Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4602 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4602 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/02/2024
Oggetto: equa riparazione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20606/2022 R.G. proposto da COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale come in atti.
– RICORRENTE –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro p.t.. con domicilio in Roma, INDIRIZZO.
-CONTRORICORRENTE -RICORRENTE INCIDENTALE –COGNOME il decreto della Corte d’appello di Lecce n. 169/2022, pubblicato in data 15.2.2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 8.2.20224 dal
Consigliere NOME COGNOME.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
Pronunciando sull’oppos izione proposta da NOME COGNOME il decreto monitorio con cui il Consigliere istruttore aveva liquidato l’impo r to di €. 4128,00 per la durata irragionevole di una procedura fallimentare, aperta in data 3.8.2001 e chiusa con decreto del 9.12.2019, la Corte di appello ha confermato il provvedimento, ritenendo legittima la riduzione dell’impo rto base
prevista dall’art. 2 bis comma primo, L. 89/2001, in considerazion e del numero delle parti della procedura concorsuale, superiore a 10.
Per la cassazione del decreto propone ricorso NOME COGNOME affidato ad un unico motivo.
Il RAGIONE_SOCIALE della Giustizia ha notificato controricorso con ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
Va dapprima esaminato il ricorso incidentale con cui il RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione dell’art. 2 L. 89/2001 e 75 c.p.c., sostenendo che nessun indennizzo poteva pretendere il ricorrente, dichiarato fallito, poiché nel corso della procedura non erano stati instaurati giudizi, il COGNOME non aveva presentato istanze sollecitatorie o di accelerazione ed aveva mantenuto una posizione di parte passiva, configurandosi un danno lecito, non indennizzabile.
Si denuncia inoltre l’ille gittima duplicazione del risarcimento, liquidato sia in favore della società che del suo amministratore, e il difetto di legittimazione passiva della società, non rientrata in bonis e ormai estinta per effetto del fallimento.
Il ricorso è infondato.
Il fallimento era stato pronunciato sia a carico del ricorrente, quale socio illimitatamente responsabile, che a carico della società; entrambi avevano diritto all’indennizzo ex l. 89/2011, trattandosi di due distinte posizioni giuridiche, con separate posizioni processuali e con separate aspettative di definizione del giudizio in tempi ragionevoli, per cui il danno andava integralmente ristorato per ciascuna delle parti (Cass. 15254 del 2013; Cass. 13238/2019).
L’indennizzo per l’irragionevole durata del processo compete anche alle società di persone a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca anche in tali ipotesi.
È pacifica la legittimazione del fallito ad ottenere l’equa riparazione (Cass. n. 13605/2013), atteso che il comportamento della parte rileva nella misura in cui abbia determinato un ingiustificato allungamento dei tempi del processo in cui si assume essersi verificata una violazione della CEDU, art. 6, paragrafo 1, dovendosi escludere che abbia influenza il comportamento anteriore al processo, sebbene tale parte vi abbia dato causa.
Pertanto, il fatto che il fallito abbia, con il suo comportamento anteriore alla dichiarazione di fallimento, posto (sia pure con piena consapevolezza) le premesse per l’apertura della procedura o per la durata irragionevole, non vale a giustificare la durata del fallimento (cfr. Cass. n. 10074/2008), potendo le predette circostanze trovare adeguata considerazione nell’ambito della valutazione della complessità della vicenda processuale, nonché ai fini della quantificazione della misura della riparazione.
Non occorre poi che il fallito abbia sollecitato la definizione della procedura, quale indice rivelatore di una sofferenza e patema d’animo meno avvertiti, avuto anche riguardo alla posizione di mera attesa cui il fallito è assoggettato nel corso della procedura di cui si tratta (Cass. 28489/2020; Cass. 2247/2007).
Quanto agli effetti del fallimento, esso ha comportato lo scioglimento della società, non la sua estinzione, che invece consegue soltanto alla cancellazione (di cui non si ha riscontro), né comporta alcuna alterazione del vincolo e dell’organizzazione sociale, che resta in funzione sia pure con le limitazioni derivanti dall’intervenuto spossessamento (Cass. 6771/2020).
Con l’unico motivo d el ricorso principale si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 bis , comma 1 bis e del comma 2 bis della L n. 89/2001, per aver il Giudice distrettuale ridotto del 20% l’indennizzo in applicazione dell’art. 2 bis, comma 1 bis, della
L. n. 89/01. Il ricorrente ritiene che con detta riduzione vi sia stata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 bis, comma 1 bis, della L. n. 89/01, poiché la norma non può essere meccanicamente estesa alle procedure concorsuali.
Il motivo è fondato.
L’art. 2 bis, commi 1 e a 1 bis, L. 89/2001 prevede che il giudice liquida a titolo di equa riparazione, di regola, una somma di denaro non inferiore a euro 400 e non superiore ad euro 800 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che ecceda il termine ragionevole di durata del processo.
La somma liquidata può essere incrementata fino al 20 per cento per gli anni successivi al terzo e fino al 40 per cento per gli anni successivi al settimo, o può essere diminuita fino al 20 per cento quando le parti del processo presupposto sono più di dieci e fino al 40 per cento quando le parti del processo sono più di cinquanta.
Questa Corte ha stabilito che il comma 1 bis e la limitazione ivi prevista, quanto al numero delle parti del giudizio presupposto, non sono applicabili alle procedure fallimentari: la lettura comparata delle disposizioni sopra trascritte rende manifesto che nella legge n. 89/2001 la parola “processo” – del quale si precisa che inizia «con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notificazione dell’atto di citazione» – ha un significato diverso dalle parole “procedura concorsuale”, con la conseguenza che la previsione di cui alla comma 1 bis dell’art. 2 bis, espressamente riferita al “processo”, non può essere estesa alla “procedura concorsuale”.
Tale interpretazione letterale è confortata dalla considerazione che, mentre nel processo di cognizione la pluralità di parti rappresenta una mera eventualità e la presenza di più di dieci – o addirittura di più di cinquanta -parti costituisce evenienza infrequente, o
addirittura rara, nelle procedure concorsuali, per contro, la compresenza (il “concorso”, appunto) di una pluralità dei creditori costituisce l’ipotesi fisiologica e l’evenienza che i creditori insinuati siano più di cinquanta è del tutto ordinaria nella quotidiana esperienza giudiziaria; cosicché ritenere il disposto del comma 1 bis dell’art. 2 bis della legge 89/2001 applicabile a tali procedure produrrebbe un effetto distorsivo di implicita e casuale (e perciò irragionevole) penalizzazione in punto di tutela del diritto alla ragionevole durata del giudizio del creditore ammesso al passivo di una procedura concorsuale rispetto a colui che partecipi ad un ordinario processo di cognizione (in tal senso, esplicitamente, Cass. 25181/2021).
E’ accolto l’unico motivo del ricorso principale mentre il ricorso incidentale è dichiarato inammissibile; il decreto è cassato in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Tenuto conto che la parte che ha proposto il ricorso incidentale, ritenuto infondato, è un’Amministrazione dello Stato e che i giudizi ex L. 89/2001 sono esenti dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
accoglie l’unico motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda