Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7451 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7451 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/03/2024
Oggetto:
Revocazione
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n.4625/2023 R.G. proposto da COGNOME NOME in proprio e quale erede di NOME COGNOME, rappresentato e difeso, con procura speciale in calce al ricorso, dall’avvocato NOME COGNOME del foro di Vibo Valentia e dall’avvocato NOME COGNOME del foro di Catanzaro ed elettivamente domiciliato all’i ndirizzo PEC dei difensori iscritto nel REGINDE;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso gli Uffici della stessa Avvocatura;
-controricorrente – avverso l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 2461/2023, pubblicata il 26 gennaio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTO E DIRITTO
Nel procedimento definito con ordinanza della Sesta Sezione civile-2, in data 26 gennaio 2023 n. 2461, questa Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto da NOME COGNOME COGNOME avverso il decreto n. 27 del 2021, con cui la Corte di appello di Catanzaro, quale giudice del rinvio, aveva liquidato al ricorrente a titolo di equo indennizzo di cui alla legge n. 89/2001 la somma di euro 10.800,00, riconoscendo una durata irragionevole del giudizio civile presupposto di 18 anni, oltre accessori.
Questa Corte -per quanto qui di interesse – ha affermato la inammissibilità del ricorso in quanto con i quattro motivi di ricorso la parte si limitava a contestare il quantum dell’indennizzo riconosciuto sotto il duplice profilo della durata irragionevole del giudizio presupposto e dell’importo liquidato per ogni anno, senza tuttavia attingere in modo specifico
l’individuazione degli intervalli temporali non indennizzabili e non riferibili alla condotta della Corte distrettuale; al pari del quantum per il quale il ricorrente chiedeva solo un maggior importo;
– avverso siffatta decisione il COGNOME ha proposto, con ricorso notificato il 28 febbraio 2023, revocazione ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., affidato ad un unico motivo, per essere la sentenza impugnata -a suo avviso -affetta da errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti della causa per non avere considerato che il ricorso atteneva ad un unico motivo relativo alla compensazione delle spese di lite di tutte le fasi da parte del giudice del rinvio, cui ha resistito il Ministero della giustizia con controricorso.
Fissata adunanza camerale, parte ricorrente ha anche curato il deposito di memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
L’art. 391bis c.p.c. – che è stato inserito dall’art. 67 della legge n. 533 del 1990 e che è stato successivamente modificato dal legislatore (dapprima, ad opera del d.lgs. n. 40/2006 e, più di recente, ad opera della legge n. 197/2016), anche a seguito di pronunce della Corte costituzionale (cfr. sent. n. 119 del 1996 e sent. n. 207 del 2009) – prevede che le sentenze e le ordinanze della Corte di cassazione possono essere oggetto di correzione e di revocazione.
I due istituti sono entrambi funzionali all’eliminazione di errori non di diritto nei quali sia incorsa la Corte di legittimità, ma sono tra loro profondamente diversi e profondamente diverso è il loro ambito di applicazione, come risulta dalla disamina
della disciplina normativa e della giurisprudenza di legittimità formatasi in materia.
Per quanto qui di interesse, occorre rilevare che le caratteristiche della revocazione sono rappresentate dall’avere ad oggetto “errore di fatto ai sensi dell’art. 395 numero 4 c.p.c.”, dal poter essere chiesta entro il termine di 60 giorni dalla notificazione (ovvero di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento) , dal non poter mai essere rilevato d’ufficio l’errore revocatorio, dall’ introdurre una nuova fase processuale (Cass. n. 8491 del 2009) e presupporre l’erroneità del decisum , per effetto di una errata percezione delle risultanze di fatto da parte del giudice (Cass. n. 657 del 2003), incidendo sulla formazione del giudizio di fatto contenuto nella decisione (che, se ammissibile, è emendabile attraverso revocazione).
Il Collegio, tuttavia, ritiene che il caso di specie -dovuto realmente a mera svista -possa essere assimilato ai casi nei quali, sempre per evidente inavvertenza, è stato emesso dalla Corte un provvedimento giurisdizionale avente contenuto decisorio nei confronti delle parti del giudizio, ma con motivazione e dispositivo relativi a diversa causa seppure concernente gli stessi soggetti, tanto che sul ricorso in concreto proposto vada escluso che vi sia stata una pronuncia da parte della Corte.
In questi casi, secondo la giurisprudenza di legittimità, formatasi prima a sezione semplice e di recente anche a Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., n. 11032 del 2023), poiché è mancata una pronuncia che solo in minima parte è riferibile al
ricorso da esaminare, il giudizio su di esso può dirsi che difetti e il provvedimento emesso è giuridicamente inesistente (o radicalmente nullo), sicché l’incompiuto esercizio della giurisdizione comporta che il giudice, cui è apparentemente da attribuire la pronuncia inesistente, può procedere alla sua rinnovazione, emanando un nuovo atto conclusivo del giudizio, questa volta valido (v. in tal senso, Cass. n. 40883 del 2021; Cass. n. 16497 del 2019; Cass. n. 6162 del 2014 e Cass. n. 30067 del 2011; di recente non massimata, Cass. n. 2263 del 2023).
In tale ipotesi, è stato ritenuto che non sia esperibile il procedimento di revocazione per errore revocatorio, in quanto, a differenza di quel che si verifica in detto ultimo caso, la decisione mancherebbe del tutto e la Corte, dovendo ravvisare di non avervi ancora provveduto, è tenuta a procedere allo svolgimento del giudizio sul ricorso non esaminato.
A siffatta ricostruzione non sarebbe di ostacolo neanche la specifica qualificazione data alla procedura de qua al momento della iscrizione a ruolo, poiché spetta al Collegio adito la sussunzione di quanto richiesto entro l’una piuttosto che entro l’altra delle categorie dei procedimenti in cui si articola il giudizio di legittimità, e ciò comporta la potestà di procedere (nuovamente) alla delibazione del ricorso proposto, con l’adozione dei provvedimenti che verranno ritenuti opportuni all’esito, previa assegnazione alle parti di un termine per prendere posizione sulle questioni rilevate d’ufficio con la presente ordinanza ai sensi dell’art. 384, comma 3 c.p.c.
P.Q.M.
La Corte assegna alle parti termine fino a sessanta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla questione d’ufficio sopra indicata.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione