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Equa riparazione: risarcimento per processo troppo lungo

Una società creditrice ha ottenuto un’equa riparazione per l’eccessiva durata di una procedura fallimentare. La Corte d’Appello ha riconosciuto che una durata di oltre 8 anni superava il limite ragionevole di 6 anni, liquidando un risarcimento di 800 euro per il ritardo di 2 anni. La Corte ha calcolato il danno sulla base di 400 euro per ogni anno di ritardo irragionevole, condannando il Ministero competente al pagamento.

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Equa Riparazione: Quando la Giustizia Lenta Diventa un Danno Risarcibile

Il principio di equa riparazione sancito dalla Legge Pinto (L. 89/2001) rappresenta un fondamentale strumento di tutela per cittadini e imprese che subiscono danni a causa dell’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari. Un recente decreto della Corte d’Appello di Venezia ha riaffermato questo diritto, condannando il Ministero competente a risarcire una società creditrice per i ritardi accumulati in una procedura fallimentare. Analizziamo i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Una società, creditrice di un’impresa dichiarata fallita, aveva presentato domanda di ammissione al passivo nel luglio 2016 per un importo di oltre 294.000 euro. Sebbene il credito fosse stato ammesso, la procedura fallimentare si è protratta per oltre otto anni, concludendosi solo verso la fine del 2024. Al termine della lunga attesa, il credito della società, essendo di natura chirografaria, non ha trovato alcuna soddisfazione. Ritenendo la durata del procedimento manifestamente irragionevole, la società ha presentato ricorso per ottenere un’equa riparazione ai sensi della Legge Pinto.

La Decisione della Corte d’Appello e l’Equa Riparazione

La Corte d’Appello di Venezia ha accolto il ricorso della società. I giudici hanno stabilito che la durata del procedimento presupposto doveva essere calcolata dalla data di deposito della domanda di ammissione al passivo fino alla data di deposito del decreto di chiusura del fallimento. Questo arco temporale superava gli otto anni.

Applicando i criteri di legge, la Corte ha identificato la durata ragionevole per una procedura di questo tipo in sei anni. Di conseguenza, il ritardo ingiustificato ammontava a due anni.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione sull’art. 2, comma 2 bis, della Legge 89/2001, che stabilisce i limiti di durata ragionevole dei processi. Per le procedure concorsuali, come il fallimento, il termine è fissato in sei anni. La durata effettiva del caso in esame, calcolata in oltre otto anni, ha determinato un superamento di due anni rispetto al limite legale.

Per quantificare il danno non patrimoniale, i giudici hanno applicato i criteri dell’art. 2 bis, comma 2, della stessa legge, liquidando una somma di 400 euro per ciascun anno (o frazione superiore a sei mesi) di ritardo. Il calcolo è stato quindi semplice: 400 euro/anno moltiplicato per i due anni di ritardo, per un totale di 800 euro di indennizzo. Oltre a tale somma, il Ministero è stato condannato al pagamento degli interessi legali e alla rifusione delle spese processuali in favore del legale della società ricorrente, dichiaratosi antistatario.

Conclusioni

Questa pronuncia conferma un principio cruciale: l’attesa per la conclusione di un procedimento giudiziario non può essere infinita. La Legge Pinto offre uno strumento concreto per i creditori (e per tutte le parti processuali) per ottenere un ristoro quando la macchina della giustizia si muove con eccessiva lentezza. La decisione evidenzia come il calcolo del ritardo sia un’operazione matematica basata su parametri definiti dalla legge e dalla giurisprudenza, offrendo certezza a chi intende far valere i propri diritti. Per le imprese, soprattutto, bloccate in lunghe procedure fallimentari senza recuperare i propri crediti, l’equa riparazione, sebbene non possa compensare la perdita subita, rappresenta un riconoscimento del danno patito a causa delle inefficienze del sistema.

Qual è la durata ragionevole di una procedura fallimentare ai fini dell’equa riparazione?
Secondo la legge applicata nel caso di specie (art. 2, comma 2 bis, L. 89/2001), la durata ragionevole di una procedura concorsuale come il fallimento è di 6 anni.

Come è stato quantificato il risarcimento per il ritardo?
La Corte ha liquidato una somma di € 400,00 per ciascun anno, o frazione di anno superiore ai sei mesi, che ha ecceduto la ragionevole durata del processo. Poiché il ritardo è stato di 2 anni, il risarcimento totale è stato di € 800,00.

Da quale momento si inizia a calcolare la durata del procedimento per un creditore che chiede l’equa riparazione?
La durata del procedimento, ai fini del calcolo dell’eventuale ritardo, si calcola a partire dalla data in cui il creditore ha depositato la domanda di ammissione allo stato passivo fino alla data di deposito del decreto di chiusura del fallimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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