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Equo indennizzo: risarcimento per la giustizia lenta

Un gruppo di cittadini ha ottenuto un equo indennizzo a causa dell’eccessiva durata di un procedimento fallimentare. La Corte di Appello ha riconosciuto un ritardo di sei anni, condannando il Ministero a risarcire i ricorrenti con una somma calcolata sulla base di 450 euro per ogni anno di ritardo, escludendo dal conteggio i periodi di sospensione dei termini processuali dovuti all’emergenza sanitaria.

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Equo Indennizzo: Quando la Giustizia Lenta Paga il Conto

Ottenere giustizia è un diritto fondamentale, ma cosa succede quando i tempi si allungano a dismisura? La legge italiana prevede uno strumento di tutela per i cittadini esasperati da processi interminabili: l’equo indennizzo. Con il presente articolo, analizziamo un decreto della Corte di Appello di Bari che condanna lo Stato a risarcire un gruppo di cittadini proprio per l’irragionevole durata di una causa civile, stabilendo un importante precedente sui criteri di calcolo del risarcimento.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un procedimento avviato nel lontano 2013 presso la sezione Fallimentare del Tribunale di Bari. Un gruppo di cittadini, creditori di una società in amministrazione straordinaria poi fallita, aveva presentato domanda per la liquidazione dei propri crediti. Trascorsi oltre undici anni senza una conclusione, i creditori, ritenendo violato il loro diritto a un processo di durata ragionevole, hanno adito la Corte di Appello per ottenere l’equo indennizzo previsto dalla cosiddetta Legge Pinto (L. 89/2001).

Il ricorso è stato considerato tempestivo poiché il giudizio presupposto, cioè la procedura fallimentare, era ancora pendente al momento della domanda di indennizzo.

La Decisione della Corte sull’Equo Indennizzo

La Corte di Appello di Bari ha accolto la domanda dei ricorrenti. Dopo aver verificato la durata complessiva del procedimento (11 anni, 9 mesi e 23 giorni), ha stabilito che la soglia della ragionevole durata, fissata dalla legge in sei anni per l’intero giudizio, era stata ampiamente superata.

Tuttavia, dal calcolo totale, i giudici hanno detratto un periodo di circa tre mesi e mezzo (dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020), corrispondente alla sospensione straordinaria dei termini processuali imposta dalla normativa emergenziale per la pandemia. Questo periodo, infatti, non poteva essere imputato a una negligenza dello Stato. Di conseguenza, il ritardo netto e ingiustificato è stato quantificato in sei anni.

La Corte ha quindi condannato il Ministero competente a versare un indennizzo a ciascun ricorrente. Per la maggior parte di essi, l’importo è stato fissato in € 2.700,00, mentre per altri è stato liquidato un importo inferiore, commisurato al valore del credito vantato nella procedura originaria. Oltre all’indennizzo, il Ministero è stato condannato al pagamento delle spese legali, liquidate in favore dell’avvocato difensore dei ricorrenti.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha fondato la propria decisione sull’articolo 2, comma 2-bis, della Legge 89/2001, che stabilisce in sei anni la durata ragionevole di un processo. Il superamento di tale limite fa scattare una presunzione di violazione.

Nel motivare l’entità dell’equo indennizzo, il giudice ha applicato un criterio standardizzato: € 450,00 per ciascun anno di ritardo. Questo importo è stato moltiplicato per i sei anni di ritardo accertato, arrivando così alla somma di € 2.700,00. Tale liquidazione è stata considerata equa tenendo conto dell’esito del giudizio, del comportamento delle parti e del giudice nel procedimento presupposto. La Corte ha inoltre verificato che i ricorrenti non avessero contribuito a causare il ritardo, come previsto dall’art. 2, co. 2-quinquies della stessa legge.

La decisione di detrarre il periodo di sospensione per l’emergenza sanitaria è conforme alla legge, che esclude dal calcolo i ritardi non imputabili allo Stato. Infine, la liquidazione delle spese legali è avvenuta secondo i parametri del D.M. 55/2014, tenendo conto del numero di parti assistite.

Conclusioni

Questo decreto riafferma un principio cruciale: la giustizia non solo deve essere equa, ma anche tempestiva. Quando lo Stato non riesce a garantire processi in tempi ragionevoli, è tenuto a risarcire i cittadini per il danno subito. La decisione fornisce un chiaro esempio pratico di come viene calcolato l’equo indennizzo, offrendo un riferimento utile per chiunque si trovi intrappolato nelle lungaggini del sistema giudiziario. La standardizzazione del risarcimento a 450 euro per anno di ritardo offre un criterio prevedibile, mentre la detrazione dei periodi di sospensione per cause di forza maggiore delimita correttamente le responsabilità dello Stato. Un provvedimento, dunque, che bilancia il diritto del cittadino a una giustizia celere con le oggettive difficoltà che possono rallentare il sistema.

Qual è la durata ragionevole di un processo secondo la legge?
Secondo l’art. 2, comma 2-bis, della Legge 89/2001, citata nel provvedimento, la durata ragionevole di un processo è fissata in sei anni per l’intero giudizio.

Come viene calcolato l’equo indennizzo per l’eccessiva durata di un processo?
La Corte ha liquidato un importo di € 450,00 per ogni anno di ritardo oltre la durata ragionevole. L’importo totale è stato calcolato moltiplicando questa cifra per gli anni di ritardo effettivo (in questo caso, sei anni), per un totale di € 2.700,00 per la maggior parte dei ricorrenti.

Eventi eccezionali come una pandemia possono influenzare il calcolo del ritardo?
Sì. La Corte ha detratto dal calcolo della durata complessiva il periodo di sospensione straordinaria dei termini processuali dovuto alla pandemia (dal 9.3.2020 al 30.6.2020), poiché tale ritardo non era imputabile al sistema giudiziario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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