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Errore di fatto Cassazione: quando la sentenza è nulla

Un cittadino chiede la revocazione di una sentenza della Cassazione per un presunto errore di fatto. La Corte, tuttavia, ipotizza un vizio più grave: una svista tale da rendere la precedente decisione giuridicamente inesistente. Invece di procedere con la revocazione, la Corte emette un’ordinanza interlocutoria per riesaminare da capo il ricorso originario, dopo aver sentito le parti su questa nuova qualificazione del vizio.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Errore di fatto Cassazione: quando una svista rende la sentenza inesistente

Un errore di fatto della Cassazione può avere conseguenze profonde sull’esito di un giudizio. Ma cosa succede quando l’errore è così macroscopico da far dubitare persino dell’esistenza stessa della pronuncia? Con l’ordinanza interlocutoria n. 7451/2024, la Suprema Corte affronta un caso emblematico, distinguendo tra l’errore di fatto che giustifica una revocazione e la svista talmente grave da rendere la sentenza giuridicamente inesistente, aprendo la strada a una nuova valutazione del ricorso.

I fatti di causa

Un cittadino, dopo aver ottenuto un indennizzo per l’eccessiva durata (18 anni) di un processo civile, aveva proposto ricorso in Cassazione contro la decisione della Corte d’Appello. La Suprema Corte, con una precedente ordinanza, aveva dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo che il ricorrente si fosse limitato a contestare l’importo liquidato (quantum) senza sollevare censure specifiche.

Avverso tale decisione, il cittadino ha proposto un ricorso per revocazione, sostenendo che la Cassazione fosse incorsa in un palese errore di fatto. A suo dire, il motivo del ricorso originario non riguardava l’importo dell’indennizzo, bensì la decisione del giudice di compensare le spese legali. In pratica, la Corte avrebbe letto male il ricorso, decidendo su una questione diversa da quella effettivamente sollevata.

La decisione della Corte di Cassazione e il concetto di errore di fatto

Investita del ricorso per revocazione, la Seconda Sezione Civile della Cassazione si trova di fronte a un bivio. Invece di limitarsi a valutare la sussistenza dell’errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4 c.p.c., il Collegio ipotizza un vizio ancora più radicale. L’errore descritto dal ricorrente sembra essere così profondo da suggerire che la precedente ordinanza sia il frutto di una “mera svista”, quasi come se la motivazione e il dispositivo fossero stati scritti per un’altra causa.

Secondo la Corte, in casi simili, non si è di fronte a un errore percettivo all’interno di un giudizio correttamente formato, ma a un “incompiuto esercizio della giurisdizione”. Il provvedimento emesso sarebbe, quindi, “giuridicamente inesistente” o “radicalmente nullo”, perché di fatto manca una pronuncia sul ricorso concretamente proposto. Di conseguenza, il rimedio corretto non è la revocazione (che presuppone una sentenza esistente, seppur viziata), ma la rinnovazione del giudizio, come se la Corte non avesse mai deciso.

Per queste ragioni, la Corte emette un’ordinanza interlocutoria, con la quale assegna alle parti un termine di sessanta giorni per presentare osservazioni su questa specifica questione, rilevata d’ufficio, prima di procedere a una nuova deliberazione.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla distinzione concettuale tra due istituti processuali: la revocazione per errore di fatto della Cassazione e la declaratoria di inesistenza giuridica di un provvedimento. La revocazione, spiega la Corte, serve a emendare un decisum che si è formato sulla base di una percezione errata della realtà processuale. L’errore incide sulla formazione del giudizio di fatto, ma la sentenza esiste ed è valida fino alla sua eventuale revoca.

Nel caso di specie, invece, la discrepanza tra il ricorso presentato e la decisione emessa è tale da far pensare che non vi sia stata alcuna effettiva pronuncia sul tema del contendere. La sentenza precedente, pur esistendo materialmente, sarebbe giuridicamente inesistente perché la sua motivazione è del tutto estranea all’oggetto del giudizio. In tale ipotesi, come affermato da recente giurisprudenza anche a Sezioni Unite, non si può procedere a revocazione. Il giudice deve semplicemente prendere atto di non aver ancora provveduto e procedere (nuovamente) all’esame del ricorso originario.

Le conclusioni

Questa ordinanza interlocutoria offre un importante chiarimento sui limiti della revocazione e sulle conseguenze di un errore di fatto della Cassazione di eccezionale gravità. La Corte stabilisce che, quando una svista è così radicale da scollegare completamente la decisione dalla domanda, il provvedimento è da considerarsi nullo o inesistente. In questi casi, il rimedio non è correggere la sentenza viziata, ma riprendere il giudizio dal punto in cui si era interrotto, garantendo così il corretto esercizio della funzione giurisdizionale. La decisione finale dipenderà dalle osservazioni delle parti, ma la strada tracciata dalla Corte è chiara: un errore macroscopico non si corregge, si supera procedendo a una nuova e corretta valutazione.

Qual è la differenza tra un errore di fatto revocatorio e una sentenza “inesistente”?
L’errore di fatto revocatorio è una svista del giudice su atti o documenti di causa che vizia una sentenza comunque esistente e valida. Una sentenza “inesistente”, invece, si ha quando la svista è così grave (es. la motivazione riguarda un’altra causa) che si ritiene che il giudice non si sia mai pronunciato sul ricorso, rendendo il provvedimento nullo e privo di effetti.

Cosa succede se la Corte di Cassazione emette una sentenza basata su una svista macroscopica?
Se la svista è tale da rendere la sentenza giuridicamente inesistente, il rimedio non è la revocazione. La Corte deve prendere atto di non aver ancora deciso sul ricorso e procedere a un nuovo esame e a una nuova deliberazione della causa.

Perché la Corte ha emesso un’ordinanza interlocutoria invece di decidere subito?
La Corte ha emesso un’ordinanza interlocutoria perché ha rilevato d’ufficio una questione giuridica non sollevata dalle parti (la potenziale inesistenza della sentenza precedente anziché un semplice errore di fatto). In base all’art. 384 c.p.c., prima di decidere su tale questione, deve assegnare alle parti un termine per presentare le loro osservazioni, garantendo il rispetto del principio del contraddittorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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