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Equa riparazione: non basta la ricchezza per negarla

Una società facoltosa ha richiesto un’equa riparazione per un processo durato 18 anni. La Corte d’Appello aveva negato l’indennizzo, giudicando la pretesa di circa 29.000 euro irrisoria rispetto al patrimonio della società. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che la valutazione dell’irrisorietà deve considerare sia il valore oggettivo della pretesa (non trascurabile in questo caso) sia la condizione soggettiva, senza che quest’ultima possa da sola escludere il diritto al risarcimento.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Equa Riparazione: la Ricchezza di una Società non Esclude il Diritto all’Indennizzo

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 3970/2024 offre un’importante chiarificazione sul diritto all’equa riparazione per l’eccessiva durata dei processi. Il principio cardine che emerge è che la solidità economica di una società non può, da sola, giustificare il diniego dell’indennizzo quando la posta in gioco non è oggettivamente trascurabile. Questa pronuncia riequilibra i criteri di valutazione, sottolineando come il diritto a una giustizia celere sia un valore fondamentale per tutti, persone fisiche e giuridiche, indipendentemente dal loro patrimonio.

I Fatti di Causa

Una nota società per azioni, leader nel suo settore, aveva richiesto un’equa riparazione ai sensi della Legge n. 89/2001 (nota come ‘Legge Pinto’). La richiesta scaturiva dalla durata irragionevole, ben diciotto anni, di una procedura fallimentare in cui la società si era insinuata al passivo per un credito di circa 29.309,91 euro. Inizialmente, il magistrato designato aveva riconosciuto un indennizzo di 9.000,00 euro.

La Decisione della Corte d’Appello

Il Ministero della Giustizia si era opposto a tale decisione. La Corte d’Appello di Napoli, accogliendo l’opposizione, aveva revocato l’indennizzo. La motivazione si basava sull’applicazione di una presunzione di insussistenza del pregiudizio, prevista dall’art. 2, comma 2-sexies, lett. g) della Legge Pinto. Secondo i giudici d’appello, la pretesa della società era ‘irrisoria’ se confrontata con la sua imponente situazione economico-finanziaria, caratterizzata da un capitale sociale di oltre 35 milioni di euro, un fatturato superiore a 660 milioni e un patrimonio netto di oltre 217 milioni. In pratica, la Corte d’Appello ha ritenuto che un credito di circa 29.000 euro fosse una somma ‘bagatellare’ per un’azienda di tali dimensioni, tale da non generare un reale pregiudizio.

L’Analisi della Cassazione e i Criteri per l’Equa Riparazione

La società ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un’interpretazione non conforme alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato.

Il fulcro della decisione risiede nella corretta interpretazione del concetto di ‘irrisorietà della pretesa’. La Cassazione ha chiarito che questa valutazione non può basarsi esclusivamente sulle ‘condizioni personali della parte’ (criterio soggettivo), ma deve necessariamente tenere conto anche del valore oggettivo della causa.

La Corte d’Appello ha errato nel concentrarsi unicamente sulla sproporzione tra il credito vantato e l’enorme patrimonio della società, trascurando di considerare che un importo di quasi 30.000 euro non è, in termini assoluti, una somma ‘bagatellare’ o priva di una reale ‘posta in gioco’.

Il Doppio Binario Valutativo

La Suprema Corte ha ribadito che la norma richiede un’analisi su due fronti:
1. Criterio Oggettivo: il valore intrinseco della lite. Un credito di € 29.309,91 non è manifestamente privo di una reale posta in gioco.
2. Criterio Soggettivo: la situazione socio-economica della parte. Questo elemento serve a contestualizzare l’impatto del ritardo, ma non può diventare l’unico parametro di giudizio.

Ignorare il primo criterio e assolutizzare il secondo porta a un’applicazione distorta della legge, che finirebbe per negare un diritto fondamentale a soggetti economicamente solidi, in contrasto con i principi nazionali ed europei.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione affermando che la Corte d’Appello ha errato nel ritenere sussistente la presunzione di insussistenza del pregiudizio. Il giudice di merito si è limitato a un confronto tra la pretesa e la situazione finanziaria della società, senza attribuire il giusto peso all’elemento oggettivo, ovvero il valore non trascurabile del credito oggetto della causa presupposta. La valutazione dell’irrisorietà deve essere bilanciata e non può risolversi in un’automatica esclusione dall’indennizzo basata unicamente sulla ‘ricchezza’ del richiedente. Le esigenze di patrimonializzazione di una società non possono costituire una ragione automatica per negarle la titolarità del diritto all’indennizzo per irragionevole durata del processo.

Conclusioni

Con l’ordinanza n. 3970/2024, la Corte di Cassazione riafferma un principio di equità fondamentale: il diritto a un processo di ragionevole durata e al conseguente indennizzo in caso di violazione è universale. Non può essere declassato a un diritto riservato solo a chi si trova in condizioni economiche modeste. La decisione stabilisce che, sebbene la condizione patrimoniale della parte sia un fattore rilevante, essa deve essere ponderata insieme al valore oggettivo della controversia. Un credito di quasi 30.000 euro non è insignificante e, pertanto, il ritardo nel suo recupero può causare un pregiudizio meritevole di ristoro, anche per una grande impresa. La Corte ha quindi cassato il decreto impugnato e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Napoli per un nuovo esame che tenga conto di questi principi.

Può la grande ricchezza di una società escludere automaticamente il suo diritto all’equa riparazione per la durata irragionevole di un processo?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la condizione patrimoniale è solo uno dei due elementi da valutare, insieme al valore oggettivo della pretesa. La ricchezza da sola non può annullare il diritto all’indennizzo se la posta in gioco non è oggettivamente trascurabile.

Come va valutata l’ ‘irrisorietà della pretesa’ per negare l’indennizzo?
Deve essere valutata secondo un duplice criterio: uno oggettivo, legato al valore assoluto della somma in gioco, e uno soggettivo, relativo alle condizioni personali e patrimoniali della parte. La decisione deve scaturire da un bilanciamento di entrambi gli elementi.

Un credito di circa 29.000 euro può essere considerato ‘irrisorio’ o ‘bagatellare’?
No. La Corte ha chiarito che un credito di € 29.309,91 ha un valore non bagatellare e costituisce una reale ‘posta in gioco’, a prescindere dalla florida situazione finanziaria del creditore. Pertanto, non può essere definito oggettivamente irrisorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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