Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19721 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19721 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31607/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, rappresentata e difesa da ll’ Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Roma, INDIRIZZO -ricorrente- contro
Ministero dell’ istruzione e del merito (già Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) , Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo, Istituto Professionale Statale per i servizi alberghieri e della ristorazione Marchitelli (IRAGIONE_SOCIALE), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore
-intimati- avverso la sentenza della Corte d’appello L’Aquila n. 361/2021 depositata il 03/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di L’Aquila ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado, che aveva accolto l’eccezione di prescrizione opposta dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca alla domanda con la quale la ricorrente, sul presupposto di essere stata erroneamente inquadrata nel profilo di
collaboratore scolastico anziché di assistente amministrativo, aveva chiesto il riconoscimento delle differenze retributive maturate dal momento del trasferimento per mobilità fino alla cessazione del rapporto.
La Corte territoriale, dopo avere rilevato la formazione del giudicato sul capo della sentenza che aveva ravvisato nella specie una cessione del contratto, con conseguente continuità del rapporto di lavoro e diritto del lavoratore alla conservazione del trattamento giuridico ed economico in precedenza goduto, ha qualificato la domanda non come azione di risarcimento del danno contrattuale da demansionamento professionale bensì come rivendicazione delle differenze retributive sul presupposto dell ‘erroneo inquadramento attribuito al momento del passaggio rispetto alla qualifica posseduta presso l’ente di provenienza . Ha, quindi, ritenuto maturato il termine di prescrizione quinquennale perché l’errore di inquadramento risaliva al settembre 2005 ed il primo atto interruttivo era stato notificato il 4 maggio 2019. Ha, poi, escluso che potesse riconoscersi efficacia interruttiva ai decreti di ricostruzione della carriera, perché privi di manifestazione della volontà dell’amministrazione di riconoscere il credito rivendicato.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando cinque motivi, illustrati da memoria.
Le amministrazioni sono rimaste intimate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132, 161, 324, 327 c.p.c. e dell’art. 111 Cost , in riferimento all’ art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., denunciando la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato nonché la violazione del giudicato , oltre che l’illogicità e contraddittorietà della motivazione, elusiva del giudicato di primo grado.
Si sostiene che la qualificazione dell ‘ azione sarebbe in contrasto con il giudicato interno che la stessa Corte territoriale assume essersi formato con riferimento a quanto accertato con la sentenza di primo grado,
insistendo sulla qualificazione della domanda in termini di risarcimento del danno subito a seguito di demansionamento.
Le censura, in disparte gli evidenti profili di inammissibilità per difetto del requisito di specificità, per l’omessa indicazione degli atti processuali rilevanti per consentire alla Corte di espletare il proprio sindacato, non è riconducibile al paradigma del vizio denunciato, in quanto non è ravvisabile alcuna contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, né la denunciata violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, perché la Corte territoriale ha dato atto della formazione del giudicato interno sul capo della sentenza impugnata relativa alla continuità del rapporto ma ha poi evidenziato che la causa petendi dell’azione andava correttamente individuata nell’erro neo inquadramento al momento del passaggio, dal quale erano derivate le differenze retributive oggetto della domanda.
In questo senso, la sentenza impugnata assume correttamente che non venga in rilievo un demansionamento per avere l’amministrazione adibito il dipendente a mansioni non riconducibili al profilo di inquadramento, bensì la rivendicazione di differenze retributive in virtù del diverso inquadramento che si assume dovuto rispetto a quello attribuito, con conseguente applicabilità della previsione di cui a ll’art. 2948 n. 4) c.c.
Con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
Si sostiene, in linea con le censure già svolte nel primo mezzo, che l’erro neo inquadramento ha determinato l’assegnazione a mansioni più gravose, con conseguente violazione da parte del l’amministrazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, reiterando l’assunto che l’azione proposta andava qualificata come tendente a far valere il demansionamento subito.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2946, 2947, 2087, 1175, 1375, 1988, 2944 c.c. nonché 30 d.lgs. n. 165 del 2001 e 35 Cost., sempre in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
Sulla premessa che l’azione proposta dovesse essere qualificata come domanda di risarcimento del danno per demansionamento, si addebita alla sentenza impugnata di avere erroneamente ritenuto applicabile il termine quinquennale anziché quello decennale, aggiungendo che l’illecito , contrariamente a quanto ritenuto dai giudici d’appello, doveva essere reputato di carattere permanente perché protratto per tutta la durata di assegnazione della ricorrente a mansioni inferiori. Infine, si addebita alla Corte territoriale di avere er rato nell’escludere che i decreti di ricostruzione della carriera non integrassero un riconoscimento del debito.
4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1223 c.c. , ancora in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
Si reitera la doglianza in ordine alla qualificazione dell’ azione come risarcitoria per argomentare in ordine alla imputabilità della responsabilità contrattuale dell’amministrazione per inadempimento e conseguente spettanza delle differenze retributive a titolo di parametro di liquidazione del danno.
5. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili, in quanto pongono tutti a fondamento l’erronea qualificazione della domanda, già confutata in riferimento al primo mezzo, per farne discendere conseguenze in punto di regime della prescrizione applicabile, anche in ordine alla decorrenza, nonché circa le conseguenze risarcitorie, in difetto, peraltro, dei necessari requisiti di specificità della censura con il richiamo dei pertinenti atti processuali.
Quanto, poi, alle doglianze relative alla interpretazione dei decreti di ricostruzione della carriera ai fini dell’interruzione della prescrizione , difetta la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale ex artt. 1362 e ss. c.c., con l’indicazione , a pena d ‘ inammissibilità, delle considerazioni del giudice in contrasto con i predetti criteri ed il testo dell ‘ atto oggetto di erronea interpretazione (così, fra molte, Cass. Sez. 2, 31/01/2025, n. 2360).
Infine, con il quinto motivo si tornano a prospettare le doglianze già espresse nei precedenti mezzi come vizio motivazionale , ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
6.1. La censura nei termini prospettati è inammissibile, come già osservato con riferimento, in particolare, al primo motivo.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese, in assenza di attività difensiva da parte del Ministero.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 04/06/2025.