Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12239 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12239 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16977/2023 R.G. proposto da : COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME domiciliato presso il suo recapito digitale con indirizzo pec; -ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore ; -intimato- per la cassazione del decreto della Corte di appello di Bari n. 1319/2022, depositato il 23 gennaio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con ricorso ex art. 3 l. 89/2001, depositato il 30 marzo 2022, NOME COGNOME chiedeva il risarcimento per equa riparazione, ritenendo che il giudizio che aveva affrontato avesse ecceduto la
durata ragionevole. Rappresentava che in data 18 dicembre 2008 depositava ricorso ex art. 442 cod. proc. civ. nella Cancelleria del Tribunale di Foggia, sezione lavoro, nei confronti dell’INPS, chiedendo che quest’ultima venisse condannata a corrispondergli la indennità di disoccupazione agricola per l’anno 2006 con ANF per le giornate di lavoro espletate, e che tale giudizio si concludeva con sentenza di rigetto n. 1825/2015, avverso la quale NOME COGNOME proponeva appello dinanzi alla Corte di Appello di Bari (R.G. 185/2016) che veniva accolto con sentenza n. 1257/2020 pubblicata il 2 ottobre 2020.
Con decreto n. 1664/2022 del 23 giugno 2022, la Corte di Appello di Bari in composizione monocratica ha rigettato il ricorso.
-Avverso detto provvedimento ha proposto opposizione il ricorrente.
La Corte di Appello di Bari ha rigettato l’opposizione.
-Avverso tale decreto il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art . 2, comma 2quinquies l. n. 89 dei 2001, in relazione all’art, 360 n. 3 cod. proc. civ. Secondo quanto prospettato, la l. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2quinquies , come modificato dalla l. n. 208 del 2015, il patem a d’animo derivante dalla situazione di incertezza per l’esito della causa è da escludersi ogni qualvolta la parte rimasta soccombente abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza sin dal moment o dell’instaurazione del giudizio, ed anche per il periodo conseguente alla consapevolezza dell’infondatezza delle proprie pretese che sia sopravvenuta dopo
che la durata del processo abbia superato il termine di durata ragionevole. Tali circostanze non si sarebbero verificate nel caso del giudizio presupposto instaurato dal sig. COGNOME il quale ha subito il patem a d’animo per tutta la durata del giudizio di primo grado presso il Tribunale di Foggia, ha dovuto impugnare una sentenza che rigettava il suo diritto, e solo nella pendenza del giudizio d’appello si è visto riconoscere dall’lnps la prestazione fino ad allora negata. L’aver coltivato il giudizio d’ appello al fine di ottenere una somma maggiore di quella corrisposta dalia controparte, non fa venir meno tale patema d’animo affrontato durante tutta la durata del primo giudizio, nel quale egli aveva avanzato una domanda che si è poi rivelata del tutto fondata.
La Corte d appello di Bari avrebbe fatto applicazione della l. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2quinquies , lett. a, in una fattispecie in cui il giudice di appello, dopo un giudizio di primo grado eccedente la durata ragionevole, ha emanato una pronuncia con cui sostanzialmente ha accolto parzialmente la domanda del ricorrente, senza spiegare, se non in via meramente assertiva, perchè tale pronuncia sull’impugnazione evidenzierebbe che il ricorrente fosse consapevole vera manifesta infondatezza ab origine della domanda e, pertanto, insuscettibile, in quanto tale, di generare una possibile incertezza sull’esito della causa e perciò di arrecare pregiudizio per la protrazione del processo oltre il limite della ragionevole durata.
La valutazione sintetica e complessiva della durata ragionevole dell’intero giudizio, ai sensi della l. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2ter , non implicherebbe una sopravvenuta consapevolezza dell’impossibilità dell’accoglimento della domanda proposta, né renderebbe ex se irrilevante il periodo di durata del processo antecedente all’acquisizione della stessa.
Al riguardo si puntualizza che la domanda del ricorrente, diretta a ottenere il riconoscimento del suo diritto alla indennità di disoccupazione per l’anno 2006, rigettata in primo grado e riproposta
in appello, si è rivelata pienamente fondata nell’ an nel corso del giudizio d appello. La temerarietà e l’infondatezza cui si riferisce il Giudice dell’equo indennizzo, infatti, concerne soltanto la prosecuzione del giudizio d’appello al fine di determinare il quantum della prestazione. Considerando che con il ricorso ex L. n. 89/2001 il sig. COGNOME ha chiesto la liquidazione dell’equo indennizzo soltanto per l’eccessiva durata del giudizio di primo grado, e non anche del giudizio d’appello, la corte terri toriale avrebbe errato nel rigettare la domanda di equo indennizzo per la infondatezza di quella parte del giudizio d’appello successivo al pagamento da parte dell’istituto resistente.
Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art 324 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 cod. proc. civ. comma 1 n.3 . La Corte d’appello, con la sentenza che definisce il giudizio presupposto, non ha rigettato la domanda del ricorrente avente ad oggetto il diritto alla percezione e la indennità di disoccupazione agricola per l’anno 2006 per infondatezza o temerarietà della domanda, dando atto dell’a vvenuto pagamento della prestazione e rigettando la richiesta del ricorrente di maggior somme al medesimo titolo. Né il Ministero convenuto, costituendosi, ha dedotto in merito alla temerarietà o infondatezza della domanda, limitandosi a contrastare l’opposizione. Sulla fondatezza o meno della domanda, pertanto, si sarebbe formato il giudicato, e la corte territoriale non avrebbe potuto motivare il rigetto della domanda di equo indennizzo accusando il ricorrente di lite temeraria.
1.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono fondati.
L’art. 2 , comma 2-quinquies, della legge 89 del 2001 prevede che non è riconosciuto alcun indennizzo: a) in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dai casi di cui all’art. 96 del codice di procedura civile.
Nel caso di specie la Corte d’appello ha ritenuto parzialmente fondata la pretesa avanzata in primo grado per cui non può ritenersi che il ricorrente abbia agito in giudizio consapevole dell’infondatezza originaria delle proprie domande. Il riconoscimento di una somma in concreto inferiore a quella domandata non equivale alla infondatezza della pretesa, diverso essendo il discorso successivamente alla liquidazione in via amministrativa nel 2017, durante il giudizio del gravame, degli emolumenti spettanti al ricorrente nel giudizio d’appello, peraltro non oggetto di una pretesa di equo indennizzo.
2. -Il decreto va dunque cassato con rinvio alla Corte d’appello di Bari anche per la liquidazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione