Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4815 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2   Num. 4815  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/02/2024
Oggetto: equa riparazione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28783/2022 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con  domicilio  in  Roma,  alla  INDIRIZZO,  presso  l’AVV_NOTAIO.
-RICORRENTE –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  Ministro  p.t..  con domicilio in Roma, INDIRIZZO.
-CONTRORICORRENTE – avverso il  decreto  della  Corte  d’appello  di  Napoli    n.  1989/2022, pubblicato in data 5.5.2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 8.2.20224 dal Consigliere NOME COGNOME.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
Con ricorso del 3.12.2021, NOME COGNOME ha chiesto ingiungersi al Ministero della giustizia il pagamento dell’indennizzo per l’irragionevole  durata  di  un  giudizio  civile  svoltosi  dinanzi  al Giudice di Pace di Napoli Nord, avente ad oggetto l’annullamento di una sanzione amministrativa ex art. 204 bis C.d.S., oltre interessi legali e spese della procedura monitoria.
Il giudizio presupposto era stato introdotto con ricorso depositato il 16.11.2016  ed  era  stato  definito  con  sentenza  n.  741/2021  del 25.1.2021, con una durata complessiva, dunque, di anni 4 e mesi due.
Il  Consigliere  istruttore  ha  respinto  la  domanda  a  causa  del mancato  deposito  di  copia  autentica  degli  atti  relativi  al  giudizio presupposto (ricorso, decreto di fissazione dell’udienza e sentenza), e  della  certificazione  attestante  il  passaggio  in  giudicato  della pronuncia del Giudice di pace, conclusiva del giudizio presupposto.
Il  decreto è stato confermato all’esito dell’opposizione sull’assunto che il mancato deposito delle copie autentiche rendeva indimostrati i  fatti  dedotti  a  fondamento  della  domanda  e  che,  in  ogni  caso, tenuto  conto  delle  condizioni  soggettive  della  parte  e  del  valore della domanda, doveva ritenersi insussistente un pregiudizio indennizzabile.
Per  la  cassazione  del  decreto  propone  ricorso  NOME  COGNOME affidato a tre motivi.
Il Ministero della giustizia ha notificato controricorso.
Il primo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 16 decies
D.L. 179/2012, come convertito con L. 221/2012, per aver la Corte di merito ritenuto necessario, per l’accoglimento della domanda, il deposito delle copie autenticate degli atti del giudizio presupposto.
Il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 3 e 5 ter della L. 89/2001,  24,  111  e  117  Cost.,  6  e  13  CEDU,  censurando  la pronuncia per aver respinto la domanda di equo indennizzo senza verificare  se  dagli  atti  prodotti  emergesse  la  prova  della  durata irragionevole del processo.
Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 2, comma 2 sexies, lettera  g)  L.  89/2001  e  l’omesso  esame  di  un  fatto  decisivo, sostenendo che la  domanda  non poteva esser respinta per
l’esiguità  della  posta  in  gioco,  avendo  il  ricorrente  riportato  un danno non patrimoniale a causa del protrarsi del giudizio e per il pericolo di subire un fermo amministrativo e il pignoramento dello stipendio, con il conseguente discredito professionale e personale, circostanze  che  la  Corte  di  merito  avrebbe  omesso  di  valutare, benché ritualmente dedotte.
Va preliminarmente esaminato il terzo motivo, la cui infondatezza rende superfluo l’esame delle altre censure ,  ostando di  per  sé  all’accoglimento  della  domanda  l’insussistenza  di  un pregiudizio  indennizzabile  causato  dalla  durata  irragionevole  del processo.
Occorre anzitutto evidenziare che la Corte di appello ha escluso la sussistenza  del  danno  anche  in  considerazione  del  contenuto superamento del termine massimo di durata del giudizio presupposto,  reputando  che  la  violazione  fosse,  anche  sotto  tale profilo,  minima  (cfr.  decreto,  pag.  4)  e  ciò  con  statuizione  non impugnata, il che già rende il ricorso insuscettibile di accoglimento.
Incensurabile è, comunque,  la  valutazione di irrisorietà della pretesa che il giudice ha correttamente effettuato sia sotto il profilo soggettivo,  considerata  la  condizione  lavorativa  e  di  reddito  della parte (dirigente medico  in servizio), che riguardo all’esiguità dell’importo  della  sanzione  contestata,  potendo  anche  solo  tale criterio, agganciato all’importo in discussione, giustificare l’operatività (o inoperatività) della presunzione.
Appare indubbio che l’entità della sanzione, pari ad € 360,00, era tale  da  far  presumere  l’insussistenza  di  un  patimento  soggettivo, pur considerato il rischio di una riscossione coattiva o del pignoramento dello stipendio, rischio configurabile anche rispetto a crediti  di  contenuta  entità,  ma  che  di  per  sé  non  esclude,  per questo solo fatto, l’applicazione del comma 2 -sexies, lettera g) del
citato  art.  2,    essendo  perciò  non  decisive  le  circostanze  dedotte dalla parte, il che esclude anche la violazione  dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c..
Il ricorso è respinto, con aggravio di spese.
Considerato che i giudizi ex L. 89/2001 sono esenti dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui  al  comma  1-quater  all’art.  13  del  d.P.R.  30  maggio  2002,  n. 115,  introdotto  dall’art.  1,  comma  17,  della  legge  24  dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali  liquidate  in  €  500,00  per  onorari,  oltre  alle  spese prenotate a debito.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  Seconda