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Equiparazione retributiva: no tra civili e militari

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di alcuni dipendenti civili del Ministero della Difesa che chiedevano l’equiparazione retributiva con il personale militare (marescialli). La Corte ha ribadito la netta distinzione tra il rapporto di lavoro del personale civile, regolato da contratti collettivi, e quello del personale militare, disciplinato dal diritto pubblico. Questa differenza impedisce un confronto diretto e una conseguente equiparazione dello stipendio. Il ricorso è stato inoltre respinto per motivi procedurali, inclusa la mancanza di specificità.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Equiparazione Retributiva: la Cassazione Nega la Parità tra Civili e Militari

La recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema di grande interesse nel pubblico impiego: la possibilità di una equiparazione retributiva tra il personale civile e quello militare del Ministero della Difesa. Con una decisione netta, i giudici hanno escluso tale possibilità, ribadendo la profonda differenza giuridica tra i due status e stabilendo un principio chiaro per casi futuri. Analizziamo insieme la vicenda e le motivazioni della Corte.

I Fatti di Causa: La Richiesta dei Dipendenti Civili

La controversia nasce dall’azione legale di un gruppo di dipendenti civili in servizio presso un aeroporto militare. I lavoratori chiedevano il riconoscimento del diritto a percepire le differenze retributive tra la propria fascia di stipendio e quella, più alta, prevista per la figura del maresciallo.

La loro richiesta si basava, in parte, su una precedente vittoria giudiziaria con cui avevano ottenuto un’indennità specifica, motivata dal fatto che svolgevano compiti di supporto tecnico-amministrativo a stretto contatto con il personale militare e “nelle medesime condizioni ambientali”. Tuttavia, questa nuova domanda mirava a un obiettivo ben più ampio: non un singolo emolumento, ma una parificazione completa dello stipendio base.

La Decisione della Corte d’Appello

Già in secondo grado, la Corte d’Appello aveva respinto le pretese dei lavoratori. I giudici territoriali avevano sottolineato che le precedenti sentenze favorevoli ai dipendenti non costituivano un “giudicato” vincolante per la nuova richiesta. La causa petendi, ovvero il fondamento della domanda, era diversa: un conto è riconoscere un’indennità per le condizioni di lavoro, un altro è affermare una totale identità di mansioni e, di conseguenza, di stipendio con la figura del maresciallo. Inoltre, la Corte d’Appello aveva già evidenziato la non sovrapponibilità delle mansioni e, soprattutto, la diversità di status giuridico tra personale civile e militare.

L’Analisi della Cassazione sull’Equiparazione Retributiva

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha dichiarato il ricorso dei lavoratori inammissibile, basando la propria decisione su una serie di ragioni sia procedurali che di merito. Questa scelta conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato, chiudendo di fatto la porta a future rivendicazioni simili basate sulla comparazione diretta tra i due comparti.

La Suprema Corte ha evidenziato come il ricorso mancasse della necessaria specificità, non riportando in modo adeguato i passaggi delle sentenze precedenti su cui si fondava la pretesa violazione del giudicato. Inoltre, ha ritenuto il motivo di ricorso per “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” non più ammissibile secondo la formulazione attuale dell’art. 360 c.p.c., che limita il sindacato della Corte alla verifica di un “minimo costituzionale” della motivazione.

Le Motivazioni della Decisione

Il nucleo centrale della motivazione risiede nel principio, già affermato dalla giurisprudenza, della non comparabilità tra il rapporto di lavoro del personale civile e quello del personale militare. La Corte ha spiegato che:

1. Diversità di Fonti Normative: Il trattamento economico dei dipendenti civili dello Stato è regolato esclusivamente dai contratti collettivi, come previsto dal D.Lgs. 165/2001. Al contrario, il rapporto di impiego del personale militare è ancora disciplinato da un regime di diritto pubblico, esterno alla contrattazione collettiva.

2. Impossibilità di Comparazione: Proprio questa fondamentale differenza di regime giuridico impedisce qualsiasi operazione di comparazione diretta tra i due trattamenti economici. L’art. 45 del D.Lgs. 165/2001, che prevede un trattamento economico “non inferiore” per mansioni equivalenti, non può essere applicato per confrontare categorie di personale appartenenti a ordinamenti così diversi.

3. Inammissibilità per Conformità a Giurisprudenza: Poiché la decisione della Corte d’Appello era conforme a principi di diritto già consolidati in Cassazione, e i motivi del ricorso non offrivano elementi per un cambio di orientamento, il ricorso è stato dichiarato inammissibile anche ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un pilastro del diritto del pubblico impiego: la netta separazione tra il comparto del personale contrattualizzato e quello del personale in regime di diritto pubblico, come i militari. La pretesa di equiparazione retributiva basata su una presunta identità di mansioni non può superare l’ostacolo della diversità di status giuridico e delle fonti che regolano i rispettivi trattamenti economici. Questa pronuncia offre un chiaro monito sulla necessità di fondare le rivendicazioni salariali all’interno del proprio specifico ordinamento contrattuale e normativo, evidenziando al contempo il rigore formale richiesto per adire la Corte di Cassazione.

È possibile ottenere l’equiparazione retributiva tra personale civile e militare del Ministero della Difesa?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che non è possibile perché i due rapporti di lavoro sono regolati da fonti normative diverse: il personale civile da contratti collettivi e il personale militare da un regime di diritto pubblico. Questa differenza strutturale ne impedisce la comparazione ai fini retributivi.

Una precedente sentenza che riconosce un’indennità può vincolare un giudice a riconoscere la parità di stipendio?
No. Secondo la Corte, una sentenza che riconosce il diritto a una specifica indennità basata su particolari condizioni di lavoro non costituisce un “giudicato” vincolante per una successiva e diversa domanda di completa equiparazione dello stipendio. La causa petendi (il fondamento della richiesta) è differente.

Per quali motivi principali la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per due ordini di ragioni. In primo luogo, per vizi procedurali, come la mancanza di specificità dei motivi. In secondo luogo, e in modo sostanziale, perché la questione di diritto era già stata decisa in modo conforme dalla giurisprudenza consolidata della stessa Corte, la quale esclude la comparabilità tra il trattamento economico del personale civile e quello militare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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