Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23841 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23841 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18097/2020 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , domicilio digitale presso PEC EMAIL, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME e COGNOME NOME
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la
Oggetto: Pubblica amministrazione – Appalto di opere pubbliche – Sospensione lavori – Irragionevole durata – Danni – Oneri produttivi – Equo compenso
R.G.N. 18097/2020
Ud. 26/06/2025 CC
CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO BARI n. 318/2020 depositata il 11/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 26/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 318/2020, pubblicata in data 11 febbraio 2020, la Corte d’appello di Bari, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha parzialmente accolto l’appello proposto dal COMUNE DI COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Trani n. 68/2013, pubblicata in data 25 marzo 2013.
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE aveva convenuto il COMUNE DI ANDRIA, per sentirlo condannare al pagamento della somma di € 1 .027.524,36 derivante dall’insieme di riserve che l’impresa aveva formulato in relazione ad un appalto assegnato nel 1998.
La società, odierna ricorrente, aveva dedotto che i lavori erano stati reiteratamente sospesi a causa della necessità di lavori aggiuntivi, rispetto a quelli originariamente previsti in appalto, addebitando altresì alla stazione appaltante il ritardo delle necessarie varianti all’originario progetto iniziale.
Aveva quindi chiesto il riconoscimento dei maggiori costi e del risarcimento dei danni.
Costituitosi regolarmente il COMUNE DI ANDRIA, il Tribunale, all’esito dell’istruttoria, aveva condannato quest’ultimo al risarcimento dei danni ed all’indennizzo, determinati in € 667.225,95.
Per quanto ancora rileva nella presente sede, la Corte d’appello ha parzialmente accolto il gravame principale, rideterminando la somma dovuta dal COMUNE DI ANDRIA all’odierna ricorrente in € 352.038,44.
La Corte territoriale, infatti, ha valutato i vari periodi di sospensione, individuando come periodo di sospensione illegittima quello dal 6 luglio 1999 al 29 marzo 2000 ed escludendo l’illegittimità di altri periodi sulla base del disposto di cui all’art. 30, d.P.R. n. 1063/1962.
In relazione al periodo di sospensione illegittima, la Corte territoriale, sulla base degli elementi forniti dalla CTU, ha ritenuto di riconoscere all’odierna ricorrente le sole voci per oneri improduttivi e per differenze di nuovi prezzi, mentre ha escluso le voci per oneri produttivi e per equo compenso, in quanto i primi non risultavano adeguatamente provati ed il secondo non poteva essere riconosciuto, essendo stato introdotto solo con l’art. 25, D.M. n. 145/2000, ratione temporis non applicabile.
La Corte d’appello ha invece dichiarato assorbito il motivo di appello incidentale col quale l’odierna ricorrente aveva censurato la decisione di prime cure nella parte in cui aveva stabilito che la somma riconosciuta alla stessa impresa doveva essere considerata rivalutata fino alla data della seconda integrazione della CTU e, quindi, decurtata degli importi a titolo di rivalutazione a ritroso sino alla domanda introduttiva (7 marzo 2003) ai fini del calcolo degli interessi.
La Corte ha infatti osservato che la parziale riforma della decisione di prime cure quanto alla rideterminazione delle somme dovute comportava l’assorbimento del motivo in quanto la somma riconosciuta in sede di gravame era da considerarsi già rivalutata fino al 20 maggio 2009 e, conseguentemente, gli interessi dovevano essere calcolati sulla somma devalutata alla data della domanda.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bari ricorre RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE.
Resiste con controricorso il COMUNE DI ANDRIA.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce ‘ Nullità della sentenza per violazione dell’art 112 cpc in relazione all’art. 360 4) c.p.c. nella forma del vizio di ultrapetizione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cpc e 2909 C.c. in relazione all’art 360 n. 3 c.p.c. ‘
Come sintetizzato in ricorso:
‘ In particolare, si censura la sentenza nella parte in cui, pur dopo aver riconosciuto che le sospensioni delle lavorazioni appaltate disposte dal Comune di Andria fossero, seppur inizialmente legittime, divenute poi illegittime per l’eccessiva durata delle stesse tale da far venir meno i presupposti della sospensione legittima, ha comunque rideterminato l’importo dovuto alla ricorrente a titolo di risarcimento del danno, non riconoscendo le voci relative a oneri produttivi ed equo compenso.
In tal modo, la Corte di Appello ha obliato che l’appellante Comune di Andria si era limitato a contestare che le sospensioni delle
lavorazioni appaltate potessero ritenersi illegittime, argomentando che le stesse dovevano, piuttosto, considerarsi legittime tout court, senza censurare specificamente il capo della sentenza del Tribunale in cui le sospensioni erano state ritenute originariamente legittime, ma divenute poi illegittime per l’ eccessiva durata delle stesse.
Con la conseguenza che la Corte di Appello avrebbe dovuto dichiarare il motivo inammissibile.
In ogni caso, una volta ribadito, anche a seguito della rinnovata CTU, che le sospensioni originariamente legittime erano divenute poi illegittime per l’irragionevole durata delle stesse, doveva adottare una pronuncia di rigetto del motivo, in quanto infondato.
Ed invece, si è spinta oltre quanto veniva chiesto dall’appellante, sino a rideterminare il danno spettante all’odierna ricorrente, pur in assenza di qualsivoglia censura della sentenza di primo grado in punto di quantificazione. ‘ .
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce ‘ Nullità della sentenza per violazione dell’art 112 cpc in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c. Violazione dell’art 112 e dell’art 342 cpc in relazione all’art 360 n. 3 c.p.c. ‘ .
Come sintetizzato in ricorso:
‘ In grado di appello, la deducente aveva eccepito l’inammissibilità dell’appello, in relazione all’art 342 c.p.c.
La Corte di Appello non si è pronunciata al riguardo, accogliendo anzi l’appello del Comune e spingendosi a riformare capi della sentenza di primo grado non investiti da alcuna censura. ‘
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 1223 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art 25 del
DM 145/2000 e dell’art. 13 del Capitolato Generale 1063/1962, in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c. ‘ .
Come sintetizzato in ricorso:
‘(…) la Corte di Appello ricostruisce in maniera illegittima la sfera del danno risarcibile, escludendo inopinatamente, quanto agli oneri improduttivi, il nolo dei ponteggi e dei tavolati solo perché già di proprietà della ricorrente e senza considerare che la relativa immobilizzazione è essa stessa fonte di danno.
Quanto poi all’equo compenso, contrariamente a quanto argomentato dalla Corte di Appello, trattasi di istituto già contemplato dal Capitolato Generale 1063/1962 e, quindi, ratione temporis applicabile.’ .
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce ‘ Nullità della sentenza per violazione dell’art 112 cpc in relazione all’art. 360 n. 4) e.p.c. Violazione dell’art 112 cpc in relazione all’art 360 n. 3 c.p.c. ‘ .
Come sintetizzato in ricorso:
‘ si censura il capo di sentenza che nell’esaminare il motivo di appello incidentale, lo ritiene assorbito, ma di fatto lo respinge, anche in tal caso registrandosi una omessa pronuncia in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art 112 c.p.c.’ .
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
L’esame del contenuto dell’atto di appello proposto dall’odierno controricorrente -riprodotto nel ricorso stesso, con pieno rispetto dell’art. 366 c.p.c. e quindi direttamente esaminabile da parte di questa Corte quale giudice del fatto processuale -vale ad evidenziare che il gravame proposto innanzi la Corte barese -ed in particolare il suo secondo motivo – veniva a contestare nella sua integralità sia l’ an sia, conseguentemente, il quantum della pretesa azionata
originariamente dall’odierna ricorrente , così come veniva a censurare l’affermazione del giudice di prime cure per cui sospensioni originariamente disposte in modo legittimo erano successivamente divenute illegittime.
In virtù di tali radicali contestazioni la Corte d’appello era tenuta a valutare il gravame nel suo contenuto complessivo, tenendo conseguentemente conto anche degli inevitabili riflessi che le deduzioni inerenti l’ an erano destinate ad avere anche sulla determinazione delle somme da riconoscersi all’odierna ricorrente , senza che un vaglio di tale estensione potesse ritenersi contrastare con il disposto di cui all’art. 112 c.p.c., come invece dedotto dalla ricorrente.
Proprio la correlazione dei due profili, quindi, vale ad evidenziare che alcun giudicato sul quantum poteva ritenersi formato in presenza dell’impugnazione relativa all’ an , essendo sufficiente richiamare, sul punto, il principio per cui, ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, deve farsi riferimento alla nozione giurisprudenziale di “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno”, la quale individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico, con la conseguenza che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione (Cass. Sez. L – Sentenza n. 32683 del 07/11/2022; Cass. Sez. L – Sentenza n. 28565 del 03/10/2022; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 16853 del 26/06/2018; Cass. Sez. 6 – L,
Ordinanza n. 24783 del 08/10/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 12202 del 16/05/2017; Cass. Sez. L, Sentenza n. 2217 del 04/02/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16583 del 28/09/2012).
Risulta, conseguentemente, esclusa anche la dedotta violazione dell’art. 2909 c.c., dal momento che la formulazione dell’appello, in virtù dei suoi caratteri, è venuta a contestare la pretesa dell’odierna ricorrente nella sua integralità, con conseguente impossibilità -anche logica -del formarsi di un giudicato in relazione alla (sola) quantificazione della pretesa della ricorrente, essendo stato radicalmente posto in discussione il fondamentale presupposto della quantificazione medesima.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile e comunque infondato.
In primo luogo, infatti, deve trovare applicazione il consolidato orientamento di questa Corte, per cui il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 10422 del 15/04/2019; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 25154 del 11/10/2018; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 1876 del 25/01/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22083 del 26/09/2013), quale, appunto, è da considerarsi l’eccezione di inammissibilità dell’appello per assenza dei requisiti stabiliti dall’art. 342 c.p.c.
In secondo luogo, occorre richiamare sul punto sia il principio per cui l’osservanza del dettato di cui all’art. 342 c.p.c. non impone l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità
rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. Sez. U – Sentenza n. 27199 del 16/11/2017 – Rv. 645991 -01 e, successivamente, Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13535 del 30/05/2018 – Rv. 648722 01), sia il principio per cui la specificità dei motivi di appello dev’essere commisurata all’ampiezza ed alla portata delle argomentazioni della sentenza impugnata (Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 21401 del 26/07/2021).
Operato tale richiamo e tornando al caso in esame, si deve osservare che la lettura -ancora una volta -dell’ atto di appello dell’odierno controricorrente viene ad evidenziare che lo stesso rispettava adeguatamente i requisiti di cui all’art. 342 c.p.c., giustificandosi in tal modo l’evidente rigetto implicito contenuto nella decisione impugnata (Cass. Sez. 3 -Sentenza n. 2151 del 29/01/2021; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15255 del 04/06/2019; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20718 del 13/08/2018).
Il terzo motivo, invece, deve trovare accoglimento nei limiti che ci si appresta a specificare.
Infatti, poiché la ricorrente viene a dolersi del mancato riconoscimento sia degli oneri produttivi – che il ricorso indica come ‘oneri improduttivi’, sebbene questi siano invece stati riconosciuti dalla decisione impugnata -sia dell’equo compenso, occorre operare sul punto una distinzione.
Quanto agli oneri produttivi, il motivo risulta in realtà inammissibile, dal momento che lo stesso viene a censurare una mera valutazione in fatto della Corte d’appello, la quale, da un lato, ha ritenuto che tali oneri fossero stati compensati con la ‘differenza sui nuovi prezzi’ per le nuove lavorazioni introdotte con la perizia di variante e, dall’altro lato, ha ritenuto carente la prova degli oneri
stessi , con particolare riferimento all’assenza dei contratti di nolo con l’indicazione dei relativi canoni .
A diverse conclusioni si deve invece pervenire con riguardo all’equo compenso, dal momento che, affermando che l’equo compenso è stato introdotto solo con l’art. 25, D.M. n. 145/2000, la Corte territoriale si è posta in diretto contrasto con il principio – da questa Corte affermato – per cui in tema di appalto di opere pubbliche, l’appaltatore ha diritto all’equo compenso ex art. 13, comma 5, d.p.r. n. 1063 del 1962, quando le variazioni richieste dal committente eccedano di un quinto le quantità originariamente pattuite, senza necessità di provare che ciò abbia determinato un notevole pregiudizio economico in danno dell’impresa, poiché la norma – interpretata non solo secondo il senso letterale delle parole, nella specie insufficiente a chiarirne il significato, ma anche secondo la mens legis , ed alla luce della successiva evoluzione del quadro normativo – prefigura, in presenza di variazioni eccedenti il quinto, una presunzione iuris et de iure in ordine alla sussistenza del notevole pregiudizio economico (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 15584 del 14/06/2018; nonché Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12863 del 28/12/1993).
Ha quindi errato la Corte territoriale nell’affermare che il diritto dell’appaltatore all’equo compenso è stato introdotto solo con il D.M. n. 145/2000, in quanto tale diritto era riconosciuto già dal disposto di cui all’art. 13, comma 5, d.P.R. n. 1063/1962 – venendo poi ripreso dal successivo art. 10, comma 6, D.M. n. 145/2000 e, ancora, dall’art. 161, comma 16, d.P.R. 207/2016 , con la conseguenza che sarebbe stato compito della Corte territoriale non quello di escludere a priori la fondatezza della pretesa dell’odierna ricorrente sulla base di una non condivisibile ricostruzione del quadro normativo, bensì di
procedere all’accertamento della presenza o meno dei relativi presupposti di legge per il riconoscimento della pretesa medesima.
L’accoglimento del terzo motivo determina l’assorbimento del quarto.
Il ricorso deve quindi essere accolto con riferimento al terzo motivo di esso, rigettati primo e secondo ed assorbito il quarto; per l’effetto la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, la quale, nel conformarsi ai principi qui richiamati, provvederà altresì a regolare le spese anche del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, rigettati primo e secondo ed assorbito il quarto, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, a lla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima