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Equa riparazione: quando una pretesa è irrisoria?

La Corte di Cassazione ha stabilito che per negare l’equa riparazione per irragionevole durata del processo, la pretesa non può essere definita irrisoria solo in base al suo valore economico. È necessaria una valutazione combinata che consideri anche le condizioni personali e patrimoniali del richiedente. Nel caso di specie, una richiesta di circa 6.200 euro da parte di una società non è stata ritenuta automaticamente irrisoria, rigettando il ricorso del Ministero della Giustizia. La presunzione di insussistenza del pregiudizio per pretese di valore esiguo è relativa e spetta all’amministrazione fornire la prova contraria.

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Equa Riparazione: un Credito di 6.000 € è Davvero Irrisorio?

L’ordinanza in esame affronta un tema cruciale nell’ambito della giustizia civile: il diritto a un’equa riparazione per l’irragionevole durata dei processi. La Corte di Cassazione chiarisce i criteri per determinare quando una pretesa economica possa essere considerata ‘irrisoria’, al punto da escludere il diritto all’indennizzo. La decisione sottolinea che non basta guardare al valore assoluto del credito, ma è necessaria una valutazione più complessa.

I Fatti di Causa

Una società per azioni si era rivolta alla Corte d’Appello per ottenere un’equa riparazione a causa della durata eccessiva, pari a ventisei anni, di una procedura fallimentare. In tale procedura, l’azienda si era insinuata al passivo per un credito di circa 6.212 euro.

Inizialmente, il Consigliere delegato aveva accolto la domanda, condannando il Ministero della Giustizia al pagamento di una somma pari al credito vantato. Il Ministero, tuttavia, ha proposto opposizione, sostenendo che la pretesa fosse di valore irrisorio e che, pertanto, non sussistesse il diritto all’indennizzo.

La Corte d’Appello ha respinto l’opposizione del Ministero, ritenendo che il valore della pretesa non fosse trascurabile e che l’amministrazione non avesse fornito prove contrarie sulla legittimità della richiesta. Contro questa decisione, il Ministero ha proposto ricorso per Cassazione.

La Valutazione della Cassazione sull’Equa Riparazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Ministero, ritenendolo infondato. I giudici hanno chiarito i principi che regolano la presunzione di insussistenza del pregiudizio in caso di ‘irrisorietà della pretesa’, come previsto dalla Legge Pinto (L. 89/2001).

Il Doppio Criterio di Valutazione

Il cuore della decisione risiede nella corretta interpretazione del concetto di ‘irrisorietà’. La legge prevede una presunzione (iuris tantum, cioè fino a prova contraria) che non vi sia danno quando la pretesa o il valore della causa è irrisorio. Tuttavia, la Cassazione specifica che questa valutazione non può basarsi unicamente sul dato numerico.

Per stabilire se una pretesa è irrisoria, il giudice deve considerare due elementi:

1. Elemento Oggettivo: il valore del bene o del credito oggetto della lite.
2. Elemento Soggettivo: le condizioni personali e patrimoniali della parte che chiede l’indennizzo.

Solo dalla combinazione di questi due fattori si può determinare se, nel caso specifico, la posta in gioco fosse così bassa da far apparire trascurabili i rischi e i disagi legati alla durata del processo.

L’Onere della Prova a Carico dell’Amministrazione

La Corte ha inoltre ribadito che, poiché si tratta di una presunzione relativa, spetta all’amministrazione (in questo caso, il Ministero della Giustizia) fornire la prova contraria. Il Ministero avrebbe dovuto dimostrare, ad esempio attraverso l’analisi della situazione patrimoniale della società, che un credito di oltre 6.000 euro fosse per essa del tutto trascurabile. Un semplice confronto tra l’importo del credito e il patrimonio societario non è sufficiente a escludere tout court il pregiudizio.

Le Motivazioni

La Corte d’Appello, secondo la Cassazione, ha applicato correttamente questi principi. Ha dato rilievo all’elemento obiettivo – un credito di 6.212,97 euro non è di per sé un valore ‘bagatellare’ – e ha constatato che il Ministero non aveva fornito alcun elemento decisivo per dimostrare l’insussistenza del pregiudizio in capo alla società. Non si può presumere che per una società di capitali, anche con un volume d’affari considerevole, un credito di tale entità sia automaticamente irrilevante.

La determinazione della consistenza della pretesa deve basarsi sulla reale portata dell’interesse della singola parte alla decisione. In assenza di prove sulla situazione socioeconomica specifica del richiedente, il giudice deve correttamente fare riferimento all’importo del credito azionato.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte Suprema di Cassazione ha affermato un principio fondamentale per l’equa riparazione: per negare l’indennizzo, non è sufficiente etichettare una pretesa come ‘irrisoria’ basandosi solo sul suo valore assoluto. Il giudice deve effettuare una valutazione ponderata, che tenga conto sia del valore oggettivo della causa sia delle condizioni soggettive del creditore. Il rigetto del ricorso conferma che un credito di alcune migliaia di euro non è automaticamente irrisorio e che l’onere di dimostrare il contrario grava sull’amministrazione statale.

Quando una pretesa è considerata ‘irrisoria’ ai fini dell’equa riparazione?
Una pretesa è irrisoria non solo in base al suo valore economico (criterio oggettivo), ma anche in relazione alle condizioni personali e patrimoniali del richiedente (criterio soggettivo). Entrambi gli elementi devono essere valutati congiuntamente.

A chi spetta dimostrare che una pretesa è irrisoria?
L’onere di provare l’irrisorietà della pretesa, e quindi l’insussistenza del danno da irragionevole durata del processo, spetta all’amministrazione che si oppone alla richiesta di indennizzo, come il Ministero della Giustizia. È una presunzione superabile con prova contraria.

Un credito di circa 6.200 euro è automaticamente considerato irrisorio per una società?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un credito di tale importo non può essere considerato automaticamente ‘bagatellare’ o irrisorio. Spetta all’amministrazione dimostrare che, in relazione alla specifica situazione patrimoniale della società, tale somma era di fatto trascurabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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