Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33156 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33156 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26046/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 2062/2022 depositato il 26/07/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME e NOME COGNOME con ricorso depositato in data 08.06.2021, chiedevano alla Corte d’Appello di Catanzaro il risarcimento dei danni non patrimoniali a titolo di equa riparazione per l’irragionevole durata del giudizio penale presupposto, conclusosi con sentenza del Tribunale di Lamezia Terme n. 339/2021.
1.1. Con decreto dell’08.01.2022 la Corte d’Appello di Catanzaro rigettava il ricorso, essendo i ricorrenti rimasti contumaci nel giudizio presupposto ed essendosi lo stesso concluso con sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.
Avverso detto decreto proponevano opposizione NOME COGNOME e NOME COGNOME ex art. 5ter legge 24 marzo 2001, n. 89. La Corte d’Appello di Catanzaro, in composizione collegiale, riteneva l’opposizione infondata: ai sensi, infatti, dell’art. 2, comma 2sexies lett. a) e b) della legge n. 89/2001 si presume insussistente il pregiudizio da eccessiva durata del processo, a meno che non si fornisca la prova contraria, sia in caso di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione che in caso di contumacia dell’imputato.
Avverso detto decreto proponevano ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME affidandolo ad un unico motivo.
Si difendeva il Ministero della Giustizia depositando controricorso. CONSIDERATO CHE:
L’unico motivo di ricorso è così formulato: violazione e falsa applicazione della legge n. 89/2001, art. 2; legge n. 134/2012, art. 2 e art. 6 § 1 CEDU, in relazione all’art. 360, comma 1, c.p.c. Con una prima censura i ricorrenti lamentano l’infondatezza del l’asserita preclusione all’indennizzo derivante dalla contumacia degli imputati:
nel processo penale l’imputato può, infatti, scegliere di non comparire in udienza e ciò che rileva è solo la conoscenza che lo stesso ha del procedimento in corso che gli permette di avvalersi del diritto di difesa e che, nel caso di specie, è coincisa con il momento dell’avvenuto arresto. Da tale momento gli imputati hanno nominato il difensore di fiducia e da questi sono stati regolarmente rappresentati durante il processo presupposto. Con una seconda censura si deduce l’erronea preclusione all’indennizzo derivante dalla sentenza di assoluzione per intervenuta prescrizione. Secondo quanto precisato dalla Corte di legittimità, non può essere esclusa l’equa riparazione per il solo fatto che il ritardo nella definizione del giudizio abbia prodotto l’estinzione del reato per prescrizione, dovendo, invece, il giudice del merito apprezzare il comportamento effettivo dell’imputato che abbia utilizzato tecniche dilatorie e strategie difensive sconfinanti nell’abuso del diritto di difesa (Cass. n. 11841/2016; Cass. n. 1552/2020).
1.1. Il ricorso merita accoglimento. L’art. 2, comma 2sexies legge n. 89 del 2001, applicato dalla Corte territoriale, è stato introdotto con la legge 28 dicembre 2015, n. 208: la novella legislativa ha previsto alcune presunzioni iuris tantum di insussistenza del pregiudizio e, fra queste, una riguardante la fattispecie della contumacia della parte (lett. b), l’altra relativa alla dichiarazione di intervenuta prescrizione del reato (lett. a).
1.2. La prima doglianza (non applicabilità della preclusione all’indennizzo derivante dalla contumacia degli imputati) è fondata nei termini di seguito precisati.
1.2.1. Questa Corte già avuto modo di stabilire che non si applica la presunzione di insussistenza del pregiudizio per irragionevole durata del processo, salva prova contraria, come prevista dall’art. 2,
comma 2sexies lett. b) l. n. 89 del 2001, al procedimento penale presupposto (Sez. 2, Sentenza n. 27920 del 30/10/2019, Rv. 655685 -01; confermata da: Sez. 2, Ordinanza n. 10536 del 2022; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 17682 del 2021; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29705 del 2020): si impone, infatti, la necessità di coordinare la disposizione in questione con la normativa nazionale e sovranazionale, in particolare, sotto quest’ultimo profilo, con l’art. 6 par. 1 CEDU, che rappresenta un parametro di riferimento fondamentale in materia. Costituisce, invero, principio acquisito quello per cui, in tema di equa riparazione, la nozione di «causa» o di «processo» considerata dall’art. 6 della CEDU si identifica con qualsiasi procedimento si svolga dinanzi agli organi pubblici di giustizia per l’affermazione o la negazione di una posizione giuridica di diritto o di soggezione facente capo a chi il processo promuova o subisca, in tale novero comprendendosi anche quello relativo alla fase delle indagini che precedono il vero e proprio esercizio dell’azione penale, la quale perciò, ove irragionevolmente si sia protratta nel tempo, ben può assumere rilievo ai fini dell’equa riparazione (cfr. Cass. 18266/2005). Sì che questa Corte ha ripetutamente affermato che il dies a quo , ai fini del computo della durata irragionevole di un processo, con specifico riferimento a quello di carattere penale, comincia a decorrere non necessariamente con la prima udienza o con il primo atto con il quale l’imputato è «condotto» innanzi ai giudici penali in ordine alla valutazione della sussistenza delle accuse rivoltegli, bensì dal momento in cui lo stesso ha conoscenza diretta dell’esistenza di un procedimento penale nei suoi confronti (tra le altre, Cass. n. 15087/2004; id. 19093/2007; id. 19870/2010; id. 22682/2010; 22461/2011; 15179/2015). In questo contesto si inserisce la sentenza della Corte costituzionale n.
184/2015 che, integrando l’art. 2 comma 2bis , legge n. 89 del 2001, ha imposto di tenere conto ai fini della durata del «processo», nell ‘ accezione convenzionale di cui sopra, del periodo in cui l’indagato, in seguito ad un atto dell’autorità giudiziaria, ha avuto conoscenza del procedimento a suo carico.
1.2.2. Dal coordinamento di tali previsioni con la novella di cui all’art. 2, comma 2sexies lett. b), si deve ipotizzare un’applicazione limitata della norma in questione e, quindi, della contumacia quale possibile esclusione dell’equo indennizzo al processo civile o amministrativo, come peraltro prefigura il riferimento letterale alla «contumacia della parte». Nel «processo» penale, infatti, secondo l’accezione convenzionale sopra richiamata, rilevante anche per la legge n. 89 del 2001, sono ricompresi sia lo status di indagato che quello di imputato, a seconda della fase processuale, mentre rispetto ad esso la norma in esame sarebbe applicabile solo per la fase dibattimentale, con insuperabile illogicità della conclusione: avremmo il paradosso che l’indagato avrebbe diritto all’indennizzo, una volta che abbia avuto conoscenza delle indagini e pur essendo in una condizione di sostanziale soggezione alle scelte del p.m., a differenza dell’imputato contumace inspiegabilmente onerato di dare la prova del pregiudizio.
1.2.3. In considerazione di ciò, ritiene il Collegio che la presunzione di assenza di pregiudizio contenuta nell’art. 2 comma 2sexies lett. b) legge n. 89 del 2001 debba essere riferita alla sola contumacia civile; tesi che trova conforto, oltre che, come si è già detto, nella terminologia usata dal legislatore («contumacia della parte»), soprattutto nella diversa natura e disciplina della contumacia della parte nel processo civile rispetto alla contumacia dell’imputato in quello penale.
1.2.4. Nella materia penale la contumacia non esprime di per sé sola né l’insensibilità al disagio derivante dalla pendenza processuale né disinteresse relativo esito la essa può essere dettata da una precisa (e legittima) scelta difensiva: basti pensare che l’imputato dichiarato contumace è comunque assistito da un difensore, diversamente dalla parte contumace nel processo civile, e che la sentenza penale è poi notificata al contumace, diversamente da quella civile. Ancora: mentre la parte contumace può costituirsi fino all’udienza di precisazione delle conclusioni (cfr. art. 293 cod. proc. civ.), l’imputato contumace può costituirsi nel processo penale fino alla decisione chiedendo di essere sottoposto ad esame, oltre a rilasciare dichiarazioni spontanee.
1.2.5. In definitiva, la disposizione dell’art. 2, comma 2sexies lett. b), che prevede l’insussistenza della pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, nel caso di contumacia della parte riguarderebbe esclusivamente il processo civile, mentre nel processo penale la figura dell’indagato e/o dell’imputato restano tali indipendentemente dalla loro contumacia, e pertanto quest’ultima non denuncia disinteresse dell’imputato per la pendenza del giudizio e per il suo esito, bensì può corrispondere ad una precisa e legittima scelta difensiva (Cass. n. 25619/2014).
1.3. Anche nel secondo caso (non sussistenza del pregiudizio per dichiarazione di intervenuta prescrizione del reato, limitatamente all’imputato: art. 2, comma 2sexies , lett. a) legge n. 89 del 2001) la doglianza è fondata.
1.3.1. Questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’equa riparazione per irragionevole durata del processo penale non può essere esclusa per il sol fatto che il ritardo nella definizione del giudizio abbia prodotto l’estinzione del reato per prescrizione,
occorrendo, invece, apprezzare se l’effetto estintivo sia intervenuto per l’utilizzazione, da parte dell’imputato, di tecniche dilatorie o strategie sconfinanti nell’abuso del diritto di difesa ovvero dipenda, in tutto o in parte (e, in tal caso, con valenza preponderante), dal comportamento delle autorità procedenti, senza che, in quest’ultima ipotesi, la mancata rinuncia alla prescrizione ad opera dell’imputato medesimo valga ad elidere, di per sé, il danno derivante dall’irragionevole durata (Cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 11841 del 09/06/2016, Rv. 640398 -01; conf. di recente da Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 28784 del 09/11/2018, Rv. 651234 – 01).
1.3.2. A tale convincimento questa Corte è pervenuta dopo alcune oscillazioni: vi era stato, infatti, un ripensamento (Cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 18498 del 02/09/2014, Rv. 639961 – 01) rispetto alle decisioni più risalenti che avevano interpretato la portata della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sentenza della II Sezione 6 marzo 2012, COGNOME c. Italia ) come legittimante l’esclusione del diritto all’indennizzo nei casi in cui l’imputato avesse beneficiato della prescrizione per l’effetto dell’irragionevole protrarsi del processo penale.
Con tale ultima pronuncia, questa Corte aveva in sostanza tenuto conto della intervenuta disciplina contenuta nel decreto-legge n. 83 del 22 giugno 2012, convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 134, che aveva di fatto recepito l’orientamento maggioritario espresso dalla Corte regolatrice sino al 2012 (Cass. n. 12935 del 2003 e n. 17552 del 2006; Cass. n. 23339 del 2010, Cass. n. 24376 del 2011), prevedendo, per le domande di equa riparazione proposte successivamente alla sua entrata in vigore, che «non è riconosciuto alcun indennizzo: d) nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione connessa a condotte dilatorie della parte».
1.3.3. Questo Collegio intende confermare le argomentazioni rese nella pronuncia del 2014, e ribadite poi nelle pronunce n. 11841 del 2016, e n. 28784 del 2018 citate innanzi, anche alla luce delle modificazioni legislative intervenute con l’entrata in vigo re della legge n. 208/2015 che -novellando l’art. 2 legge n. 89/2001 ha introdotto le lettere a) e c) al comma 2sexies . Le due disposizioni, infatti, distinguono le due ipotesi rispettivamente di prescrizione del reato e di estinzione del processo civile (per rinuncia o inattività delle parti ai sensi degli articoli 306 e 307 del codice di rito), nonché dell’art. 84 del codice del processo amministrativo (di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104: rinuncia alla controversia amministrativa). In tutte le ipotesi ivi disciplinate emerge il ruolo riconosciuto alla parte nelle vicende dilatorie ovvero estintive: di tal ché la presunzione di insussistenza del pregiudizio trova applicazione ove le stesse siano imputabili al comportamento processuale della parte privata.
1.3.4. Nel caso di specie, la Corte d’appello non ha, dunque, valutato se l’esito del proscioglimento per intervenuta prescrizione sia stato determinato da un abuso del diritto di difesa da parte dell’imputato: infatti, la Corte distrettuale ha omesso di svolgere un adeguato apprezzamento in ordine alla configurabilità o meno di comportamenti dilatori da parte dell’imputato, al fine di favorire il maturarsi della prescrizione dei reati.
In accoglimento del ricorso, il Collegio cassa il decreto impugnato e rinvia il giudizio alla medesima Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione, anche per provvedere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda