Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 540 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 540 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
Oggetto: Scioglimento comunione ereditaria – Collazione – Compendio ereditario relitto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7549/2018 R.G. proposto da COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa con procura speciale allegata al ricorso, dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME del foro di Modena ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME del foro di Parma e dall’Avv. NOME COGNOME del foro di
Roma con procura speciale a margine del controricorso ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del secondo difensore;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 1684/2017, depositata il 13 luglio 2017 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 giugno 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva in fatto e in diritto
Ritenuto che:
con atto di citazione notificato il 23 settembre 2004 NOME COGNOME evocava, dinanzi al Tribunale di Modena -Sezione distaccata di Carpi, la germana NOME COGNOME esponendo che la loro madre, NOME COGNOME, era deceduta il 07.03.2003, e che fino alla fine dei suoi giorni aveva convissuto con la figlia NOME alla quale chiedeva di dividere l’eredità; aggiungeva di ben sapere che la de cuius -al pari delle figlie -aveva ricevuto un consistente importo dalla vendita delle quote societarie della RAGIONE_SOCIALE Seconda s.n.c., proprietaria di un fondo agricolo con sovrastante fabbricato, per cui chiedeva di ricostruire ed identificare il compendio ereditario della madre e condannare la convenuta a corrisponderle la sua quota del 50%;
instaurato il contraddittorio, nella resistenza di NOME COGNOME la quale spiegava anche domanda riconvenzionale per ottenere il
pagamento della somma di euro 15.135,98 a titolo di rimborso delle spese di manutenzione straordinaria e conservazione dell’immobile di proprietà comune ovvero, in subordine, un indennizzo ex art. 2041 c.c., oltre al rimborso alla metà delle spese mediche, funeratizie e di assistenza domiciliare dalla stessa sostenute per la madre, nonché la restituzione di euro 16.526,62, importo ricevuto a titolo di mutuo, con gli interessi, il giudice adito, espletata istruttoria anche con c.t.u., con sentenza n. 4068 del 13.08.2012, condannava NOME COGNOME a pagare, a titolo di collazione, in favore della sorella la somma di euro 37.621,98, oltre interessi dal 07.03.2003; condannava NOME COGNOME a corrispondere alla sorella NOME la somma di euro 15.135,98 a titolo di rimborso delle spese di manutenzione dell’immobile, oltre accessori, nonché euro 1.637,23 per la quota parte delle spese funeratizie ed euro 1.032,91 a titolo di rimborso del prestito di euro 2.000,00, con liquidazione delle spese processuali in favore della convenuta; – in virtù di gravame interposto da NOME COGNOME, la Corte di appello di Bologna, dichiarata la contumacia di NOME COGNOME, con sentenza n. 1684 del 2017, accoglieva parzialmente l’appello e in parziale riforma della decisione del giudice di prime cure condannava NOME COGNOME a corrispondere alla sorella la minor somma di euro 9.815,86, oltre ad interessi e parziale compensazione delle spese del grado, confermata per il resto la sentenza di primo grado.
A sostegno della decisione adottata la Corte di merito nell’accogliere il primo motivo di appello evidenziava che la
ricostruzione contabile del c.t.u., recepita dal giudice, non aveva tenuto conto di un dato incontrovertibile, acclarato e non contestato da NOME COGNOME per il quale l’appellante aveva in data 01.06.2004 corrisposto all’appellata la somma di euro 10.000,00 ‘a tacitazione di ogni pretesa’, importo che pertanto andava detratto dovendosi ritenere versato a titolo di acconto su quanto dovuto, confermato per il resto la decisione impugnata;
-avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna proponeva ricorso per cassazione NOME COGNOME basato su tre motivi, cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME contenente anche ricorso incidentale affidato a tre motivi;
-in prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno curato anche il deposito di memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.
Considerato che:
-va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’intero ricorso principale, ex art. 366 c.p.c., proposta dalla controricorrente in ragione della lamentata mancanza di alcuna esposizione dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali; di alcun motivo che possa definirsi specifico e specificamente collegato alle evocate molteplici norme di diritto; di alcuna specifica indicazione degli atti processuali, di documenti e di contratti; così da devolvere indiscriminatamente l’intera statuizione e motivazione della sentenza impugnata alla valutazione della Suprema Corte,
senza la minima scrematura, selezione e/o distinguo. Ritiene il Collegio che – seppure non sempre in coerenza con i richiamati requisiti di cui all’art. 366 c.p.c. – non si configurino, quanto all’intero ricorso principale, i dedotti vizi di specificità, completezza e riferibilità alla sentenza impugnata. Peraltro, la parte controricorrente neanche ha chiarito gli elementi per l’individuazione dei documenti di cui si contesta la specificità;
-passando al merito, con il primo motivo la ricorrente principale lamenta la nullità della sentenza per errata dichiarazione di contumacia di NOME COGNOME con violazione dell’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 132, comma 2 n. 2 e n. 3 c.p.c., nonché degli artt. 171, comma 3 e 291, comma 2 c.p.c., oltre alla violazione delle norme sul giusto processo ai sensi dell’art. 111 Cost., che peraltro non veniva dichiarata nel corso del giudizio proprio per essere la medesima regolarmente costituita in giudizio ed avendo proposto anche appello incidentale. Tutto ciò ha comportato anche un’omessa pronuncia sui motivi dell’appello incidentale.
Con il terzo motivo la ricorrente principale denuncia la nullità della sentenza per omesso esame dell’appello incidentale e, in subordine, nullità per omessa motivazione con violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. o, in via di ulteriore subordine, dell’art. 132, comma 2 n. 3 c.p.c.
Nel dettaglio, in primo luogo la ricorrente principale lamenta la mancata ricostruzione dell’attivo ereditario, come dedotto con
l’appello incidentale (v. pag. 4 secondo periodo della sentenza impugnata), non solo per la somma di £ 175.000.000, ma anche per il saldo per il saldo del prezzo totale di cessione delle quote della RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE pari a £ 25.000.000, somma quest’ultima che non sarebbe mai neanche transitata sul c/c cointestato alla de cuius e alla sorella, né vi è alcun cenno nella c.t.u. contabile disposta ed espletata, ragione per la quale NOME COGNOME aveva acquistato subito dopo la cessione un immobile in Carpi del valore di £ 330.000.000, contraendo anche un mutuo ipotecario di £ 110.000.000 le cui rate venivano addebitate sul c/c cointestato, al pari dei premi relativa a polizza assicurativa di cui era beneficiaria la sola NOME. Sul medesimo c/c erano stati addebitati varie rate di un prestito che non risultava essere stato contratto dalla stessa, né si poteva presumere che lo avesse stipulato per avere diviso in parti uguali con le figlie la somma di £ 45.000.000 proveniente dall’eredità paterna, investititi in titoli di Stato.
Aggiunge la ricorrente principale che non vi erano passività ereditarie, per cui il riconoscimento dell’esborso di £ 175.000.000 per la manutenzione straordinaria e di conservazione dell’immobile comune non poteva essere attribuito per avere NOME COGNOME non contestato la sola circostanza che dei lavori fossero stati fatti, ma si trattava di lavori di semplice ‘ordinaria amministrazione’ per essere l’immobile in buono stato di conservazione, come da perizia dell’arch. COGNOME del 09.02.1993, per cui erano semplici lavori di
abbellimento/opere di manutenzione ordinaria, effettuate dalla sorella per sua unilaterale scelta, per un suo miglior godimento della casa nella quale abitava e non poteva certo trovare applicazione l’art. 1108 c.c. che riguarda solo le opere di manutenzione straordinaria; inoltre, i documenti contabili relativi ai lavori de quibus erano stati contestati dalla ricorrente principale, anche perché si tratta di fogli anonimi scritti a mano ‘non si sa da chi e quando’. Né il giudice ha pronunciato relativamente all’eccezione di prescrizione dell’asserito e contestato credito di NOME COGNOME per i detti lavori. Del pari nessuna pronuncia relativamente alla contestazione dell’ulteriore asserito prestito di £ 2.000.000 che sarebbe stato contratto il 10.11.1997, di cui alla ‘copia contabile’, documento così definito dalla pretesa creditrice.
I due motivi -da esaminare congiuntamente perché complementari -sono fondati.
Va in questa sede ribadito il principio secondo cui l’erronea dichiarazione della contumacia di una parte determina un vizio della sentenza deducibile in cassazione solo se abbia cagionato, in concreto, un pregiudizio allo svolgimento dell’attività difensiva (cfr. Cass. 6 maggio 2013 n.10503; Cass. 27 aprile 2006 n. 9649; Cass. 7 febbraio 2006 n. 2593; Cass., Sez. Un., 27 febbraio 2002 n. 2881). Ne deriva che la proposizione di ogni impugnazione deve essere sorretta da idoneo interesse identificabile nella possibilità di conseguire, attraverso la rimozione della statuizione censurata, un
risultato giuridicamente apprezzabile (cfr Cass. 8 aprile 2011 n. 8098).
La Suprema Corte ha poi recentemente chiarito che la pretermissione di un soggetto dal giudizio è di per sé una lesione del diritto difesa in quanto viola l’art. 101 c.p.c. rubricato ‘Principio del contradditorio’. Tale principio trova il proprio fondamento nell’idea secondo la quale nessuno può essere costretto a subire gli effetti di una sentenza senza avere avuto la possibilità di partecipare al processo e, dunque, difendersi per far valere le proprie ragioni di fronte al giudice. Diverso è, invece, il caso in cui, pur essendoci stata una erronea dichiarazione di contumacia, la parte abbia comunque partecipato efficacemente al giudizio (Cass. 4 ottobre 2022 n. 28792; Cass. 27 febbraio 2020 n. 5408).
Nella presente fattispecie le difese della ricorrente principale/appellata non sono state affatto considerate, avendola il giudicante ritenuta erroneamente assente.
Dall’esame degli atti (consentito dalla natura del vizio processuale lamentato: in particolare, dalla comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale di NOME COGNOME dalla pag. 15 e ss) e dalla stessa sentenza, infatti, risulta la erroneità della dichiarazione di contumacia di NOME COGNOME che era regolarmente costituita nel giudizio di appello e tale errore ha comportato l’omessa pronuncia in ordine alle sue difese e soprattutto ai motivi di appello incidentale proposti dalla medesima. Ne consegue che dalla erronea dichiarazione di contumacia alla ricorrente principale è derivato un concreto
pregiudizio, legittimandone l’impugnazione, che è necessaria per la rimozione della relativa pronuncia con le consequenziali statuizioni (relativamente alle questioni riproposte con l’appello incidentale );
con il secondo motivo la ricorrente principale deduce la nullità-erroneità della sentenza per essere stata erroneamente condannata dalla Corte di appello al pagamento del 50% delle spese di lite del grado in violazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. Ad avviso della ricorrente non sussisteva alcuna soccombenza per essere l’unico motivo di appello accolto relativo alla circostanza del versamento da parte di NOME della somma di euro 10.000,00 in suo favore pacifica già in primo grado. Dunque, non poteva essere considerata soccombente di fronte ad un fatto dalla medesima espressamente ammesso sin dall’atto introduttivo del giudizio.
La censura è assorbita dall’accoglimento del primo e del terzo motivo del ricorso principale riguardando la disciplina delle spese del giudizio di appello;
-venendo all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo la ricorrente incidentale lamenta la nullità della sentenza per falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1 n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c. sulla eccezione di domanda di petizione ereditaria così come proposta nel giudizio di primo grado. Ad avviso della ricorrente incidentale NOME COGNOME con
l’atto introduttivo avrebbe proposto una domanda ai sensi dell’art. 533 c.c. che avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile dai giudici di merito, anche sulla base dalla stessa espressamente eccepito, mentre la Corte distrettuale riferiva di una diversa qualificazione giuridica. Dunque, sarebbe mancata una pronuncia sulla eccezione di inammissibilità della domanda di petizione ereditaria di NOME COGNOME seppure tempestivamente proposta.
Precisa la ricorrente incidentale che gli assegni, con firma di girata della sola madre, erano stati versati sul c/c intestato a lei soltanto (e non già a quello cointestato) per stessa volontà della de cuius e tutto ciò integrerebbe una fattispecie di donazione remuneratoria in suo favore ex art. 770 c.c.
Aggiunge che il c.t.u. e con lui i giudici di merito avrebbero laconicamente dedotto che le somme di cui ai due assegni debbano essere imputate all’asse ereditario per collazione senza però motivarne i termini. In realtà l’apertura del c/c cointestato era avvenuta al momento in cui erano andate a vivere insieme, madre e figlia, e la contabilità di siffatto conto non aveva alcuno scopo di liberalità ma solo la comune finalità di gestire della conduzione della famiglia, per cui era rapporto regolato dagli artt. 1854 e 1298 c.c.
La censura è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi.
La Corte distrettuale ha chiarito che non era stata svolta alcuna domanda di petizione ereditaria, sia per mancanza dei presupposti sia per tardività di siffatta richiesta in appello (v.
pag. 3 della sentenza impugnata), per essere stato richiesto il mero accertamento della qualità di erede da parte di NOME COGNOME onde ottenere la collazione del patrimonio ereditario.
Del resto, costituisce principio consolidato di questa Corte che la petitio hereditatis e l’ accertamento della qualità di erede sono azioni che, pur condividendo il medesimo accertamento della qualità di erede, differiscono fra loro per tipologia e finalità giuridica. L’azione di petizione ereditaria è un’azione di condanna avente un contenuto necessariamente recuperatorio, in quanto volta ad ottenere, previo accertamento della qualità di erede, la restituzione in tutto o in parte dei beni ereditari in confronto di chiunque li possegga senza titolo o a titolo di erede (art. 533 c.c., comma 1); l’azione di accertamento della qualità di erede, invece, è essenzialmente dichiarativa, e come tale può essere corredata o non da una domanda accessoria di condanna avente un contenuto diverso dalla restituzione di beni compresi nell’asse ereditario. Pertanto, colui che agisce per l’accertamento della propria qualità di coerede nei confronti di chi possegga i beni ereditati a titolo di erede, chiedendo nel contempo che questi renda il conto della gestione e corrisponda i relativi frutti, non esercita un petitio hereditatis ma un’azione di accertamento con domanda accessoria di condanna.
Al pari dell’azione di rendiconto che è autonoma rispetto a quella di divisione relativamente alla quale pure è prevista dall’art. 723 c.c. (cfr. Cass. n. 30552 del 2011).
Nella specie la Corte di merito si è attenuta a tali principi, che la ricorrente incidentale neanche critica con la censura in esame che pure costituisce la ratio decidendi del provvedimento impugnato che riposa sulla corretta valutazione e qualificazione della originaria domanda attorea;
– con il secondo motivo la ricorrente incidentale denuncia la nullità della sentenza ex art. 360, comma 1 n. 4 e n. 6 c.p.c. per omessa motivazione in ordine alla debenza di somme a titolo di spese funeratizie, mediche e di assistenza domiciliare. Insiste la ricorrente incidentale nella debenza oltre alle spese funerarie, riconosciute dalla stessa sorella, anche dell’importo di euro 774,77 per il rimborso del 50% del costo della lapide funeraria, non rilevando la mancata produzione della relativa fattura. Inoltre, erroneamente sarebbe stato escluso l’importo di euro 2.556,00 per la badante-colf, argomentando sul fatto che il reddito della de cuius la rendeva economicamente indipendente e comunque la collaboratrice gestiva anche la pulizia della casa e la preparazione dei pasti per entrambe le occupanti la casa.
Anche il secondo mezzo è inammissibile.
L ‘omessa motivazione può essere invocata quando una motivazione manchi del tutto ovvero sia completamente inintelligibile.
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha dedicato parte delle argomentazioni alla spiegazione delle ragioni per le quali ha condiviso le conclusioni del giudice di prime cure, fondate
sull’istruttoria compiuta, più precisamente sulla c.t.u. contabile, con la quale veniva espressamente verificato che nell’intero arco ‘di accensione del conto’ cointestato alla madre e alla figlia NOME, e destinato al soddisfacimento dei bisogni del nucleo di persone conviventi, ognuna delle cointestatarie aveva versato un importo complessivo similare, e ciò faceva pervenire al convincimento dell’autosufficienza economica della de cuius ; si tratta di motivazioni che non sono incomprensibili ed anzi spiegano il principale indice dal quale è stato desu nta l’indipendenza economica di Delibera Malaguti. Stabilire, poi, se tale valutazione sia stata corretta in facto è un accertamento di merito, non sindacabile in questa sede;
-con il terzo motivo del ricorso incidentale è dedotta la nullità della sentenza ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. quanto alla omessa motivazione sulla condanna della medesima ricorrente incidentale alle spese del giudizio di prime cure. Anche siffatto mezzo è assorbito dall’accoglimento del primo e del terzo motivo del ricorso principale riguardando la disciplina delle spese del giudizio.
In definitiva, va accolto il primo e il terzo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo del ricorso principale ed il terzo motivo del ricorso incidentale, rigettati i restanti motivi del ricorso incidentale.
L’impugnata sentenza va, pertanto, cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Bologna, in
diversa composizione, che nel riesaminare la vicenda dovrà provvedere ad esaminare l’appello incidentale.
Il giudice di rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P . Q . M .
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo del ricorso principale ed il terzo motivo del ricorso incidentale, rigettati i restanti motivi del ricorso incidentale;
cassa la sentenza gravata in relazione ai motivi accolti e rimette la causa alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda