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Equo indennizzo: il valore della causa è decisivo

La Corte di Cassazione ha stabilito che una società ha diritto all’equo indennizzo per l’eccessiva durata di un processo fallimentare, anche se economicamente solida. La Corte ha rigettato il ricorso del Ministero della Giustizia, chiarendo che un credito di circa 5.230 euro non costituisce una pretesa di valore irrisorio, escludendo così la presunzione di insussistenza del pregiudizio.

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Equo indennizzo: la Cassazione definisce i limiti del ‘valore irrisorio’

L’eccessiva durata dei processi è una nota dolente del sistema giudiziario italiano. Per porvi rimedio, la legge prevede il diritto a un equo indennizzo per chi subisce un danno a causa di ritardi irragionevoli. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui presupposti per ottenere tale risarcimento, focalizzandosi sul concetto di ‘valore irrisorio’ della causa e sull’irrilevanza delle condizioni economiche del danneggiato quando la posta in gioco non è minima.

I fatti del caso

Una società, creditrice in una procedura di fallimento avviata nel 1997 e conclusasi solo nel 2021, aveva richiesto e ottenuto un equo indennizzo per la durata irragionevole del processo, quantificata in 16 anni. L’indennizzo liquidato era di circa 5.230 euro, pari all’importo del credito ammesso al passivo fallimentare. Il Ministero della Giustizia, tuttavia, si era opposto a tale decisione, sostenendo che non fosse dovuto alcun risarcimento.

La posizione del Ministero e la decisione della Corte d’Appello

Il Ministero ha portato il caso in Cassazione, basando il suo ricorso su un’unica argomentazione: la legge presume l’insussistenza del pregiudizio (e quindi del diritto all’indennizzo) quando la pretesa ha un valore irrisorio, tenuto conto anche delle condizioni personali della parte. Secondo il Ministero, la società richiedente, essendo economicamente solida e abbiente, non avrebbe subito un reale danno dal ritardo e avrebbe dovuto fornire la prova specifica del pregiudizio patito.

La Corte di Appello di Napoli aveva precedentemente respinto questa tesi, affermando che una controversia di valore non trascurabile, come quella in esame, non può essere considerata una ‘lite bagatellare’ solo in base alla situazione patrimoniale del soggetto danneggiato.

Le motivazioni della Cassazione sull’equo indennizzo

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Ministero, confermando la decisione dei giudici di merito. I giudici supremi hanno chiarito l’interpretazione dell’art. 2, comma 2-sexies, lett. g) della Legge 89/2001. Tale norma introduce una presunzione di insussistenza del danno solo in caso di ‘irrisorietà della pretesa o del valore della causa’, valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte.

La Corte ha specificato che questo criterio serve a escludere dall’equo indennizzo le cosiddette ‘liti bagatellari’, ovvero quelle di valore economico minimo. Citando precedenti giurisprudenziali, è stato ribadito che si considerano tali le pretese inferiori a 500 euro.

Nel caso specifico, un credito di 5.230 euro non può in alcun modo essere definito ‘irrisorio’. Di conseguenza, la presunzione legale a favore dell’amministrazione non opera. Le condizioni economiche del creditore diventano rilevanti solo nel contesto di una pretesa di valore esiguo, per stabilire se, per quel soggetto specifico, tale valore sia effettivamente trascurabile. Ma quando, come in questo caso, la ‘posta in gioco’ è di per sé significativa, la solidità finanziaria del danneggiato è del tutto irrilevante ai fini del riconoscimento del diritto all’indennizzo.

Le conclusioni

L’ordinanza della Cassazione rafforza un principio fondamentale in materia di equo indennizzo: il diritto al risarcimento per l’eccessiva durata del processo è strettamente legato al valore oggettivo della controversia. Se tale valore non è palesemente irrisorio, il pregiudizio si presume e l’indennizzo è dovuto, senza che lo Stato possa sottrarsi ai propri obblighi eccependo le buone condizioni economiche del cittadino o dell’impresa danneggiata. Questa decisione rappresenta una garanzia importante per tutti coloro che, pur non versando in difficoltà economiche, subiscono i danni derivanti dalle lungaggini della giustizia.

Quando si presume che non esista un pregiudizio da durata irragionevole del processo?
La legge presume l’insussistenza del pregiudizio, e quindi del diritto all’equo indennizzo, quando la pretesa o il valore della causa è irrisorio. Tale irrisorietà viene valutata anche in relazione alle condizioni personali ed economiche del richiedente.

Le condizioni economiche del richiedente possono escludere il diritto all’indennizzo?
No, se il valore della causa non è irrisorio. Le condizioni economiche del richiedente sono rilevanti solo per determinare se una pretesa di valore molto basso possa essere considerata trascurabile per quella specifica persona. Per importi significativi (nel caso di specie, 5.230 euro), la solidità finanziaria del danneggiato è irrilevante.

Esiste una soglia di valore sotto la quale una causa è considerata ‘irrisoria’?
La sentenza non fissa una soglia esatta, ma fa riferimento a precedenti decisioni in cui sono state considerate di valore minimo pretese inferiori a 500 euro. Un importo di 5.230 euro è stato giudicato chiaramente non irrisorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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