienda, impugnando la decisione di prime cure, aveva eccepito la inapplicabilità ratione temporis alla fattispecie del regime degli interessi di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, evidenziando come il contratto in parola, pur sottoscritto in data 31 ottobre 2002, avesse decorrenza a far data dal 1° ottobre 2001.
Osserva, in contrario, che la questione della misura del saggio di interessi era stata introdotta nel giudizio di primo grado dagli attori che ne avevano domandato la liquidazione e ritiene che la stessa, in quanto di mero diritto, integri una mera difesa, altresì rilevabile ex officio dal giudice, estranea alle preclusioni di cui all’art. 345 cod. proc. civ..
9.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
9.1.1. Inammissibile poiché inosservante del requisito prescritto dall’art. 366, primo comma, numm. 3 e 6, cod. proc. civ..
Questa disposizione, alla luce delle indicazioni della giurisprudenza sovranazionale (in specie, della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 resa nella causa COGNOME RAGIONE_SOCIALE c/Italia), impone alla parte ricorrente la trascrizione – essenziale e per le parti d’interesse – degli atti e dei documenti richiamati (dei quali deve invece escludersi la necessità di
una integrale riproduzione), in guisa da contemperare il fine legittimo di semplificare (e non già pregiudicare) lo scrutinio del giudice di legittimità e, allo stesso tempo, garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ( ex multis, Cass. 03/03/2023, n. 6524; Cass. 14/03/2022, n. 8117; Cass. 04/02/2022, n. 3612).
L’applicazione di detti princìpi nel caso in esame esigeva, per la parte ricorrente, l’adeguata illustrazione, nell’atto di adizione di questa Corte, del contenuto delle allegazioni difensive svolte nella comparsa di costituzione del giudizio di primo grado e nell’atto di appello, onde consentire di verificare in quale momento, con quali modalità e in quali esatti termini fosse stata introdotta nel thema decidendum della causa la contestazione sulla misura del saggio di interessi, in specie sotto il profilo della decorrenza del contratto fonte dell’avversa pretesa.
Per converso, il descritto onere allegativo risulta inadempiuto nell’atto introduttivo del presente giudizio di legittimità, nel quale la parte impugnante si limita ad assiomatiche asserzioni relative alle difese esplicate nei precedenti gradi, senza darsi cura di riportare – in maniera adeguata o quantomeno per punti essenziali -il contenuto degli atti processuali richiamati (dell’atto di appello omettendo anche la c.d. localizzazione, ovvero la indicazione circa la sua collocazione nel fascicolo di ufficio e circa la sua produzione o acquisizione nel giudizio di legittimità: Cass., Sez. U., 18/03/2022, n. 8950).
La evidenziata deficienza espositiva non rende a questa Corte una cognizione adeguata sul fatto processuale ed impedisce il vaglio sulla sussistenza del lamentato vizio processuale.
9.1.2. Ad ogni modo, pur per ipotesi volendo superare il precedente rilievo, il motivo è infondato, conforme a diritto profilandosi la trasgressione al disposto dell’art. 345 cod. proc. civ. riscontrata nella vicenda (per come rappresentata) dal giudice territoriale.
Ad avviso di questa Corte, stabilire se un debito pecuniario di una P.A. sia o meno soggetto al regime dei ritardi nelle transazioni commerciali (e, quindi, l’applicazione del saggio di interessi nella misura fissata dal d.lgs. n. 231 del 2002), non è questione di puro diritto, ma è questione mista di fatto-diritto.
La relativa decisione impone, infatti, di accertare: a) l’epoca della stipula del contratto (il d. lgs. n. 231 del 2002 non s’applica ai contratti conclusi prima dell ‘otto agosto 2002, giusta la previsione dell’art. 11 del d.lgs. stesso); b) se la p.a. committente rientri o meno tra quelle di cui all’art. 2, lettera (b), d i detto decreto; c) se il ritardo sia dovuto a causa non imputabile al debitore (art. 3 d.lgs. n. 231 del 2002).
Allegare una diversa decorrenza del contratto in grado di appello (come accaduto nella specie) vuol dire allora contestare la sussistenza dei presupposti dell’avverso diritto agli interessi al saggio stabilito dal d.lgs. n. 231 del 2002, ma sulla base di una circostanza fattuale diversa: integra, dunque, una eccezione nuova.
Resta assorbito lo scrutinio del secondo motivo del ricorso dell’Azienda Ospedaliera, relativo alla insussistenza nel caso concreto dei presupposti di operatività del tasso di interessi di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, siccome formulato in via condizionata all’accoglimento del primo, invece dichiarato inammissibile.
In conclusione: sono accolti i ricorsi per revocazione proposti dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla Azienda Ospedaliera e, per l’effetto, revocata la ordinanza di questa Corte n. 20696/2023 resa il 17 luglio 2023, ma limitatamente alle statuizioni concernenti dette parti.
Decidendo in sede rescissoria, sono dichiarati inammissibili i ricorsi per cassazione della Innova e della Azienda Ospedaliera.
L ‘assenza di conflitto in sede di revocazione e la soccombenza reciproca in sede rescissoria giustificano la integrale compensazione
delle spese dei giudizi di revocazione e di cassazione tra la RAGIONE_SOCIALE e l’Azienda Ospedaliera.
Attesa l’i nammissibilità dei ricorsi per cassazione, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte dei ricorrenti -ex art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, ove dovuto, a norma del comma 1bis dell ‘ art. 13.
p.q.m.
Accoglie i ricorsi per revocazione proposti da RAGIONE_SOCIALE e da Azienda Ospedaliera Complesso Ospedaliero San Giovanni-Addolorata e, per l’effetto, revoca l’ordinanza di questa Corte n. 20696/2023, limitatamente alle statuizioni concernenti le due parti ricorrenti.
Pronunciando in sede rescissoria, dichiara inammissibili il ricorso principale della RAGIONE_SOCIALE ed il ricorso successivo oggettivamente incidentale della Azienda Ospedaliera Complesso Ospedaliero San Giovanni-Addolorata.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di revocazione e del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte di ambedue i ricorrenti per cassazione dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso rispettivamente proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione