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Equa riparazione: onere della prova e rigetto ricorso

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15053/2024, ha rigettato il ricorso di due cittadini che chiedevano un’equa riparazione per l’eccessiva durata di un processo. La Corte ha stabilito che la valutazione sull’inerzia dei ricorrenti, causa del ritardo, rientra nell’oggetto originario della domanda. Pertanto, spetta a chi chiede il risarcimento dimostrare di aver agito con diligenza, e il giudice non è tenuto a sollecitare un contraddittorio specifico su questo punto, in quanto non si tratta di una questione sollevata d’ufficio. La mancanza di prova dell’impulso processuale ha quindi legittimato il rigetto della domanda.

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Pubblicato il 20 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Equa riparazione: chi chiede l’indennizzo deve provare la propria diligenza

L’equa riparazione per l’eccessiva durata dei processi, nota come Legge Pinto, rappresenta una tutela fondamentale per i cittadini. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 15053/2024) ribadisce un principio cruciale: chi lamenta un ritardo deve anche dimostrare di non aver contribuito a causarlo con la propria inerzia. Vediamo nel dettaglio questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Due cittadini avevano proposto un ricorso per ottenere un’equa riparazione a causa della durata, a loro dire irragionevole, di un precedente giudizio amministrativo. La Corte di Appello competente, pur con una motivazione diversa rispetto al primo giudice, aveva rigettato la loro domanda. Secondo la Corte territoriale, il ritardo nella definizione del processo non era imputabile al sistema giustizia, ma all’inerzia degli stessi ricorrenti, i quali non avevano dato impulso al procedimento, ad esempio tramite il deposito di istanze per la fissazione dell’udienza. Contro questa decisione, i cittadini hanno proposto ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

I ricorrenti hanno basato la loro impugnazione su tre motivi principali:
1. Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato: sostenevano che la Corte d’Appello avesse deciso sulla base di una questione (la loro inerzia) non sollevata dalla controparte (il Ministero), ma rilevata d’ufficio.
2. Violazione del diritto al contraddittorio: lamentavano che, avendo il giudice rilevato d’ufficio la questione della mancata prova del deposito delle istanze, avrebbe dovuto invitarli a discutere su tale punto prima di decidere.
3. Omesso esame di un fatto decisivo: affermavano che l’assenza delle istanze di fissazione udienza, che peraltro sostenevano di aver depositato, non avrebbe dovuto portare all’inammissibilità o al rigetto del ricorso.

La Decisione della Corte: l’onere della prova nell’equa riparazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, giudicando infondati i primi due motivi e inammissibile il terzo. Gli Ermellini hanno chiarito un punto fondamentale del procedimento per equa riparazione: la valutazione sulla diligenza della parte che chiede l’indennizzo non è una questione nuova o sollevata a sorpresa dal giudice. Al contrario, rientra pienamente nell’oggetto del giudizio stesso.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su un ragionamento lineare. Per stabilire se la durata di un processo sia stata ‘ragionevole’, è indispensabile verificare non solo il tempo trascorso, ma anche le cause di eventuali ritardi. L’analisi dell’imputabilità del ritardo è, quindi, un elemento costitutivo della domanda di equa riparazione.

Di conseguenza, la verifica da parte del giudice circa l’avvenuto deposito di atti di impulso processuale (come le istanze di fissazione udienza) non è un’eccezione rilevata d’ufficio che richiede un contraddittorio specifico ai sensi dell’art. 101 c.p.c. È, invece, parte integrante dell’onere della prova che grava sul ricorrente. Spetta a chi chiede l’indennizzo dimostrare non solo la durata eccessiva, ma anche che tale durata non sia attribuibile, in tutto o in parte, a una propria condotta omissiva.

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile il terzo motivo perché formulato in modo confuso e generico, senza indicare chiaramente le norme violate né il fatto decisivo che sarebbe stato omesso. I ricorrenti, secondo la Cassazione, non hanno colto la ratio decidendi della sentenza d’appello, la quale si basava proprio sul fatto che il ritardo non fosse imputabile al ‘sistema giustizia’, bensì ai ricorrenti stessi.

Le Conclusioni

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: nel contesto delle domande di equa riparazione, il cittadino non può limitarsi a lamentare la lentezza della giustizia. Deve assumere un ruolo attivo e dimostrare, con prove concrete, di aver fatto tutto il possibile per accelerare il corso del processo. La mancata prova di una condotta diligente e propulsiva può essere interpretata come inerzia colpevole, con la conseguenza di veder rigettata la propria richiesta di indennizzo. Un monito importante per chiunque intenda avvalersi della Legge Pinto.

Chi deve provare che il ritardo di un processo non è colpa sua in una causa per equa riparazione?
Spetta alla parte che chiede l’indennizzo (il ricorrente) dimostrare di non aver contribuito al ritardo con la propria inerzia. L’onere della prova circa la propria diligenza processuale grava su di essa.

Se un giudice si accorge che mancano le prove della diligenza del ricorrente, deve avvisarlo prima di decidere?
No. Secondo la sentenza, la valutazione sulla sussistenza della prova dell’attività di impulso processuale (es. deposito di istanze) rientra nell’oggetto principale della domanda di equa riparazione e non è una questione nuova sollevata d’ufficio. Pertanto, il giudice non è tenuto a stimolare un contraddittorio specifico su questo punto.

La mancata presentazione di istanze per fissare le udienze può causare il rigetto della domanda di equa riparazione?
Sì. La Corte può considerare tale omissione come un’inerzia addebitabile alla parte, concludendo che il ritardo nella definizione del giudizio sia stato causato dalla sua stessa condotta. Questo porta al rigetto della domanda di indennizzo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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