Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33903 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33903 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 28201/2021 r.g. proposto da:
COGNOME NOME e NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche a ll’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrente –
contro
Comune di Pietragalla, in persona del legale rappresentante pro tempore
– intimato – avverso l ‘ordinan za della Corte di appello di Potenza n. 3088/2021, depositata in data 14/10/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Il Consiglio di Stato con sentenza n. 790 del 3/2/2016, riformando la sentenza del Tar Basilicata (sentenza n. 228 del 2015) affermava l’obbligo del Comune di Pietragalla di sanare la situazione mediante adozione di atto di acquisizione ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, con riferimento ai terreni, di proprietà di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
In particolare, il COGNOME era proprietario in via esclusiva del terreno di cui al foglio 45, particella 1236, occupato per mq 54, mentre i coniugi erano titolari in comproprietà del fondo di cui al foglio 56, particella n. 802, occupata per mq 91.
Il decreto di occupazione di urgenza era stato emesso il 7/10/1985 e, nel frattempo, era intervenuta l’irreversibile trasformazione del fondo con infrastrutture viarie.
Il 24/10/1986 era stato redatto un progetto di variante.
Il Tar, con sentenza n. 228 del 2015, aveva reputato maturata l’usucapione in favore del comune con riferimento alle aree occupate.
Il Consiglio di Stato con sentenza n. 790 del 2015 aveva riformato la sentenza del Tar, affermando l’obbligo del Comune di sanare la situazione con provvedimento ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
Con nota n. 2848 del 2016 del 21/4/2016 il Comune comunicava che il valore del terreno era stato quantificato euro 3,524 al metro quadrato, per un totale di euro 510,98, di cui euro
190,30 in relazione al terreno di cui al foglio 45, particella 1236, per mq 54 (3,534 X 54) ed euro 320,68 in relazione al terreno di cui al foglio 56, particella 802, per mq 91 (3,524 X 91).
Avverso tale provvedimento veniva proposto il primo ricorso, rubricato al n. 313 del 2016 R.G.
Il Comune emetteva poi il provvedimento definitivo di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P .R. n. 327 del 2001, n. 4104 del 22/6/2016.
Avverso tale provvedimento veniva proposto il secondo ricorso, rubricato al n. 458 del 2016 R.G.
Il CTU, nominato dalla Corte territoriale nell’ambito dei due giudizi riuniti, evidenziava che, al momento dell’esproprio, i fondi si trovavano nell’ambito urbano di Pietragalla Centro e che, ai sensi dell’art. 23, erano inedificabili, alla stregua di suoli destinati ad infrastrutture per la viabilità.
Il terreno di cui alla particella 1236 veniva stimato in euro 266,78, sussistendo un rischio idrogeologico elevato, mentre il terreno di cui alla particella n. 802 veniva stimato in euro 840,51, stante il vincolo idrogeologico, trattandosi di aree ancillari a quelle edificabili, con determinazione del valore in euro 42,95 al metro quadrato, ridotto del 50% in assenza del piano particolareggiato, e quindi determinato nella somma di euro 21,48 m².
In tal modo, la Corte d’appello quantificava le somme spettanti per il terreno di cui alla particella 1236, muovendo dal valore venale di euro 266,78, cui aggiungeva il pregiudizio non patrimoniale pari al 10%, di euro 26,67 oltre all’indennizzo per l’occupazione senza titolo (pari al 5%), di euro 333,76, giungendo alla somma definitiva di euro 627,21.
Le somme spettanti per il terreno di cui alla particella n. 802 venivano determinate muovendo dal valore venale di euro 840,51,
cui si aggiungeva il pregiudizio non patrimoniale pari al 10%, di euro 84,05, oltre all’indennizzo per l’occupazione senza titolo (pari al 5%), di euro 1050,63, giungendo alla somma definitiva di euro 1975,19.
Pertanto, a fronte della somma offerta pari ad euro 510,98, la Corte d’appello liquidava euro 2602,00.
Tuttavia la Corte territoriale, pur indicando il valore dei beni in conformità alle risultanze della CTU, e quindi in euro 627,21 (particella n. 12136) ed in euro 1975,19 (particella n. 802), per la somma complessiva di euro 2602,00, reputava che non fossero dovuti gli interessi, in quanto «ai ricorrenti è riconosciuta definitivamente e a titolo di indennizzo una somma inferiore rispetto a quella già determinata dall’ente», che però era di appena euro 510,98.
Reputando sussistere la soccombenza degli opponenti, li condannava anche alle spese del giudizio.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la «ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. 55/2017 – Ingiusta ed illegittima condanna alle spese di giudizio – Carenza assoluta di istruttoria – Erroneità nei presupposti – Errato ed omesso esame dei documenti – E per omesso esame di un fatto decisivo, risultante dagli atti e oggetto di contraddittorio tra le parti – Per avere la Corte d’appello di Potenza, nonostante avesse riconosciuto una somma di ben quattro volte maggiore di quella liquidata dal Comune di Pietragalla condannat i ricorrenti alle spese del giudizio».
In particolare, i ricorrenti rilevano che la somma liquidata dalla Corte d’appello pari ad euro 2602,00 era superiore alla somma
offerta dal Comune pari ad euro 510,98, sulla base del prezzo al metro quadrato di euro 3,524, da moltiplicare per la superficie complessiva di mq 145 (mq 54 relativi alla particella 1236 del foglio 45 e metri quadri 91 di cui alla particella del foglio 56 n. 802).
La Corte territoriale, invece, ha erroneamente reputato che l’indennizzo offerto dal Comune ai ricorrenti era di euro 3524,00, quindi superiore a quello poi riconosciuto dalla stessa Corte d’appello pari ad euro 2602,00.
Di qui, non solo il mancato riconoscimento degli interessi, in base alla motivazione per cui «nessuna somma è dovuta a titolo di interessi giacché ai ricorrenti è riconosciuta definitivamente e a titolo di indennizzo una somma inferiore rispetto a quella già determinata dall’Ente», ma anche la condanna alle spese per il principio della soccombenza.
2. Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono «ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli articoli 820 e 1282 c.c. – Carenza assoluta di istruttoria – Erroneità nei presupposti – Errato ed omesso esame dei documenti – Omesso esame di un fatto decisivo e risultante dagli atti di causa e oggetto di contraddittorio tra le parti per non avere la Corte d’appello di Potenza riconosciuto ai ricorrenti gli interessi nonostante avesse riconosciuto agli stessi una somma di ben quattro volte maggiore di quella liquidata dal Comune di Pietragalla».
I ricorrenti richiamano tutte le argomentazioni di cui al primo motivo in ordine all’errore in cui è incorsa la Corte d’appello, risultando dagli atti che l’indennizzo determinato dal Comune di Pietragalla era pari ad euro 510,98 e quello riconosciuto dalla Corte d’appello dal CTU di euro 2602,00, trattandosi dunque di «inescusabile errore per travisamento», con la conseguenza che la
decisione è errata con riferimento al mancato riconoscimento degli interessi.
I due motivi di impugnazione, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di stretta connessione, sono fondati.
Infatti, risulta pacificamente dagli atti di causa che il Comune di Pietragalla, con riferimento ai due terreni, di cui al foglio 45, particella 1236, di mq 54 e al foglio 56, particella 802, di mq 91, per complessivi mq 145, ha offerto la somma complessiva di euro 510,98, individuando il prezzo al metro quadrato in euro 3,524.
Non v’è dubbio, dunque, che tale somma sia inferiore a quella effettivamente liquidata dalla Corte d’appello, pari ad euro 2602,00.
Ed infatti, con riferimento al terreno di cui al foglio 45 particella 1236 di mq 54, la Corte territoriale, seguendo le indicazioni del CTU, ha liquidato la somma di euro 266,78,00, anche tenendo conto del rischio idrogeologico elevato, liquidando anche il pregiudizio non patrimoniale, pari ad euro 26,67 (10%) e l’indennizzo per occupazione senza titolo, pari ad euro 333,76 (5%), per un totale di euro 627,21.
Con riferimento, poi, al terreno di cui al foglio 56, particella 802, di metri quadri 91, la Corte territoriale, sempre seguendo le indicazioni del CTU, ha liquidato la somma di euro 840,51, tenendo conto del vincolo idrogeologico, liquidando anche il pregiudizio non patrimoniale, pari ad euro 84,05 (10%) e l’indennizzo per occupazione senza titolo, pari ad euro 1050, 63, per un totale di euro 1975,19.
Non v’è dubbio, dunque, che la somma riconosciuta dalla Corte d’appello pari ad euro 2602,00, sia nettamente superiore a quella offerta, pari ad euro 510,98.
La Corte d’appello, insomma, è incorsa in errore laddove ha ritenuto che la somma offerta dal Comune ai ricorrenti fosse di euro
3524,00, mentre, al contrario, la somma offerta era di euro 510,98, tenendo conto del valore al metro quadrato di euro 3,524.
L’errore è consistito nel confondere – con riguardo al prezzo offerto dal Comune – il valore al metro quadrato pari ad euro 3,524 con il valore complessivo erroneo di euro 3524,00, a fronte di quello corretto di euro 510,98.
Ciò ha indotto la Corte territoriale ad affermare erroneamente che «nessuna somma è dovuta a titolo di interessi giacché ai ricorrenti è riconosciuta definitivamente e a titolo di indennizzo una somma inferiore rispetto a quella già determinata dall’Ente», con l’aggiunta che «la disciplina delle spese del giudizio è regolata sul principio della soccombenza», ponendo le spese a carico degli attori.
La sentenza deve dunque, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Potenza, in diversa composizione, che provvederà anche sulla determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Potenza, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 dicembre