Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6739 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6739 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al 01093/2021 R.G., proposto da
NOME COGNOME ; rappresentato e difeso da ll’AVV_NOTAIO ( ), in virtù di procura in calce al ricorso;
-ricorrente-
nei confronti di
PRESIDENZA DEL RAGIONE_SOCIALE , in persona del Presidente del Consiglio pro tempore ; domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO, presso l’ Avvocatura Generale dello Stato da cui è difesa per legge; RAGIONE_SOCIALE , RAGIONE_SOCIALE , RAGIONE_SOCIALE , RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, in persona dei
rispettivi Ministri pro tempore ; RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE , in persona dei rispettivi Rettori pro tempore ; tutti rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato ; ex lege domiciliati in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrenti-
per la cassazione della sentenza n. 823/2020 della CORTE d ‘ APPELLO di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 28 maggio 2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30
gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 4469/2017, in parziale accoglimento della domanda risarcitoria proposta da NOME COGNOME nei confronti delle amministrazioni indicate in epigrafe per la tardiva trasposizione nell ‘ ordinamento statale delle direttive europee in tema di medici specializzandi, condannò la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare all’attore (specializzatosi in ‘ Malattie dell’apparato cardiovascolare ‘ all’esito di un corso triennale frequentato tra l’a.a. 1986 -1987 e l’a.a. 1988 -1989, dapprima presso l’Università di Palermo e, successivamente, presso quella di Napoli) una somma di denaro liquidata secondo i parametri di cui all’art. 11 della legge n. 370 del 1999 (Euro 6.713,94 per ogni anno di corso).
La decisione del Tribunale è stata riformata dalla Corte d’appello di Palermo, la quale, in accoglimento dell’impugnazione proposta dalle amministrazioni convenute, ha, invece, rigettato la domanda formulata da NOME COGNOME, sul rilievo che il corso di specializzazione da lui frequentato non rientrava tra quelli indicati negli elenchi di cui agli artt. 5 e 7 della Direttiva 75/362/CE e che egli non ne aveva dimostrato l’ ‘ equi pollenza’ (da intendersi, non già
come mera ‘corrispondenza nominale’, bensì come ‘equivalenza sostanziale’ , e da valutarsi in base all’effettivo contenuto del corso, alle modalità dello stesso e agli esami sostenuti) a quella in ‘ Cardiologia ‘ o ad altra specializzazione comune ad almeno due Stati membri dell’Unione europea e ricompresa nei predetti elenchi, senza che assumesse rilievo, al riguardo, la circostanza che le specializzazioni fossero state diversamente disciplinate dai decreti ministeriali successivamente approvati, segnatamente a far tempo dal d.m. 31 ottobre 1991, successivo alla data in cui l’attore -appellato aveva conseguito la specializzazione.
Per la cassazione della sentenza della Corte panormita NOME AVV_NOTAIO COGNOME ha proposto ricorso, sorretto da un unico, articolato motivo, cui hanno risposto, con controricorso, le amministrazioni indicate in epigrafe.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero non ha presentato conclusioni scritte.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso , NOME COGNOME COGNOME denuncia, da un lato, « violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., dell’art. 12 preleggi, del D.P.R. 162/1982 e delle Direttive 362/75/CEE, 363/75/CE, e 82/76/CE (art.360 n°3 c.p.c.) » ; dall’altro lato, « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art.360 n°5 c.p.c.) in punto di prova della natura comunitaria del ‘corso di specializzazione in malattie dell’apparato cardiovascolare’ ».
Il ricorrente censura la sentenza d’appello per non avere considerato che egli aveva dato prova della « natura comunitaria » del
corso frequentato, nel momento in cui aveva evidenziato, per un verso, l’obiett ivo di uniformazione prefissato dal legislatore eurounitario e, per l’altro, la disciplina di principio sull’assetto dell’ordinamento universitario delle scuole di specializzazione posta con il d.P.R. n. 162 del 1982. Pertanto, dal fatto stesso che un medico avesse, a far data dal 1986, frequentato e portato a temine un corso di specializzazione, il giudice del merito sarebbe dovuto risalire, ex art.2727 cod. civ., al fatto ( in thesi ) ignorato, ovverosia all’accertamento della circostanza che quel corso era conforme al diritto interno e alle direttive comunitarie.
Soggiunge che, ove pure la specializzazione in ‘ Malattie dell’apparato cardiovascolare ‘ fosse reputata non conforme agli standard comunitari, sarebbe parimenti incontestabile la responsabilità dello Stato italiano per avere attivato o per avere omesso di abolire i corsi difformi da quelli disciplinati dalle direttive europee, traducendosi tale contegno nella privazione della chance di frequentare uno dei corsi espressamente riconosciuti a livello comunitario.
L’unico motivo e con esso l’intero ricorso è manifestamente infondato.
2.1. Anzitutto, va ricordato che l ‘ inclusione del corso di specializzazione nelle professioni sanitarie tra quelli di cui agli elenchi allegati alle direttive europee che sanciscono l ‘ obbligo per lo Stato membro di provvedere ad una adeguata remunerazione per il periodo di frequenza (ovvero la sua equipollenza a quelli riconosciuti in almeno due Stati membri), rappresenta uno dei fatti costitutivi del diritto del medico specializzato ad ottenere l ‘ indennizzo per la mancata (o tardiva) attuazione delle suddette direttive ( ex multis , Cass. n. 25414 del 2022); fatto costitutivo che l ‘ attore deve
specificamente allegare nella sua domanda e, ove occorra, deve altresì provare in giudizio. La questione è rilevante sia in diritto (con riguardo alla ‘ corrispondenza ‘ tra la specializzazione conseguita dall ‘ attore e quelle espressamente incluse negli elenchi allegati alle direttive), sia in fatto (con riguardo alla sua ‘ equipollenza ‘ rispetto alle diverse specializzazioni previste negli altri Stati membri).
2.2. La circostanza che il giudizio sulla concreta equipollenza implichi necessariamente anche riscontri fattuali, devoluti al giudice di merito, esclude che esso possa essere formulato sulla base di una mera assonanza terminologica tra due o più corsi in comparazione. Questa Corte ha già chiarito, al riguardo, che non si verte in materia di mera questione nominale, risolvibile attraverso la verifica della più o meno simile denominazione della specializzazione, ma di questione di fatto, che implica l’accertamento del contenuto e delle modalità di svolgimento dei corsi di specializzazione. Per questa ragione, l’eventuale assonanza terminologica tra le denominazioni dei corsi di specializzazione frequentati con quelli comuni a tutti o ad almeno due paesi dell’Unione e ricompresi negli elenchi della direttiva ‘riconoscimento’, non giustifica l’assunto che i primi costituiscano solo una variante nominale dei secondi; piuttosto, essa assonanza altro non esprime se non la prospettazione del fondamento di natura fattuale di cui s’è detto (concreta equipollenza del corso, indipendentemente dalla sua denominazione, ad un corso di specializzazione comune a due o più altri Stati membri e, come tale, indicato nell’art. 7 della Direttiva); fondamento fattuale che è onere dell’istante allegare e provare, e che spetta al giudice del merito accertare (cfr., in termini, Cass. n. 25414 del 2022; in precedenza già, in tal senso, Cass. n. 458 del 2019). Pertanto, nel caso di specie, non può attribuirsi alcuna rilevanza alla vicinanza semantica tra la
denominazione di ‘ M alattie dell’apparato cardiovascolare ‘ e quella di ‘ Cardiologia ‘, restando insindacabile, al contrario, l’accertamento di fatto compiuto dal giudice d’appello, il quale ha escluso che il ricorrente avesse dato la prova della sostanziale equivalenza del corso frequentato dal ricorrente ad altra specializzazione comune ad almeno due Stati membri dell’Unione europea e ricompresa nei predetti elenchi.
Deve, poi, rilevarsi che -contrariamente a quanto infondatamente sostenuto dal ricorrente -nessun rilievo può attribuirsi alla normativa interna di rango regolamentare in ordine alla ‘equipollenza’. Questa Corte, in analoghe fattispecie, ha rimarcato che un credito risarcitorio (o, se si preferisce, indennitario) in tanto sarebbe predicabile in iure , in quanto potesse affermarsi che, se lo Stato italiano avesse dato attuazione alle direttive comunitarie entro il termine da quelle previsto, il ricorrente avrebbe beneficiato di un incremento patrimoniale che invece ha perduto. Nel caso di specie, NOME COGNOME ha dedotto di avere frequentato la scuola di specializzazione nel periodo compreso tra gli anni 1986-1989, conseguendo la specializzazione in data 25 ottobre 1989. Pertanto, nel periodo compreso tra la scadenza del termine per lo Stato italiano di dare attuazione alle direttive comunitarie (1982) e il completamento del corso di specializzazione da parte del ricorrente, non esisteva ancora alcuna delle norme sulla «equipollenza» delle specializzazioni da lui evocate (segnatamente, il decreto ministeriale 1° agosto 2005 e, prima di esso, i decreti ministeriali 30 ottobre 1993, 30 gennaio 1998 e 31 gennaio 1998, nonché l’invocato decreto ministeriale 30 ottobre 1991). Non è giuridicamente sostenibile che l’equipollenza di un corso di specializzazione a quelli previsti in almeno altri due Stati membri sussista in virtù di norme che non
esistevano all’epoca in cui quel corso venne frequentato. E se può imputarsi allo Stato italiano di avere dato tardiva attuazione alla Direttiva 1975/363 (come modificata dalla Direttiva 1982/76), nella parte che imponeva agli Stati membri l’obbligo di remunerare i dottori specializzandi, certamente non gli si può rimproverare a titolo di «illecito comunitario» di non avere ampliato il novero delle specializzazioni equipollenti, dal momento che tale ampliamento per gli Stati membri costituiva una facoltà, e non un obbligo loro imposto dalla normativa comunitaria (v., in termini, Cass. n. 25414/2022, e, precedentemente, Cass. 26/07/2019, n. 20303). Sotto tale profilo, dunque, appare del tutto pretestuosa la specifica doglianza con la quale si lamenta che l’attivazione e persino l’omessa abolizione di corsi non equipollenti avrebbe precluso al ricorrente la possibilità di scegliere di frequentare uno dei corsi espressamente riconosciuti a livello comunitario, con conseguente responsabilità risarcitoria dello Stato per perdita di chance ; ben vero, infatti, il lecito mancato esercizio di una facoltà da parte dello Stato non incideva sulla equivalente facoltà del medico di iscriversi ad un corso incluso negli elenchi delle direttive europee o equipollente a quelli previsti in due Stati membri.
2.3. Va infine osservato che neppure giova alle argomentazioni del ricorrente l’accostamento della specializzazione in ‘ Malattie dell’apparato cardiovascolare ‘ a quella in ‘ Cardiologia ‘, operato da Cass. 31/07/2018, n. 20186. Si afferma in tale arresto che, allorquando nell’ordinamento italiano un medico – specializzatosi, nella situazione di inadempimento statuale alle direttive in materia di medici specializzandi 75/362, 75/363 e 82/76, in un corso di specializzazione non compreso fra quelli indicati come comuni a tutti gli stati membri nell’art. 5 della direttiva 75/363 ed assunto però
come equivalente ad un corso di specializzazione comune solo a due o più altri stati membri – faccia valere il diritto al risarcimento del danno per il detto inadempimento, il giudice italiano è tenuto a verificare in concreto se quella equivalenza vi fosse, in quanto il diritto comunitario di cui alle dette direttive, ove fosse stato tempestivamente adempiuto dallo Stato Italiano, avrebbe dovuto attribuire al medico che avesse conseguito la specializzazione per il corso non indicato, il diritto di esigere l’adeguata remunerazione, nel presupposto dell’equivalenza del corso ad uno di quelli indicati come comuni soltanto a due o più stati membri, sebbene solo dopo verifica in concreto dell’equivalenza stessa. Si afferma poi, nel citato arresto, che tale verifica concreta va rimessa al giudice di rinvio, che vi provvederà sulla base delle allegazioni e delle contestazioni già esistenti ed introdotte nei gradi merito e senza che sia consentito di introdurne di nuove.
Ora, anche rispetto al principio accolto da Cass. n. 20186 del 2018, e prescindendo dalla verifica suddetta, nel caso di specie la doglianza sul punto non potrebbe essere accolta, dal momento che la Corte panormita, movendo dalla corretta esigenza di valutare l”equipollenza’ sul terreno concreto dell’ ‘equivalenza sostanziale’ (e non già della mera ‘corrispondenza nominale’), ha formulato il motivato giudizio -che costituisce oggetto di apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità -secondo cui NOME COGNOME COGNOME non aveva dato la prova che il corso di specializzazione da lui frequentato fosse equipollente ad alcuno tra quelli previsti negli elenchi comunitari e, in particolare, a quello in cardiologia, specializzazione, quest’ultima, indicata nell’elenco di cui agli artt. 5 e 7 della direttiva 75/362/CEE e comune a diversi Stati membri dell’Unione europea.
2.4. In conformità alle decisioni assunte, con orientamento ormai consolidato, in fattispecie sovrapponibili alla presente, in cui è stata negata l’equipollenza alle previsioni comunitarie della specializzazione in ‘ Malattie dell’apparato cardiovascolare ‘ (cfr. Cass. 26/08/2022, n. 25414; Cass.15/11/2022, n. 33634; Cass. 12/07/2023, n. 19946; Cass. 25/08/2023, n. 25388), il ricorso proposto da NOME COGNOME COGNOME va, in definitiva, rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno pertanto poste a carico del ricorrente.
Sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto (Cass., Sez. Un., n. 4515 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00, oltre le spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione