Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25917 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25917 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17065/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente –
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI n. 1534/2022, depositato il 16/01/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso depositato tempestivamente in cancelleria presso la Corte d’Appello di Napoli , la RAGIONE_SOCIALE chiedeva l’indennizzo per l’irragionevole durata della procedura concorsuale iscritta al n. 48/2015, aperta dinanzi al Tribunale di Avellino con sentenza del 14 ottobre -8 novembre 2005, e chiusa con decreto pubblicato il 18.11.2021, di cui era creditrice ammessa al passivo in chirografo in data 21.03.2006 , per complessivi € . 34.607,07, senza tuttavia percepire alcunchè in esito ai riparti.
Il Consigliere COGNOME esignato riconosceva l’indennizzo nella misura di €. 6.000,00, per il periodo eccedente la ragionevole durata, ovvero per anni 9, mesi 7, 27 giorni, nella misura di €. 500,00 per ciascun anno, poi aumentati, oltre il terzo e settimo anno di ritardo, rispettivamente del 20% e del 40%.
1.1. Avverso detta pronuncia proponeva tempestiva opposizione il Ministero della Giustizia, con ricorso ex art. 5ter legge 24 marzo 2001, n. 89, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 comma 2sexies lett. g) della medesima legge, nella parte in cui stabilisce che «si presume insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria nel caso di (…) irrisorietà della pretesa o del valore della causa, valutata anche in relazione alle condizioni personali delle parti». Nel caso concreto, infatti, pur non trattandosi di un valore oggettivamente esiguo, il raffronto, disposto dalla norma con le condizio ni soggettive dell’istante, a parere dell’opponente, determinavano la sussistenza certa e incontestabile della «esiguità», posto che dal bilancio chiuso al 2020 dalla società istante emergevano le seguenti grandezze : capitale sociale, € . 5.000.000,00, fatturato di € . 72.157.607,00, crediti per € . 22.691.356,00 e un patrimonio netto di € . 81.616.567,00, a fronte del quale il credito preteso nella massa
concorsuale appare chiaramente insignificante, ed inidoneo a produrre un patimento emotivo per la durata eccessiva della procedura concorsuale in cui era richiesto.
La Corte d’Appello di Napoli , in sede di opposizione, accoglieva il gravame con il provvedimento in epigrafe, così argomentando:
-nell’attuazione del principio de minimis non curat praetor , il legislatore nazionale ha voluto richiamare sia il criterio oggettivo, che soggettivo, con l’inciso «in relazione alle condizioni personali della parte», di tal che, oltre a potersi immaginare un valore oggettivamente irrisorio, che in alcune pronunce di legittimità e, piuttosto uniformemente nel merito, si vuole individuare nel valore di € . 500,00 (cfr. Cass. 21861/2014 ex plurimis ), è ben possibile raffrontare tale soglia con le grandezze economiche di alcuni soggetti istanti aventi particolare capienza e solidità;
nel caso attuale, a fronte delle grandezze economiche indicate nel bilancio dell’anno 2020: capitale sociale, € 5.000.000,00, fatturato di € 72.157.607,00, crediti per € 22.691.356,00 e un patrimonio netto di € 81.616.567,00, e, soprattutto con riferimen to alle ultime tre misure, ciò riconduce il credito ammesso nella procedura fallimentare di durata irragionevole, pari ad € . 34.706,00, a valore irrisorio, comportante, secondo il disposto dell’art. 2 , comma 2sexies lett. g) legge citata alla presunzione di insussistenza del danno.
Avverso il suddetto decreto ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandolo a due motivi e illustrandolo con memoria.
Resiste il Ministero della Giustizia.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, comma 2sexies , lett. g) legge n. 89/2001, in relazione all’art. 6, par . 1 della CEDU, all’art. 1 del primo protocollo addizionale
ed agli artt. 111 e 117 della Costituzione. A giudizio della ricorrente, l’interpretazione della norma riportata non è corretta , in quanto essa non ha lo scopo di rendere non indennizzabile il ritardo per soggetti «capitalizzati» -e quindi, di restringere normativamente la platea dei soggetti destinatari della tutela di fonte convenzionale -bensì, all’esatto opposto, quello di rendere valutabile la pretesa risarcitoria per l’irragionevole durata di processi di valore modesto per la maggioranza dei consociati, ma non così per la parte interessata. Ragionando diversamente, si andrebbe contro l’insegnamento della Corte EDU che circoscrive il valore irrisorio a importi significativamente bagattellari, non paragonabili al valore della causa del giudizio presupposto (€ . 34.607,07, pari al valore dell’ammissione all’insinuazione al passivo), esplicitato inoltre nella «Guida pratica alle condizioni di ricevibilità» (Edizione 2021), ove si afferma il principio contrario rispetto a quello utilizzato dalla Corte napoletana; nonché contro l’insegnamento della Corte Costituzionale (sentenza n. 184 del 2015), che ha avuto modo di precisare che le legittime scelte discrezionali del legislatore in ordine alla determinazione di quanto spetta a titolo di equa r iparazione non possono incidere anche sull’ an del diritto.
1.1. Il motivo è fondato.
Deve, innanzitutto, rammentarsi che la giurisprudenza di questa Corte ha parametrato la c.d. «posta in gioco», ai sensi dell’art. 12 del Protocollo aggiuntivo n. 14 alla CEDU, ad una soglia minima di gravità, al di sotto della quale il danno non sarebbe indennizzabile, ritenendo di doverla apprezzare nel duplice profilo della violazione e delle conseguenze, sicché dall’ambito di tutela della legge 24 marzo 2001, n. 89 resterebbero escluse sia le violazioni minime del termine di durata ragionevole, di per sé non significative, sia quelle di maggior
estensione temporale ma riferibili a giudizi presupposti di carattere bagatellare, in cui esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e processuali connessi (per tutte: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 633 del 14/01/2014, Rv. 628986 -01; di recente: Cass. Sez. 2, n. 34861 del 13.12.2023).
Positivizzando e dando continuità ad un orientamento emerso nella giurisprudenza di questa Corte Suprema (già a partire dalla sentenza n. 633/14 cit.; Cass. n. 11228 del 2019) e della Corte EDU (cfr. sentenza 6 marzo 2012, COGNOME c. Italia ) – che avevano applicato alla materia il principio de minimis non curat praetor – la legge n. 208/15 ha aggiunto il comma 2sexies all’art. 2 della legge n. 89/01 disponendo alla lett. g) che si presume insussistente, salvo prova contraria, il pregiudizio da irragionevole durata del processo nel caso di irrisorietà della pretesa o del valore della causa, valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte.
1.2. Alla nozione di «irrisorietà della pretesa o del valore della causa» si deve, dunque, attribuire il significato che si trae dalla giurisprudenza consolidata della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (contrariamente a quanto affermato nel controricorso, p. 5, 4° capoverso) , dalla quale non è permesso di discostarsi nell’esercizio del potere interpretativo garantito al giudice nazionale in sede di applicazione dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, in quanto la legge n. 89 del 2001 fornisce unicamente un rimedio giurisdizionale interno che permette di assicurare la sussidiarietà dell’intervent o del giudice convenzionale ( ex multis , di recente; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 3803 del 12.02.2024, richiamata in memoria dalla ricorrente). La Corte EDU, nella valutazione delle condizioni di ricevibilità ai sensi dell’articolo 35 , § 3, lett. a) della Convenzione, afferma che un ricorrente abusa del ricorso individuale presentato ai sensi dell’articolo 34 qualora sia
manifestamente privo di una reale posta in gioco, ad esempio riguardi una somma di denaro irrisoria o comunque non incida minimamente sui legittimi interessi del ricorrente ( COGNOME e altri c. Grecia , n. 50634/11, 5 novembre 2013; Bock c. Germania , n. 22051/07, 19 gennaio 2010)
A base della corretta esegesi della norma in discorso, questa Corte ha evidenziato due esigenze e un correttivo (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23384 del 01.08.2023): da un lato, impedire sovracompensazioni (esigenza già avvertita, per tutte, dalle pronunce Cass. nn. 14047/16, 25804/15 e 22385/15) e diseconomici ricorsi alla giurisdizione; dall’altro, evitare che l’esiguità della posta in gioco sia espressa da un dato assoluto ed oggettivo, scisso dalle condizioni personali di chi quella pretesa ha perseguito o ha subìto nel giudizio presupposto. Correttivo, quest’ultimo, che questa Corte Suprema, sia prima che dopo la legge n. 208/15, ha adoperato nel ritenere indennizzabile la durata irragionevole di controversie di lavoro, previdenziali o assistenziali, ancorché di valore inferiore a €. 500,00 (cfr. ad es. nn. 21030/15 e 28750/18).
1.3. Il ricorso alla presunzione iuris tantum di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo di cui all’art. 2, comma 2-sexies, lett. g) della legge n. 89 del 2001 deve, dunque, prendere le mosse dal fatto noto – percepito ed accertato dal giudice del merito sulla base di evidenze probatorie non costituite, a loro volta, da presunzioni – che la pretesa azionata o il valore della causa nel giudizio presupposto sia «irrisoria», cioè manifestamente priva di una reale posta in gioco, in tal modo valutata «anche» in relazione alle condizioni personali della parte.
Come ha messo in evidenza anche la Corte d’Appello (v. decreto p. 4, righi 5-6), ai fini del riconoscimento della irrisorietà della pretesa o
del valore della causa, la norma non detta criteri rigidi cui ancorare la relativa valutazione, dovendosi essa apprezzare alla stregua di due elementi di valutazione: uno obiettivo, correlato al valore del bene che è oggetto della lite, e uno soggettivo, per il quale si tiene conto delle condizioni della parte.
La determinazione della consistenza della pretesa e del valore della causa, agli effetti dell’art. 2, comma 2 -sexies , lett. g), della legge n. 89 del 2001, quindi, non può che compiersi sulla base della reale portata dell’interesse della singola parte alla decisione, effettuando altresì un giudizio di comparazione tra l’importo della somma in gioco e la situazione socioeconomica dell’istante (cfr. Cass. n. 24362 del 2018; Cass. n. 974 del 2020).
1.3.1. Il riferimento alle «condizioni personali della parte» assume, poi, una specifica dimensione ove si tratti di equa riparazione per irragionevole durata del processo in favore di persone giuridiche, ed in particolare di società di capitali, per il danno provocato alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri (secondo le indicazioni delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, 6 aprile 2000, RAGIONE_SOCIALE Portugal ; 8 giugno 2004, RAGIONE_SOCIALE ), giacché le esigenze di adeguata patrimonializzazione di tali soggetti, imposte dalla vocazione imprenditoriale, non possono costituire automatica ragione di esclusione dei medesimi dalla titolarità del diritto all’indennizzo.
1.4. Nel caso di specie, non ricorreva l’esigenza posta alla base della norma richiamata (impedire sovracompensazioni), essendo il credito vantato da Fincibec s.p.a. ( € . 34.607,07) ben superiore all’esiguità della posta in gioco (€. 500,00) ; né, sotto il profilo dell’elemento soggettivo , vi era necessità di applicare il correttivo (condizioni economiche di capienza della richiedente) -applicato
automaticamente dalla Corte d’Appello di Napoli -tra l’importo dell’istanza di insinuazione al passivo ed il patrimonio societario; operazione che esclude tout court il pregiudizio in favore delle società con un considerevole volume d’affari che agiscono in diverse procedure per il recupero dei credito (di recente, tra le altre: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11442 del 30.04.2025).
Il Collegio non condivide, dunque, quanto affermato dalla Corte d’Appello, laddove ha ritenuto di dover raffrontare il criterio oggettivo -pure rappresentato dal valore della pretesa e della causa nient’affatto bagattellare -con «le grandezze economiche del soggetto istante, avente particolare capienza e solidità» (v. decreto p. 4, 1° e 2° capoverso).
Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 135 cod. proc. civ. , in relazione all’art. 2, comma 2 -sexies , lett. g), legge n. 89/2001, all’art. 6, paragrafo 1 della CEDU, all’art. 1 del primo protocollo addizionale ed agli artt. 111 e 117 della Costituzione -Nullità del decreto -con riferimento all’art. 360, n. 4) cod. proc. civ. In violazione (anche) dell’art. 115 cod. proc. civ., avendo il Collegio deciso sulla base di una personalissima, non controllabile e sostanzialmente arbitraria, valutazione di «irrisorietà», che si tramuta in mero soggettivismo della decisione, la ricorrente censura la pronuncia per carenza motivazionale.
2.1. Avendo il Collegio accolto il primo motivo di ricorso, il secondo va ritenuto assorbito.
In definitiva, il Collegio cassa il decreto impugnato.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ. la causa può essere decisa nel merito, procedendo alla liquidazione dell’indennizzo per l’irragionevole durata del procedimento presupposto in ragione di €. 500,00 annui,
moltiplicati per l’accertato periodo eccedente la ragionevole durata, ossia per anni 9, oltre interessi maturati dalla domanda di equa riparazione al soddisfo.
Liquida le spese del giudizio di opposizione e del presente giudizio secondo soccombenza, come da dispositivo, da distrarsi in favore dei difensori di parte ricorrente dichiaratisi antistatari.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo motivo, cassa il decreto e, decidendo nel merito, liquida l’inde nnizzo per irragionevole durata del processo in €. 4. 500,00, oltre interessi maturati dalla domanda al saldo;
condanna il Ministero controricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della società ricorrente così determinate:
-per il giudizio di opposizione, €. 1.500,00, oltre le spese generali;
-per il presente giudizio di legittimità, €. 940,00 per compensi, oltre a €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%, con distrazione di entrambe le somme liquidate per compensi in favore dei difensori di parte ricorrente, NOME COGNOME e NOME COGNOME dichiaratisi antistatari.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 19 novembre 2024.
La Presidente NOME COGNOME