Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27036 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27036 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6909/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE (P_IVA), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI SASSARI n. 256/2022 depositata il 02/02/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
A séguito di ricorso proposto da NOME COGNOME, la Corte d’Appello di Sassari in composizione monocratica ingiungeva al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il pagamento in favore RAGIONE_SOCIALE ricorrente dell’importo di € . 8.160,00 a titolo di equo indennizzo per l’eccessiva durata RAGIONE_SOCIALE procedura fallimentare nei confronti RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, nella quale la COGNOME era stata ammessa al passivo per un credito da lavoro per complessivi € . 16.038,77 (inclusi interessi).
1.1. Il decreto veniva opposto dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE innanzi alla Corte d’Appello di Cagliari, che deduceva la violazione dell’art. 2, comma 2bis legge n. 89/2001 per travisamento dei presupposti, avendo la Corte riconosciuto l’indennizzo nonostante l’avvenuto integrale pagamento del credito RAGIONE_SOCIALE COGNOME entro il termine di sei anni dall’amm issione al passivo.
Il giudice dell’opposizione accoglieva l’istanza con decreto n. 339/2023 e, per l’effetto, revocava il decreto monitorio ritenendo che dal prospetto predisposto dal curatore si ricava con chiarezza che il credito RAGIONE_SOCIALE COGNOME era stato interamente pagato nel termine ragionevole di sei anni dall’ammissione. Condannava, altresì, parte opposta a rifondere le spese di lite, nonché al pagamento dell’ulteriore somma di € . 300,00 ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ., avendo ella proposto una domanda in giudizio con la consapevolezza RAGIONE_SOCIALE sua infondatezza, alla quale deve essere equiparato lo stato di ignoranza riguardo i pagamenti ricevuti superabile con il minimo sforzo richiesto dalla consultazione dei documenti RAGIONE_SOCIALE procedura fallimentare.
Avverso detto decreto proponeva ricorso per Cassazione NOME COGNOME affidandolo a quattro motivi e illustrandolo con memoria.
Resisteva il RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. – violazione/falsa applicazione dell’art. 2, comma 2, dell’art. 2, comma 2bis , dell’art. 2, comma 2quinquies , dell’art. 2, comma 2sexies , dell’art. 2, comma 2septies RAGIONE_SOCIALE legge n. 89/2001; – violazione degli artt. 11 e 117, comma 1, Cost.; violazione degli artt. 7 e 6, par. 2, dell’art 13 CEDU. Punto fondamentale del motivo di ricorso è che la parte ha adìto il giudice dell’equa riparazione allegando di aver subìto un danno non patrimoniale connaturato alla sua qualità di parte processuale protrattasi complessivamente 23 anni. Il provvedimento impugnato, invece, si pone in evidente violazione con l’art. 2, comma 2 legge n. 89/2001 e, in particolare, con tutte le disposizioni richiamate nel mezzo, che regolano le ipotesi tassativamente previste di esclusione dell’indennizzo.
Con il secondo motivo si deduce -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. – violazione/falsa applicazione dell’art. 2bis , comma 1, RAGIONE_SOCIALE legge n. 89/2001. E’ fatto incontestato che la procedura fallimentare si sia protratta per un termine irragionevole pari a 16 anni, ed è altresì fatto pacifico che NOME COGNOME sia rimasta parte processuale nel procedimento fallimentare iniziato dinanzi al Tribunale di Sassari in data 17.07.1997 e chiusosi il 30.12.2020.
Con il terzo motivo si deduce -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. -in relazione alla violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. e dell’art. 111, comma 6, Costituzione: nullità RAGIONE_SOCIALE sentenza per mancanza del sillogismo giudiziale. Il decreto impugnato è viziato da illogicità manifesta, nella parte in cui conferma la statuizione del giudice RAGIONE_SOCIALE fase monitoria con riferimento alla durata irragionevole del processo presupposto ma, al
tempo stesso, dichiara che la procedura fallimentare deve considerarsi terminata per la COGNOME: ciò sulla scorta RAGIONE_SOCIALE presunta stabilità dell’attribuzione patrimoniale ricevuta dalla medesima in sede fallimentare laddove, invece, le somme ammesse al passivo possono essere oggetto di revoca su istanza del curatore ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 98 e 99 RAGIONE_SOCIALE legge fallimentare. In ogni caso, la Corte di legittimità, con riferimento all’intervento del RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE o dello stesso Curatore, ha avuto occasione di affermare che il pagamento ottenuto dalla ricorrente avrebbe potuto incidere sulla quantificazione dell’indennizzo ma non sui presupposti per il diritto al suo conseguimento (Cass. n. 13535 del 2022; Cass. 28268-2018; Cass. n. 7136 del 2017).
4. I primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente per evidente connessione logica, e sono tutti infondati per l’insegnamento risalente di questa Corte in virtù del quale, con riferimento alle procedure fallimentari, «il dies ad quem coincide con il momento in cui si verifica il soddisfacimento integrale del credito ammesso al passivo, oppure, nelle ipotesi di soddisfacimento parziale o di totale inadempimento, quando sia intervenuto il decreto di chiusura del fallimento (…) e tale decreto sia divenuto definitivo» (così in motivazione Cass. 17.1.2011, n. 950). Principio ulteriormente precisato più di recente: mentre il termine ex art. 4 RAGIONE_SOCIALE l. n. 89 del 2001 ha natura processuale, viene in rilievo per accertare la tempestività RAGIONE_SOCIALE domanda e decorre dalla data in cui il decreto di chiusura del fallimento non è più reclamabile in appello ovvero, per le procedure soggette alle disposizioni di cui ai d.lgs. n. 5 del 2006 e n. 169 del 2007, da quello del definitivo rigetto del reclamo, ove esperito -dal momento in cui detto decreto acquista carattere di definitività; la data di integrale soddisfacimento del creditore, avente
natura sostanziale, rileva per stabilire la durata RAGIONE_SOCIALE procedura fallimentare e l’entità del danno indennizzabile (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24174 del 04/08/2022, Rv. 665557 – 01; Cass. 8055/2019; Cass. 1551/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 6081 del 2020).
Nel caso che ci occupa, la Corte d’Appello ha ritenuto che dal prospetto predisposto dal Curatore si ricava con chiarezza che alla data di soddisfacimento integrale del credito la procedura fallimentare non aveva superato i sei anni richiesti dall’art.2, comma 2 -bis legge Pinto (v. decreto p. 2, 3° e 4° capoverso).
5. Con il quarto motivo si deduce -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.- violazione/falsa applicazione di legge dell’art. 111 Costituzione e dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. La ricorrente sostiene l’insussistenza dei presupposti RAGIONE_SOCIALE malafede o RAGIONE_SOCIALE colpa grave ai fini RAGIONE_SOCIALE condanna per lite temeraria. A distanza di 22 anni dall’inizio RAGIONE_SOCIALE Procedura la COGNOME , infatti, non poteva ricordare di aver soddisfatto interamente il proprio credito; né vi è prova in atti di tale consapevolezza da parte RAGIONE_SOCIALE ricorrente, né di tutti i presunti pagamenti da ella ricevuti.
5.1. Il motivo è infondato. La condanna ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ., applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, cod. proc. civ. (e con queste cumulabile), volta alla repressione dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, richiede, quale elemento costitutivo RAGIONE_SOCIALE fattispecie, il riscontro non dell’elemento soggettivo del dolo o RAGIONE_SOCIALE colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di «abuso del processo», quale l’avere agito o resistito pretestuosamente (Sez. L, Sentenza n. 3830 del 15/02/2021, Rv. 660533 -02; Sez. 6 – 2,
Ordinanza n. 20018 del 24/09/2020, Rv. 659226 -01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 29812 del 18/11/2019, Rv. 656160 -01; tutte confermano: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27623 del 21/11/2017, Rv. 646080 – 01).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha giustificato la sua decisione avendo rilevato la consapevolezza dell’infondatezza RAGIONE_SOCIALE domanda, posto che il credito era stato integralmente soddisfatto prima che scoccassero i termini di ragionevole durata RAGIONE_SOCIALE procedura fallimentare; né -a giudizio RAGIONE_SOCIALE Corte territoriale -poteva ritenersi integrato uno stato soggettivo di errore scusabile riguardo i tempi e l’ammontare dei pagamenti ottenuti. Trattasi di una valutazione di merito scevra da incongruenze logico-giuridiche, non sindacabile in questa sede.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso, liquida le spese secondo soccombenza come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE controricorrente, che liquida in €. 1.205,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio RAGIONE_SOCIALE Seconda