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Equa riparazione: quando spetta il risarcimento?

La Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto all’equa riparazione per l’eccessiva durata di un processo non viene meno se la parte ottiene una somma inferiore a quella richiesta. L’ordinanza chiarisce che il parziale accoglimento della domanda non equivale a una “lite temeraria” tale da escludere il risarcimento, soprattutto se il diritto sottostante (l'”an”) era fondato sin dall’inizio.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Equa Riparazione: Anche chi Vince Parzialmente ha Diritto al Risarcimento

L’attesa della giustizia può essere essa stessa un’ingiustizia. Per questo motivo, la legge prevede il diritto a un’equa riparazione quando un processo supera una durata ragionevole. Ma cosa succede se una parte, pur avendo ragione nel merito, ottiene una somma inferiore a quella richiesta? Perde il diritto a essere risarcita per il tempo perso? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale, proteggendo il diritto del cittadino all’indennizzo anche in caso di vittoria parziale.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da una causa di lavoro avviata da un cittadino nel lontano 2008 contro un ente previdenziale per ottenere l’indennità di disoccupazione agricola. Il Tribunale, in primo grado, respingeva la sua domanda solo nel 2015. L’interessato non si arrendeva e proponeva appello.

Durante il giudizio di secondo grado, l’ente previdenziale riconosceva il diritto del lavoratore e provvedeva al pagamento della prestazione. La causa proseguiva per la determinazione di somme ulteriori e si concludeva nel 2020 con una sentenza favorevole all’appellante. A fronte di un processo durato complessivamente dodici anni, il cittadino chiedeva l’equa riparazione per l’eccessiva durata del giudizio.

Sorprendentemente, la Corte d’Appello rigettava la richiesta di indennizzo. Secondo i giudici, il fatto che il cittadino avesse continuato la causa d’appello anche dopo aver ricevuto il pagamento dimostrava la temerarietà della sua pretesa, escludendo così il diritto al risarcimento per il lungo patema d’animo subito.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Equa Riparazione

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha completamente ribaltato la decisione dei giudici d’appello, accogliendo il ricorso del cittadino. Gli Ermellini hanno cassato il decreto impugnato e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, affinché proceda a una nuova valutazione basata sui principi di diritto enunciati.

Le Motivazioni: Lite Temeraria ed Equa Riparazione

Il cuore della decisione risiede nella corretta interpretazione dell’art. 2, comma 2-quinquies, della legge n. 89/2001 (la cosiddetta ‘Legge Pinto’). Questa norma nega l’indennizzo a chi agisce in giudizio con la consapevolezza dell’infondatezza, originaria o sopravvenuta, delle proprie domande.

La Corte di Cassazione ha chiarito che la Corte d’Appello ha commesso un errore fondamentale. Non si può considerare l’intera causa ‘temeraria’ solo perché la parte ha ottenuto un riconoscimento economico inferiore a quello inizialmente richiesto. È necessario distinguere tra la fondatezza del diritto in sé (l’an) e l’ammontare della pretesa (il quantum).

Nel caso specifico, la pretesa del cittadino era palesemente fondata nel suo nucleo essenziale, tanto che la sentenza di primo grado era stata riformata e l’ente previdenziale aveva pagato la prestazione. Il fatto che il giudizio sia proseguito per determinare l’esatto importo non rende retroattivamente infondata la domanda iniziale. Il patema d’animo e l’incertezza, che l’equa riparazione mira a compensare, sono stati subiti dal cittadino per tutta la durata del giudizio di primo grado, quando il suo diritto era stato ingiustamente negato.

In altre parole, il riconoscimento di una somma inferiore non equivale automaticamente a un’infondatezza della pretesa che giustifichi il diniego dell’indennizzo per la lentezza della giustizia. La valutazione sulla temerarietà della lite non può essere estesa all’intero giudizio quando solo una parte marginale della domanda si rivela infondata.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza della Suprema Corte rappresenta un’importante tutela per i cittadini. Essa afferma un principio di equità: il diritto a essere risarciti per i ritardi della giustizia non può essere annullato da una vittoria ‘non totale’. Le implicazioni pratiche sono significative:

1. Tutela del Diritto Sostanziale: Viene protetto il diritto del cittadino che ha subito un’ingiustizia, anche se l’entità del risarcimento finale è oggetto di discussione.
2. Limite alla Discrezionalità del Giudice: Si pongono dei paletti chiari all’applicazione della norma sulla ‘lite temeraria’ nell’ambito dei giudizi per equa riparazione, evitando interpretazioni eccessivamente penalizzanti per il ricorrente.
3. Certezza del Diritto: I cittadini possono avere maggiore fiducia nel chiedere l’equa riparazione, sapendo che un accoglimento parziale della loro domanda originaria non pregiudicherà il loro diritto a essere indennizzati per l’attesa.

Se ottengo in appello una somma inferiore a quella richiesta, perdo il diritto all’equa riparazione per la durata eccessiva del processo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il riconoscimento di una somma inferiore a quella domandata non equivale all’infondatezza della pretesa e non fa venir meno il diritto all’indennizzo per l’irragionevole durata del processo, specialmente se il diritto nella sua essenza (l’an) era fondato.

Cosa intende la legge per consapevole infondatezza della domanda che esclude il risarcimento?
La consapevole infondatezza si verifica quando una parte agisce o resiste in giudizio sapendo che le proprie pretese o difese sono prive di fondamento giuridico sin dall’inizio o lo sono diventate nel corso della causa. Non si configura automaticamente in caso di parziale accoglimento della domanda.

Il diritto all’equa riparazione vale anche se il mio ricorso iniziale viene rigettato in primo grado?
Sì, il diritto può sussistere. Nel caso di specie, il cittadino aveva perso in primo grado ma ha poi vinto in appello. La Cassazione ha ritenuto che egli avesse subito il ‘patema d’animo’ proprio a causa della lunga attesa e dell’ingiusta sentenza di primo grado, che negava un diritto poi rivelatosi fondato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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