Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21327 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21327 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15076 – 2022 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in Lagonegro, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato ope legis ;
– controricorrente –
avverso il decreto n. cronol. 77/2022 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, pubblicato il 25/3/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; letta la memoria del ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso depositato in data 30 giugno 2020, NOME COGNOME qualificandosi procuratore speciale di NOME COGNOME, giusta procura del 12 gennaio 2006, chiese alla Corte d’appello di Potenza l’equo indennizzo per l’irragionevole durata del processo avente ad oggetto l’opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto, nei confronti della Comunità Montana del Lagonegro, dalla COGNOME RAGIONE_SOCIALE in forza di procura speciale e quale mandataria alla riscossione di crediti dello stesso NOME COGNOME; il giudizio presupposto, instaurato nel 2002, si era articolato in due gradi e in appello alla s.n.c. era subentrata, per trasformazione, la NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, pure in forza di procura speciale di COGNOME; si era quindi concluso con dichiarazione di estinzione per inattività delle parti il 30 novembre 2018.
Considerata la pronuncia di estinzione, in applicazione della presunzione di assenza di pregiudizio dell’art. 2 sexies lett. c) n.89/2001, con decreto n. 181/2020, il Consigliere delegato della Corte d’appello di Potenza respinse la domanda proposta.
Con decreto n.77/2022, la Corte d’appello di Potenza , in accoglimento dell’ opposizione di NOME COGNOME condannò il Ministero della giustizia al pagamento di Euro 2.000,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, calcolando la durata irragionevole in anni quattro per il giudizio d’appello e nove mesi per il giudizio di primo grado e individuando quale parametro di liquidazione Euro 400,00 per anno.
Per quel che qui ancora rileva, la Corte d’appello ha sottratto dalla durata del processo presupposto tutto il tempo intercorso tra i tre rinvii chiesti dalle parti, pari a quattro anni.
Avverso questo decreto n.77/2022 NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a quattro motivi, illustrati da memoria; il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
Il Pubblico Ministero ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME ha prospettato la nullità del decreto impugnato per violazione dell’art. 132, comma 2, n.4 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost. , sostenendo che la Corte d’appello non avrebbe espresso un’ adeguata motivazione in merito al l’applicazione del parametro minimo di E. 400,00 annui per l’indennizzo dovuto.
1.1. Il motivo è infondato. L’art. 2-bis, legge n. 89/2001, nello stabilire la misura ed i criteri di determinazione dell’indennizzo a titolo di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, rimette al prudente apprezzamento del giudice di merito la scelta del moltiplicatore annuo, compreso tra il minimo e il massimo ivi indicati (non inferiore a 400 euro e non superiore a 800 euro per ciascun anno), da applicare al ritardo nella definizione del processo presupposto, nonché l’applicazione delle eventuali maggio razioni per gli anni successivi al terzo o al settimo, orientando il quantum della liquidazione equitativa sulla base dei parametri di valutazione, tra quelli elencati nel comma 2 della stessa disposizione, che appaiano maggiormente significativi nel caso specifico. Tutta la disciplina trova applicazione nei giudizi introdotti dopo il 1° gennaio 2016 perché di diritto sostanziale, diretta a conformare il potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa ai sensi dell’art. 2056 cod. civ. e ben può essere
applicata anche a domande di equa riparazione che, seppure proposte dopo tale data, siano relative ad indennizzi di irragionevole durata preesistente, atteso che, ai fini della regolamentazione della misura dell’indennizzo disposta dalla nuova legge, tale norma deve essere presa in considerazione in sé stessa, restando escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore del danno (così Cass. Sez. 2, n. 3975 del 2024, non massimata).
Ciò precisato in diritto, deve rilevarsi che l a Corte d’appello ha considerato che il giudizio è stato abbandonato perché definito con una transazione prospettata sin dalle prime udienze, con istanze di rinvio presentate, per entrambe le parti, dall’unico difensore presentatosi all’udienza, in assenza del difensore dell’attuale ricorrente , proprio allo scopo di perfezionare l’accordo : la scelta del parametro minimo, pertanto, risulta adeguatamente motivata in merito e non può, perciò, essere ulteriormente sindacata in questa sede.
Con il secondo motivo, articolato in riferimento ai n. 4 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha denunciato la nullità del decreto per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 2059 cod. civ., sostenendo che la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente valutato tutti i danni non patrimoniali conseguiti alla durata irragionevole del giudizio presupposto , quali il danno all’immagine e il danno da ansia, dispiacere e sofferenza.
2.1. Il motivo è inammissibile per sua formulazione. In disparte ogni considerazione sulla insussistenza di una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., attesa l’unicità della domanda di indennizzo, tu tta la censura, invero, si risolve nel richiamo a principi generali in materia di equa riparazione, inconferenti rispetto alla decisione.
L ‘indennizzo ex l. 89/2001 è riconosciuto proprio in funzione riparatoria del danno non patrimoniale, quale conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo; questo danno si presume sino a prova contraria, sicché è stata esclusa pure la rilevanza della mancata specificazione, ad opera del ricorrente, degli elementi costitutivi del danno non patrimoniale occorso (Cass. Sez. 6 – 2, n. 7325 del 10/04/2015, Sez. 2, n. 10858 del 07/05/2018; Sez. 2, n. 26497 del 17/10/2019). La considerazione dei diversi elementi del danno non patrimoniale allegati avrebbe, perciò, potuto incidere al più sulla scelta del parametro e sulla quantificazione dell’indennizzo, ma nella specie la Corte d’appello ha ritenuto prevalente, come detto, l a immediata pendenza di trattative e la dichiarazione di estinzione per inattività a conclusione del processo.
Individuando la misura del parametro applicabile, pertanto, la Corte ha operato una liquidazione onnicomprensiva, superando, peraltro, comunque, la presunzione di non spettanza applicata dal primo giudice; ha però inteso quantificare l’indennizzo spettante dando rilievo all’an damento del processo e alla immediata pendenza di trattative che, se da un canto hanno causato l’allungarsi dei tempi di trattazione, d’altro canto, come riconosciuto dalla stessa narrazione dei fatti in ricorso, hanno attenuato le conseguenze pregiudizievoli dell’attesa , posto che le parti si rappresentavano costantemente la possibilità di una conclusione bonaria, per definizione soddisfacente per entrambe.
3. Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME ha prospettato la violazione dell’art. 2 bis l.n. 89/2001, dell’art. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost. , ancora lamentando che la Corte
d’appello avrebbe erroneamente detratto quattro anni dal computo della durata irragionevole del giudizio d’appello presupposto, imputandogli così l’intero periodo di ritardo dovuto invece, quanto al tempo del rinvio, a disfunzioni del sistema.
3.1. Il motivo è fondato. La Corte d’appello ha sottolineato che sin dalla prima udienza un unico difensore presente per tutte le parti ha chiesto rinvio per bonario componimento; lo stesso difensore ha poi continuato a chiedere rinvii senza alcuna opposizione da parte del difensore dell’attuale ricorrente che non ha mai preso parte alle successive udienze.
Ciononostante, deve ribadirsi che questa Corte ha già statuito che, seppure non può non valutarsi negativamente l’effetto che sulla sollecita trattazione abbia avuto una sequela di istanze di differimento (o di adesione a quelle altrui) non giustificate da esigenze di difesa, è anche vero che l’addebito automatico alla parte di tutti i tempi dei rinvii disposti è viziato dalla degradazione a mero spettatore del giudice istruttore del processo, in contrasto con la funzione di direzione del processo a lui demandata dall’art. 175 cod. proc. civ. e di regolazione della sequenza dei differimenti nel rispetto della prescrizione dell’art. 81 disp. att. cod. proc. civ. ; proprio l’art. 81 delle disposizioni di attuazione prevede che la ragione del tempo del rinvio risulti dalla motivazione del provvedimento o, comunque, dal verbale che lo preceda. Pertanto, è compito del giudice dell’equa riparazione, a fronte dei differimenti chiesti da una parte, nella non opposizione dell’altra , e accordati dal giudice istruttore, distinguere, sulla base della valutazione degli atti e, in particolare, proprio dei verbali e dei relativi provvedimenti, tra tempi dei rinvii addebitabili al comportamento processuale delle parti e tempi imputabili allo Stato (così, Cass. Sez. 6 – 2, n. 14750 del 14/07/2015; Sez. 2, n. 25606 del 2017).
Sottraendo l’intero periodo di tempo intercorso tra i tre rinvii senza effettuare questa valutazione relativa alla imputabilità alle parti della intera durata del rinvio , la Corte d’appello ha disatteso i suesposti principi, sicché sul punto il decreto deve essere cassato.
4 . Con il quarto motivo, articolato in riferimento al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1284, comma quarto , cod. civ., per avere la Corte riconosciuto gli interessi soltanto a far data dalla domanda giudiziale, senza specificare l’applicazione del tasso del IV comma dell’art. 1284 cod. civ.
4.1. Il motivo è infondato.
Per principio consolidato, l’obbligazione avente ad oggetto l’equa riparazione si configura non già come obbligazione ex delicto , ma come obbligazione ex lege , riconducibile, giusta l’art. 1173 cod.civ., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico; sicché dal suo carattere indennitario discende che gli interessi legali decorrono, sempreché richiesti, dalla data della domanda di equa riparazione e, quindi, in concreto, da quella di deposito del ricorso, in base al principio secondo cui gli effetti della pronuncia retroagiscono alla data della domanda, nonostante il carattere d’incertezza ed illiquidità del credito prima della pronuncia giudiziaria (Cass. Sez. 2, n. 22974 del 02/10/2017; Cass. Sez. 2, n. 10096 del 17/04/2023).
4.2. Quanto, poi, alla misura degli interessi riconosciuta, lo stesso ricorrente ha specificato, in ricorso, che «sia nel primo ricorso (pag.7) che nel ricorso in opposizione (pag.16)» aveva soltanto chiesto gli interessi legali, senza alcuna specifica domanda di applicazione del IV comma dell’art. 1284 cod. civ.
Sul punto, allora, le Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza n. 12449 del 07/05/2024, hanno stabilito che «ove il giudice disponga il pagamento degli ‘ interessi legali ‘ senza alcuna specificazione, deve intendersi che la misura degli interessi, decorrenti dopo la proposizione della domanda giudiziale, corrisponde al saggio previsto dall’art. 1284, comma 1, cod. civ. se manca nel titolo esecutivo giudiziale, anche sulla base di quanto risultante dalla sola motivazione, lo specifico accertamento della spettanza degli interessi, per il periodo successivo alla proposizione della domanda, secondo il saggio previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali».
In motivazione, le Sezioni unite hanno precisato che «la premessa da cui partire per la risoluzione della questione di diritto (risolta con il principio suesposto, n.d.r.), è che il quarto comma dell’art. 1284 non integra un mero effetto legale della fattispecie costitutiva degli interessi (cui la legge collega la relativa misura), ma rinvia ad una fattispecie, i cui elementi sono per una parte certamente rinvenibili in que lli cui la legge in generale collega l’effetto della spettanza degli interessi legali , ma per l’altra è integrata da ulteriori presupposti, suscettibili di autonoma valutazione rispetto al mero apprezzamento della spettanza degli interessi nella misura legale. Entro tali limiti, viene a stabilirsi una soluzione di continuità fra la fattisp ecie costitutiva dell’effetto della spettanza degli interessi legali in generale e quella degli interessi legali contemplati dal quarto comma dell’art. 1284. La relativa autonomia della fattispecie produttiva dei c.d. super-interessi (relativa perché contenente ulteriori elementi di specificazione), rispetto a quella produttiva degli ordinari effetti legali, fa sì che uno dei diversi profili oggetto di accertamento giurisdizionale, a seguito della introduzione della controversia con la deduzione in
giudizio di un determinato rapporto giuridico, sia anche quello della ricorrenza dei presupposti applicativi dell’art. 1284, comma 4. Con la domanda giudiziale insorge una controversia ed è parte di questa controversia anche la spettanza, dopo la domanda giudiziale, del saggio degli interessi legali previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. La controversia, sul punto, per il generale obbligo del giudice di provvedere sulla domanda, deve essere risolta con uno specifico accertamento giurisdizionale. La necessità della risoluzione di questa specifica controversia, nell’ambito del complessivo rapporto dedotto in giudizio, è la conseguenza, come si è appena detto, della relativa autonomia della fattispecie costitutiva della spettanza dei c.d. super-interessi rispetto a quella produttiva degli ordinari interessi legali, il cui saggio è previsto dal primo comma dell’art. 1284. Si tratta, in definitiva, di svolgere l’accertamento, propriamente giurisdizi onale, di corrispondenza della fattispecie concreta a quella astratta di spettanza degli interessi maggiorati.»
Questo accertamento, dunque, non può che conseguire alla specifica domanda che, nella specie, lo stesso ricorrente ha negato di aver proposto e non può essere recuperata in questa sede di legittimità.
Il ricorso è perciò accolto limitatamente al terzo motivo, rigettate le restanti censure.
In tali limiti il decreto impugnato deve essere cassato, con rinvio alla Corte d’appello di Potenza, in diversa composizione, perché nella sottrazione, dalla durata irragionevole indennizzabile, del tempo dei rinvii, operi la valutazione della imputabilità della intera loro misura alle parti, in applicazione del principio esposto al punto 3.1.
Decidendo in rinvio la Corte d’appello statuirà anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa il decreto impugnato nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Potenza, in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda