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Equa riparazione: risarcimento per processo lungo

Una società, creditrice in una procedura fallimentare pendente da quasi trent’anni, ha richiesto un’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo. La Corte d’Appello di Firenze ha accolto la domanda, stabilendo che la durata ragionevole per una procedura concorsuale è di sei anni e che il ritardo eccedente, pari a 23 anni nel caso di specie, deve essere risarcito. La Corte ha liquidato un indennizzo di € 13.800,00, oltre interessi e spese legali, calcolando € 600,00 per ogni anno di ritardo ingiustificato.

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Equa Riparazione per Processi Troppo Lunghi: Il Caso di un Fallimento Durato Decenni

Il diritto a un processo di durata ragionevole è un pilastro fondamentale del nostro sistema giuridico. Quando la giustizia è troppo lenta, il danno per i cittadini e le imprese può essere enorme. La legge prevede uno strumento per mitigare questo pregiudizio: l’equa riparazione. Un recente decreto della Corte d’Appello di Firenze offre un chiaro esempio di come questo principio si applichi alle procedure fallimentari, riconoscendo un cospicuo risarcimento a una società creditrice bloccata in un fallimento per quasi trent’anni.

I Fatti del Caso

Una società si è trovata coinvolta in una procedura fallimentare instaurata nel lontano 1995. Il suo credito, pari a oltre 73.000 euro, era stato ammesso allo stato passivo nel luglio del 1996. Tuttavia, a distanza di quasi tre decenni, la procedura non era ancora conclusa. Stanca di attendere, la società ha deciso di agire, presentando un ricorso alla Corte d’Appello per ottenere un’equa riparazione a causa della violazione del termine di ragionevole durata del processo.

La Decisione della Corte d’Appello: Sì all’Equa Riparazione

La Corte d’Appello di Firenze ha accolto il ricorso della società. I giudici hanno riconosciuto che la durata della procedura fallimentare era stata manifestamente irragionevole e hanno condannato l’amministrazione competente a pagare un indennizzo di € 13.800,00, oltre agli interessi legali e al rimborso delle spese processuali. La decisione si basa su un’analisi precisa delle norme nazionali ed europee in materia.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha fondato il suo decreto su diversi punti cardine.

È Possibile Chiedere l’Indennizzo Anche se il Processo è Ancora in Corso

Un aspetto cruciale chiarito dalla Corte è che non è necessario attendere la fine del procedimento presupposto per chiedere l’indennizzo. Grazie a una sentenza della Corte Costituzionale (n. 88/2018), che ha dichiarato illegittima la norma che lo impediva, oggi è possibile agire per l’equa riparazione anche se la causa o la procedura fallimentare è ancora pendente. Questo permette di ottenere un ristoro senza dover attendere tempi indefiniti.

Calcolo della Durata Irragionevole del Processo

Per stabilire l’entità del ritardo, la Corte ha seguito un percorso logico ben definito:
1. Durata Ragionevole: La legge stabilisce che una procedura concorsuale si considera rispettosa del termine ragionevole se si conclude entro sei anni.
2. Dies a Quo (Data di Inizio): Per un creditore ammesso al passivo, il calcolo della durata non parte dall’inizio del fallimento, ma dal momento in cui il suo credito viene ammesso allo stato passivo. È da quella data, infatti, che il creditore inizia a subire gli effetti negativi della lentezza della procedura. Nel caso specifico, la data di riferimento era il 18 luglio 1996.
3. Calcolo dell’Eccedenza: Al momento della domanda di riparazione (9 aprile 2025), la procedura durava da 28 anni, 8 mesi e 28 giorni. Sottraendo i 6 anni di durata ragionevole, la Corte ha calcolato un’eccedenza di quasi 23 anni.

Liquidazione del Danno da Ritardo

Una volta accertato il ritardo, bisognava quantificare il danno. La legge prevede un indennizzo che va da un minimo di 400 a un massimo di 800 euro per ogni anno di ritardo. La Corte ha deciso di liquidare € 600,00 per ciascuno dei 23 anni di eccedenza, arrivando a un totale di € 13.800,00. Nella sua valutazione, ha tenuto conto sia della notevole entità del credito vantato dalla società, sia del fatto che una piccola parte di esso era stata soddisfatta tramite riparti parziali.

Le Conclusioni

Questo decreto della Corte d’Appello di Firenze rappresenta un’importante conferma per tutti i creditori intrappolati in procedure concorsuali interminabili. Ribadisce che la lentezza della giustizia non è un destino ineluttabile, ma una violazione di un diritto fondamentale che deve essere risarcita. La decisione chiarisce in modo inequivocabile i criteri per calcolare il ritardo e quantificare l’indennizzo, offrendo uno strumento concreto per tutelare i propri interessi. Per le imprese e i cittadini, ciò significa che non sono più costretti a subire passivamente i danni derivanti da tempistiche processuali inaccettabili, ma possono e devono far valere il proprio diritto a un’equa riparazione.

Quando inizia a decorrere il tempo per calcolare la durata irragionevole di una procedura fallimentare per un creditore?
Il calcolo del tempo inizia non dalla data di apertura del fallimento, ma dal momento in cui il credito viene ammesso allo stato passivo. È da questa data che il creditore acquisisce il diritto di partecipare alla procedura e, di conseguenza, subisce gli effetti negativi della sua lentezza.

È possibile chiedere un’equa riparazione se la procedura fallimentare non è ancora conclusa?
Sì, è possibile. A seguito della sentenza n. 88/2018 della Corte Costituzionale, la domanda di equa riparazione per irragionevole durata può essere proposta anche mentre il procedimento principale (in questo caso, il fallimento) è ancora pendente.

Come viene quantificato l’indennizzo per l’eccessiva durata di un processo?
L’indennizzo viene calcolato moltiplicando il numero di anni di ritardo eccedenti la durata ragionevole (fissata in sei anni per le procedure concorsuali) per una somma che, per legge, varia tra 400 e 800 euro. Nel caso specifico, la Corte ha stabilito un importo di 600 euro per ogni anno di ritardo, per un totale di 13.800 euro per 23 anni di eccedenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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