Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2110 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2110 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25299/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrenti- contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;
-intimato- avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO ROMA n. 758/2022 depositata il 11/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME ed altri soggetti indicati in epigrafe proposero innanzi alla Corte d’appello di Roma domanda di equo indennizzo per l’irragionevole durata di una procedura fallimentare nella quale si erano insinuati al passivo.
La domanda, accolta dalla Corte d’appello di Roma, venne impugnata per cassazione dal Ministero della Giustizia, che dedusse la tardività della domanda di equa riparazione perché proposta oltre il termine di
sei mesi, decorrenti non dalla chiusura del fallimento – come sostenuto nel decreto impugnato – ma dal soddisfacimento integrale del credito.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6081/2020, nell’accogliere il ricorso incidentale del Ministero della Giustizia, decise la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c. e, per l’effetto, rigettò la domanda di equa riparazione perché tardivamente proposta.
Nel ritenere tardiva la domanda, il giudice di legittimità aderì all’orientamento giurisprudenziale secondo cui, con riferimento alle procedure fallimentari, il dies ad quem del termine per proporre la domanda di equa riparazione coincide con il momento in cui si verifica il soddisfacimento integrale del credito ammesso al passivo, oppure, nelle ipotesi di soddisfacimento parziale o di totale inadempimento, quando sia intervenuto il decreto di chiusura del fallimento (Cass. 17.1.2011 n. 950). In tale pronuncia, questa Corte dissentì funditus dall’elaborazione giurisprudenziale che, in tema di domanda di indennizzo ex Legge n. 89 del 2001 per irragionevole durata della procedura fallimentare, riteneva che il termine semestrale di decadenza decorresse dalla data di definitività del decreto di chiusura del fallimento ed accertò che, al momento della proposizione della domanda di equa riparazione era maturata la decadenza di cui all’art. 4 della Legge n.89 del 2001.
COGNOME NOME e gli altri ricorrenti, che avevano proposto domanda di equa riparazione rigettata dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 6081 del 2020, adirono la Corte d’appello di Roma per chiedere l’equo indennizzo per l’irragionevole durata del giudizio di equa riparazione.
La Corte d’appello di Roma, con decreto n. 758 /2022 dell’11.4.2022, rigettò il ricorso, ai sensi dell’art. 2, comma 2 quinquies, lett. a), ritenendo che il giudizio presupposto – di eccessiva durata del procedimento ex legge Pinto -fosse stato proposto nella consapevolezza dell’infondatezza della pretesa originaria in relazione alla tardività della domanda, richiamando i principi espressi da Cass. n. 6081 del 2020.
NOME COGNOME e gli altri soggetti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte d’appello di Roma sulla base di un unico motivo.
Il Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 quinquies, lett. a) della L. n. 89/2001, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che fosse consolidato nella giurisprudenza, tanto da costituire diritto vivente, l’orientamento espresso nella sentenza n. 6081/2020, resa tra le medesime parti nel giudizio presupposto, secondo cui, con riferimento alle procedure fallimentari, il dies ad quem per proporre la domanda di equa riparazione decorre dal momento in cui si verifica il soddisfacimento integrale del credito ammesso al passivo, oppure, nelle ipotesi di soddisfacimento parziale o di totale inadempimento, quando sia intervenuto il decreto di chiusura del fallimento. I ricorrenti osservano che tale principio non era affatto consolidato nella giurisprudenza di legittimità tanto che in altre decisioni della Corte di cassazione,
antecedenti e coeve alla n. 6081/2020, si sarebbe affermato che il termine semestrale per proporre il giudizio di equa riparazione decorreva dalla data di chiusura del fallimento. Atteso il contrasto di giurisprudenza, i ricorrenti non avrebbero proposto domanda di equa riparazione nella consapevolezza dell’infondatezza della pretesa originaria.
Il motivo è fondato.
L’art. 2, comma 2 quinquies, lett. a) della L. n. 89/2001 prevede che non debba essere riconosciuto alcun indennizzo in favore della parte che abbia agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dai casi di cui all’ art. 96 c.p.c.
Va innanzitutto precisato che la modifica dell’art. 2, comma 2quinquies della legge n. 89 del 2001 recata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (e successivamente convertito dalla legge n. 208 del 2015) rappresenta la recezione legislativa di un orientamento giurisprudenziale che già precedentemente costituiva «diritto vivente» (Cass. Sez. 1, n. 9938 del 26.04.2010; Cass. Sez. 1, n. 18780 del 20.08.2010; Cass. Sez. 1, n. 2385 del 01.02.2011), alla cui stregua l’equa riparazione da non ragionevole durata del processo non compete a chi abbia agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese e, ciò, anche a prescindere dalla pronuncia, nel giudizio presupposto, di una condanna ex art. 96 cod. proc. civ. (Cass. Sez. 2, n. 25826 del 14.10.2019).
Secondo l’orientamento formatosi nel vigore della precedente disciplina, applicabile , a fortiori, alla normativa vigente, il paterna d’animo derivante dalla situazione di incertezza per l’esito della causa
deve escludersi ogni qualvolta la parte rimasta soccombente abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza sin dal momento di instaurazione del giudizio; è stato, altresì, previsto l’esclusione dell’indennizzo anche quando la consapevolezza dell’infondatezza delle proprie pretese sia sopravvenuta prima che la durata del processo abbia superato il termine di durata ragionevole, come nel caso in cui si sia definitivamente consolidato un orientamento sfavorevole della giurisprudenza (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 4890 dell’11/03/2015; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11149 del 30/05/2016, non massimata; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 28592 del 23/12/2011).
Nel caso di specie, è da escludere che fosse consolidato l’orientamento giurisprudenziale relativo alla decorrenza del termine, ex art. 4 della L. n. 89/2001, per proporre domanda di equa riparazione da parte dei creditori ammessi al passivo del fallimento in quanto in altre decisioni, antecedenti e coeve alla n. 6081/2020, sulla quale la Corte d’appello ha fondato la sua decisione, era stato affermato che il termine di sei mesi per la proposizione del ricorso di equa riparazione decorreva non dal riparto parziale ma dalla chiusura del fallimento.
In tal senso si era espressa Cass. n. 8055/2019, ma anche Cass. n. 1551/2020, secondo cui, ai fini della decorrenza del termine semestrale, doveva aversi riguardo al provvedimento conclusivo del giudizio presupposto; altra decisione in tal senso è la n. 24174/2020, con la quale era stato affermato che il riferimento al piano di riparto parziale ha natura sostanziale, al solo fine della determinazione della durata del giudizio e non al fine di stabilire una decadenza sicché il termine per proporre il ricorso di equa riparazione decorre dalla chiusura del fallimento.
Dello stesso tenore è la pronuncia n. 4601 del 21.2.2024 della Seconda Sezione Civile, che così statuisce: ‘in tema di irragionevole durata della procedura fallimentare, il termine di decadenza di cui all’art. 4 della Legge n. 89 del 200, per la proposizione della domanda di equa riparazione, decorre, anche per il creditore rimasto soddisfatto per effetto di un riparto parziale, dalla data in cui il decreto di chiusura del fallimento è divenuto inoppugnabile, avendo il dies a quo del predetto termine natura processuale, mentre la data di integrale soddisfacimento del creditore, avente natura sostanziale, segna la durata della procedura fallimentare indennizzabile’.
Infine, la più recente pronuncia della Cassazione (Cass. sez. 2, 21/02/2024 n. 4601) ha confermato l’orientamento secondo cui il termine semestrale di decadenza per la proposizione della domanda di equa riparazione, nei giudizi fallimentari, decorre dalla data in cui il decreto di chiusura del fallimento non è più reclamabile in appello, quale momento in cui detto decreto acquista carattere di definitività; non rileva, invece, il riparto (quand’anche integralmente satisfattivo), in quanto, mentre il termine ha natura processuale e viene in rilievo per accertare la tempestività della domanda, la data di integrale soddisfacimento del creditore, avente natura sostanziale, rileva solo per stabilire la durata della procedura fallimentare e l’entità del danno indennizzabile.
A fronte di un orientamento giurisprudenziale tutt’altro che consolidato, la Corte d’appello ha erroneamente affermato che il giudizio di equa riparazione per l’irragionevole durata del giudizio di equa riparazione, rigettato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 8081/2020, fosse stato introdotto nella consapevolezza dell’infondatezza originaria della pretesa mentre, di converso, il rigetto della domanda di indennizzo per decorrenza del termine
semestrale per proporre la domanda di indennizzo, ex art.2 della Legge n.89 del 2001, era stata determinata sulla base di un indirizzo giurisprudenziale non univoco.
Il ricorso deve, pertanto, essere accolto.
Il decreto impugnato va cassato, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che riesaminerà la vicenda alla luce