Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14602 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14602 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale rilasciata su separato foglio materialmente allegato al ricorso, dall’AVV_NOTAIO e domiciliato presso il suo recapito digitale con indirizzo pec: EMAIL; -ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ‘ex lege’ dall’RAGIONE_SOCIALE e presso i suoi Uffici domiciliato, in Roma, INDIRIZZO;
– controricorrente e ricorrente incidentale – avverso il decreto n. cronol. 239/2022, relativo al NUMERO_DOCUMENTO, depositato il 26 maggio 2022, della Corte di appello di Potenza, in composizione collegiale;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 10 maggio 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
letta la memoria del ricorrente.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con decreto n. 419/2021, il Consigliere delegato della Corte di appello di Potenza, decidendo sulla domanda per equa riparazione formulata da
R.G.N. 957/2023
C.C. 10/05/2024
EQUA RIPARAZIONE
COGNOME NOME relativa all’irragionevole durata di una procedura fallimentare (iniziata nel giugno 1978 e chiusa nel febbraio 2020), liquidava, in favore del ricorrente, l’importo, per ciascun anno di ritardo, di euro 400,00, che, tuttavia, riduceva, ai sensi dell’art. 2 -bis, comma 1, l. n. 89/2001, del 40% in ragione della molteplicità dei creditori ammessi al passivo (oltre 50, considerati anche quelli insinuatisi tardivamente), a euro 240,00 per ogni anno, così riconoscendo una somma totale di euro 7.200,00 (per un periodo di durata irragionevole del giudizio presupposto di trenta anni).
Pronunciando sull’opposizione avanzata dall’COGNOME ai sensi dell’art. 5 -ter della citata l. n. 89/2001, la Corte di appello di Potenza, in composizione collegiale, l’accoglieva per quanto di ragione e liquidava, in favore dell’COGNOME, la maggiore somma, a titolo di equo indennizzo, di euro 8.400,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, con la condanna del RAGIONE_SOCIALE opposto anche alla rifusione delle spese di lite nella misura di 2/3, compensando il residuo terzo.
Avverso tale decreto ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, COGNOME NOME.
Ha resistito con controricorso, contenente anche un motivo di ricorso incidentale, il RAGIONE_SOCIALE della Giustizia.
La difesa del ricorrente ha anche depositato memoria.
MOTIVI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
Con il suo primo motivo, il ricorrente principale COGNOME NOME ha denunciato – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per assenza o apparenza nonché illogicità e contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato.
Deduce il ricorrente che la Corte di appello gli ha riconosciuto l’importo minimo di euro 400,00 in relazione alla ‘natura’ del giudizio presupposto e alla posizione dallo stesso assunta, salvo poi a dichiarare che non poteva considerarsi motivazione pertinente e logica il richiamo alla mancanza di iniziative da parte del fallito nei confronti degli organi della procedura fallimentare per accelerarne la definizione, così adottando una
motivazione incomprensibile con riferimento alla suddetta ‘natura’ del giudizio per giungere alla liquidazione del minimo.
Con il suo secondo motivo, l’COGNOME ha lamentato – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione o errata applicazione dell’art. 2 -bis, comma 1 -bis, della legge n. 89/2001, deducendo l’illegittimità della operata decurtazione del 40% dell’importo in considerazione della circostanza che le parti del giudizio presupposto erano più di 50 (trattandosi di una procedura fallimentare caratterizzata da un numero cospicuo di domande di insinuazione al passivo), non applicabile alle procedure fallimentari.
Con il formulato motivo di ricorso incidentale, il controricorrente RAGIONE_SOCIALE della Giustizia ha prospettato – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 l. n. 89/2001, nonché dell’art. 75 c.p.c., sul presupposto che l’COGNOME, nella procedura fallimentare presupposta, aveva ricoperto la posizione di soggetto fallito e, quindi, non avrebbe potuto considerarsi parte di detta procedura se non in senso improprio e, quindi, non poteva essere considerato legittimato ad invocare l’equo indennizzo per la durata irragionevole della procedura stessa.
Osserva il collegio che, s ul piano della preliminarità logico-giuridica, deve essere esaminato prioritariamente il motivo di ricorso incidentale. Esso è infondato.
Occorre, in premessa, evidenziare che la questione con esso posta (sul supposto difetto di legittimazione attiva dell’COGNOME, quale soggetto dichiarato fallito, a proporre domanda di equa riparazione) non era stata fatta valere nelle fasi di merito, tanto è vero che il RAGIONE_SOCIALE della Giustizia non si era nemmeno costituito nella fase di opposizione al decreto di liquidazione dell’equo indennizzo.
Attenendo, però, al profilo della legittimazione ad agire la questione può comunque essere esaminata, in quanto rilevabile anche d’ufficio (Cass. SU n. 2951/2016).
Tuttavia, diversamente da quanto deduce il RAGIONE_SOCIALE della Giustizia, la precedente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 17261/2002, Cass. n. 12807/2003 e Cass. n. 13605/2013) -dalla quale non si ha motivo di discostarsi -ha statuito che l a disciplina dell’equa riparazione
per violazione del termine ragionevole del processo, di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89, trova applicazione anche nel caso in cui il ritardo lamentato si riferisca alla procedura concorsuale che consegue alla dichiarazione di fallimento, ed anche in favore del fallito, il quale, in quanto parte del processo fallimentare, è titolare del diritto alla ragionevole durata di esso.
Passando all’esame del primo motivo del ricorso principale si ritiene che lo stesso sia altrettanto infondato.
Infatti, contrariamente a quanto assunto dall’COGNOME, la motivazione sulla determinazione della misura annuale dell’equo indennizzo è comunque esistente in relazione alla natura della procedura e in considerazione della circostanza che lo stesso ricorrente si identificava anche con il soggetto sottoposto alla procedura fallimentare, senza che si ravvisi una contraddittorietà irrisolvibile nello svolgimento logico della motivazione stessa.
E’, invece, manifestamente fondato il secondo motivo RAGIONE_SOCIALE stesso ricorso principale.
Infatti, alla stregua della pacifica giurisprudenza di questa Corte, non è legittima l’applicazione della decurtazione del 40% ai sensi dell’art. 2 -bis, comma 1 -bis, della l. n. 89/2001 con riferimento alla domanda di equa riparazione riferita alla durata irragionevole di una procedura fallimentare. Invero, il numero delle parti del giudizio presupposto superiore a cinquanta avrebbe potuto incidere solo sulla determinazione della misura annuale dell’equo indennizzo riconoscibile nella forbice (tra euro 400,00 ed euro 800,00) prevista per legge, ma nella specie essa era già stata calcolata nel minimo di 400 euro (perciò non ulteriormente riducibile).
E’ stato, infatti, affermato (cfr. Cass. n. 25181/2021 e Cass. n. 734/2023) – e a tale principio dovrà uniformarsi il giudice di rinvio -che, in tema di equa riparazione, la lettura comparata del comma 1-bis dell’art. 2-bis e del comma-2 bis dell’art. 2 della l. n. 89/2001 impone di attribuire alle parole “processo” e “procedura concorsuale” un differente significato, tale da escludere che la prima disposizione – secondo cui «la somma può essere diminuita fino al 20 per cento quando le parti del processo presupposto sono più di dieci e fino al 40 per cento quando le parti del
processo sono più di cinquanta» – in quanto espressamente riferita al “processo”, possa essere estesa alla “procedura concorsuale”, come anche confermato dall’interpretazione sistematica di tali norme, giacché la presenza di più di dieci o addirittura cinquanta parti, mentre nel processo di cognizione costituisce evenienza infrequente, se non rara, nelle procedure concorsuali, invece, la compresenza di una pluralità di creditori, costituisce l’ipotesi fisiologica e ordinaria, con la conseguenza che l’applicazione ad esse di tale disposizione produrrebbe un effetto distorsivo di implicita e casuale (e perciò irragionevole) penalizzazione del cittadino ricoprente la posizione di parte di una procedura concorsuale rispetto a quello che partecipi ad un ordinario processo di cognizione.
In definitiva, alla stregua delle argomentazioni svolte, deve essere accolto il secondo motivo del ricorso principale, mentre vanno respinti il primo motivo RAGIONE_SOCIALE stesso ricorso e il ricorso incidentale.
Consegue la cassazione del decreto impugnato in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione collegiale, la quale, oltre ad uniformarsi all’enunciato principio di diritto, provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale e respinge il primo motivo RAGIONE_SOCIALE stesso ricorso nonché il motivo di ricorso incidentale proposto dal controricorrente RAGIONE_SOCIALE della Giustizia.
Cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione collegiale.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della