Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30145 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 30145 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24787/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, domiciliato presso il suo recapito digitale con indirizzo pec: EMAIL;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO;
-controricorrente-
per la cassazione del decreto di Corte di appello di Brescia n. 335/2023, depositato il 10 novembre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 settembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. -Con ricorso ai sensi dell’ art. 1, comma 47, l. 92/12 (c.d. rito Fornero) al giudice del lavoro preso il Tribunale di Mantova, depositato il 7.6.17, il lavoratore impugnava il licenziamento intimatogli per giustificato motivo oggettivo in data 9 gennaio 2017, rilevando sia il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’ art. 7 l. 604/66, sia la manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento riguardo al mancato assolvimento dell’onere di ripescaggio.
Il giudice RAGIONE_SOCIALE fase sommaria, con ordinanza del 17 febbraio 2018 , e dell’opposizione , con sentenza del 5 novembre 2019, accoglievano il ricorso solo parzialmente, sotto il profilo del mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, e assegnavano al lavoratore un’indennità risarcitoria ai sensi dell’ art. 18, comma 6, Statuto dei lavoratori.
Su reclamo proposto dal lavoratore l’11 novembre 2019, la Corte d’appello, con la sentenza n. 69/20 del 20 maggio 2020, rilevava l’illegittimità del licenziamento per il mancato assolvimento dell’onere di ripescaggio, assegnando al lavoratore solo un’indennità risarcitoria ai sensi dell’ art. 18, comma 5, Statuto dei lavoratori.
Con ricorso notificato l’8 luglio 2020, il lavoratore ricorreva alla Corte di cassazione, rilevando che la sentenza d’appello non si era attenuta al principio affermato da Cass. 10435/18 (e poi confermato anche da Cass. 34049/22, 34051/22, 33341/22), per cui il giudice di merito, ai fini dell’individuazione del regime sanzionatorio da applicare, deve verificare se sia manifesta ossia evidente l’insussistenza anche di uno soltanto degli elementi costitutivi del licenziamento.
Con ordinanza del 6 luglio 2022, avendo la sentenza impugnata escluso la manifesta insussistenza dell’impossibilità di ricollocare il lavoratore altrove sulla base di circostanze di fatto che
non hanno nulla a che vedere con l’impossibilità di ricollocare il lavoratore altrove, la Corte accoglieva il ricorso, con rinvio alla Corte d’appello in diversa composizione.
Sul ricorso per riassunzione, la Corte d’appello, con sentenza n. 8/23 del 19 gennaio 2023, dichiarava il diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell’ art. 18, comma 4, Statuto dei lavoratori e al risarcimento del danno nella misura massima prevista attualmente dalla norma, 12 mensilità dell’ultima retribuzione.
Il lavoratore, tuttavia, licenziato illegittimamente il 9 gennaio 2017, in costanza del rapporto di lavoro, percependo da ultimo una retribuzione mensile di euro 1.911,76, veniva reintegrato nel posto di lavoro soltanto a seguito RAGIONE_SOCIALE sentenza RAGIONE_SOCIALE Corte di cassazione del 19 gennaio 2023 pronunziata all’esito del giudizio di rinvio, e nel periodo tra il licenziamento e la pronuncia di reintegrazione nel posto di lavoro percepiva solo euro 28.735,00.
Dunque, per effetto RAGIONE_SOCIALE durata del processo, il lavoratore percepiva soltanto detta somma, cui vanno aggiunte le 12 mensilità di indennità risarcitoria a lui assegnate in sede di rinvio (euro 22.941,12), per complessivi euro 51.576,12. In costanza del rapporto di lavoro, invece, avrebbe percepito le retribuzioni dal licenziamento alla reintegrazione nel posto di lavoro (come del resto era disposto dall’ art. 18 RAGIONE_SOCIALE Statuto dei lavoratori sino alla l. 92/12), e dunque euro 140.514,36 (euro 1.911,76 x 73,5 mensilità). Il tutto per un danno provocato dalla durata del processo, stante il limite di 12 mensilità alla commisurazione dell’indennità risarcitoria per il periodo tra il licenziamento e la reintegrazione nel posto di lavoro posto dall’ art. 18, comma 4, Statuto dei lavoratori nella versione modificata dalla l. 92/12, di euro 88.938,24 (euro 140.514,36 -euro 51.576,12).
Pur evidenziando che, nel caso di specie, la durata complessiva del processo ha ecceduto i 6 anni solo per pochi giorni
(il ricorso introduttivo risale al 7 giugno 2017, la sentenza che ha definito il giudizio al 9 gennaio 2023), e i singoli gradi di giudizio non hanno ecceduto i limiti attualmente posti dalla l. 89/01, il ricorrente evidenziava di aver subito un danno rilevante proprio per la durata del processo.
Tanto premesso, il lavoratore chiedeva, disponendo, ove occorra, rimessione di questione di costituzionalità, condanna del RAGIONE_SOCIALE convenuto al pagamento dell’equa riparazione del danno patito dal lavoratore per la durata non ragionevole del processo all’esito del quale ne è stata disposta la reintegrazione nel posto di lavoro, di cui si chiedeva la determinazione nella misura di euro 88.938,24, o nella diversa misura, minore o anche maggiore, ritenuta di giustizia.
La Corte di appello di Brescia, con decreto monocratico, ha dichiarato la domanda priva di fondamento, non sussistendo una durata irragionevole del processo.
-Con ricorso ex art. 5 ter l. 24 marzo 2001 n. 89 il ricorrente ha proposto impugnazione, lamentando l’errato rigetto del ricorso.
Radicatasi la lite in sede di opposizione, il RAGIONE_SOCIALE si è costituito in giudizio.
La Corte di appello di Brescia, con decreto collegiale 13 novembre 2023 n. 642/2023 , ha rigettato l’opposizione, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite.
-Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE si è costituito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’ art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Parte ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
1. -Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli articoli 1 bis l. 89/01, 2 bis l. 89/01, 2056 cod. civ., 1223 cod. civ. e 6 § 1 RAGIONE_SOCIALE Convenzione europea sui diritti dell’uomo (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.). Parte ricorrente contesta il decreto nella parte in cui ha negato alla parte danneggiata dalla durata del processo un indennizzo, a fronte di un danno di euro 88.938,24 e omettendo di disporre la rimessione RAGIONE_SOCIALE questione di costituzionalità. La parte richiama le disposizioni contenute nel l’ art. 2 bis RAGIONE_SOCIALE l. 89/01 evidenziando che le espressioni ‘ di regola ‘ di cui al comma 1 e ‘ anche in deroga al comma 1 ‘ di cui al comma 3 indicano che, in situazioni particolari, come quella dedotta e documentata nel caso di specie, la misura dell’indennizzo spettante per l’eccessiva durata del processo può ben essere diversa e anche superiore. In ordine alle conseguenze giuridiche dell’illegittimità RAGIONE_SOCIALE somministrazione di manodopera in materia di lavoro, evidenzia come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 303/11, ha ‘salvato’ la legittimità costituzionale del limite di 12 mensilità, posto dall’ art. 32, comma 5, l. 183/10 all’indennità risarcitoria dovuta nel caso di dichiarazione del diritto del lavoratore al ripristino del rapporto di lavoro, solo in ragione del fatto che ‘ disparità di trattamento ricollegabili al momento del riconoscimento in giudizio del diritto del lavoratore … devono essere escluse … per la ragione che … l’ordinamento predispone particolari rimedi, come … gli specifici meccanismi riparatori contro la durata irragionevole delle controversie di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89 ‘. Da ciò deduce che l’interpretazione costituzionalmente orientata RAGIONE_SOCIALE l. 89/01, in armonia con i rilievi espressamente formulati dalla sentenza n. 303/11 RAGIONE_SOCIALE Corte costituzionale, nella parte in cui ha salvato il limite di 12 mensilità posto all’indennità risarcitoria in favore del lavoratore, imporrebb e il riconoscimento dell’indennità per la durata irragionevole del processo anche nei casi, come quello di specie, nei quali il lavoratore abbia patito un danno di gran lunga
maggiore per effetto di detto limite di 12 mensilità, pena l’incostituzionalità dell’attuale assetto normativo. E ove non fosse ritenuta possibile l’interpretazione costituzionalmente orientata (e prima di dover ricorrere alla CEDU contro l’insufficienza del meccanismo di ristoro escogitato dal legislatore nazionale), si renderebbe necessaria la rimessione RAGIONE_SOCIALE questione di costituzionalità degli artt. 2, comma 5 e 2 bis, l. 89/01 in relazione all’ art. 32, comma 5, l. 183/10, per violazione degli artt. 11 e 117, comma 1, Cost. in relazione all’ art. 6 RAGIONE_SOCIALE Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con l. 848/55.
1.1. -Il motivo è infondato.
La questione di legittimità costituzionale RAGIONE_SOCIALE l. 89 del 2001 è stata più volte affrontata alla Cassazione sia riguardo ai limiti edittali dell’indennizzo , sia in relazione al termine ritenuto ragionevole RAGIONE_SOCIALE durata del processo (Cass., Sez. VI-2, 24 settembre 2021, n. 25964, secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2-bis RAGIONE_SOCIALE l. n. 289 del 2001, nella parte in cui limita la misura dell’indennizzo in una somma di denaro, non inferiore a 500 euro e non superiore a 1.500 euro, atteso che la derogabilità dei criteri ordinari di liquidazione fissati dalla Corte E.D.U. per l’indennizzo su base annua recepisce le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza RAGIONE_SOCIALE Corte medesima nonché RAGIONE_SOCIALE Corte di cassazione; Cass., Sez. II, 27 ottobre 2014, n. 22772, che ha considerato manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art,. 6, par. 1, RAGIONE_SOCIALE CEDU, riguardanti l’art. 2 bis RAGIONE_SOCIALE legge 24 marzo 2001, n. 89, nella parte in cui limita la misura dell’indennizzo in una somma di denaro, non inferiore a 500 euro e non superiore a 1.500 euro, nonché l’art. 2, comma 2 bis, RAGIONE_SOCIALE stessa legge n. 89 del 2011, nella parte in cui afferma che si considera rispettato il termine
ragionevole se il processo non eccede la durata di tre ani in primo grado di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità, atteso che la derogabilità dei criteri ordinari di liquidazione, la ragionevolezza del criterio di 500 euro per anno di ritardo e i parametri di durata così stabiliti recepiscono le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza RAGIONE_SOCIALE Corte E.D.U. e RAGIONE_SOCIALE Corte di cassazione).
La Corte costituzionale ha utilizzato un obiter – che peraltro deve essere letto nella sua interezza e non parzialmente come prospetta il ricorrente – (« Non è condivisibile neppure il rilievo RAGIONE_SOCIALE indebita omologazione, da parte del moRAGIONE_SOCIALE indennitario delineato dalla normativa in esame, di situazioni diverse. Come, ad esempio, la situazione del lavoratore il quale ottenga una sentenza favorevole in tempi brevi, possibilmente in primo grado, rispetto a quella di chi risulti vittorioso solo a notevole distanza di tempo (magari nei gradi successivi di giudizio). Ovvero del datore di lavoro il quale spontaneamente riammetta in servizio il prestatore nelle more del processo, pagandogli, intanto, il corrispettivo, rispetto ad altro datore che abbia invece ‘resistito’ ad oltranza, evitando di riprendere con sé il lavoratore. È evidente che si tratta di inconvenienti solo eventuali e di mero fatto, che non dipendono da una sperequazione voluta dalla legge, ma da situazioni occasionali e talora patologiche (come l’eccessiva durata dei processi in alcuni uffici giudiziari). Siffatti inconvenienti -secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte -non rilevano ai fini del giudizio di legittimità costituzionale (sentenze n. 298 del 2009, n. 86 del 2008, n. 282 del 2007 e n. 354 del 2006; ordinanze n. 102 del 2011, n. 109 del 2010 e n. 125 del 2008). Sicché, non è certo dalle disposizioni legislative censurate che possono farsi discendere, in via diretta ed immediata, le discriminazioni ipotizzate. Peraltro, presunte disparità di trattamento ricollegabili al momento del riconoscimento in giudizio del diritto del lavoratore
illegittimamente assunto a termine devono essere escluse anche per la ragione che il processo è neutro rispetto alla tutela offerta, mentre l’ordinamento predispone particolari rimedi, come quello cautelare, intesi ad evitare che il protrarsi del giudizio vada a scapito delle ragioni del lavoratore (sentenza n. 144 del 1998), nonché gli specifici meccanismi riparatori contro la durata irragionevole delle controversie di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’art. 375 del codice di procedura civile) » ) per affermare che comunque esiste un rimedio contro l’eccessiva durata del processo allorquando vi siano disparità di trattamento tra lavoratori che si trovino in situazione analoghe. Ma la Corte non entra nel merito di ciò che si intende né per durata ragionevole, né sull’eventuale importo da liquidare in caso di sua violazione, rinviando genericamente al sistema RAGIONE_SOCIALE l. 89 del 2001, posto accanto ai rimedi cautelari, per cui non si può ricavare da questo obiter alcun argomento utile nel caso di specie.
Come chiarito dalla Corte di Strasburgo, gli Stati possono anche scegliere di creare solo un rimedio di tipo indennitario, come ha fatto l’Italia, senza che questo rimedio sia considerato inefficace ( Mifsud c. France (déc.) , no 57220/00, CEDH 2002-VIII). La Corte ha già avuto modo di sottolineare nella sentenza Kudła c. Pologne , no 30210/96, § 152, CEDH 2000-XI (§§ 154-155) che, nel rispetto delle prescrizioni RAGIONE_SOCIALE Convenzione, gli Stati contraenti godono di un certo margine di apprezzamento per quanto riguarda il modo in cui garantiscono agli individui il rimedio richiesto dall’art. 13 e adempiono all’obbligo che incombe loro in virtù di tale disposizione RAGIONE_SOCIALE Convenzione.
Il sistema RAGIONE_SOCIALE l. 89 del 2001 è dunque conforme alla giurisprudenza di Strasburgo e, peraltro, nel caso di specie, come prospettato dallo stesso ricorrente, non si è neppure superato il
termine RAGIONE_SOCIALE ragionevole durata (sei anni) fissato dal legislatore in conformità alla giurisprudenza RAGIONE_SOCIALE Corte di Strasburgo.
-Con il secondo motivo di ricorso, in subordine, si deduce la violazione degli articoli 91 e 92 cod. proc. civ. Parte ricorrente contesta la decisione del giudice di merito che ha posto a carico del lavoratore ricorrente le spese processuali, trattandosi di materia sulla quale non constano precedenti e di fattispecie comunque contraria alla Convenzione europea sui diritti dell’uomo ( art. 360 n. 4 cod. proc. civ.). In ulteriore subordine, con il terzo motivo, si denuncia la violazione del l’articolo 92 cod. proc. civ., in relazione all’ art. 3 Cost., per il trattamento omogeneo di situazioni diseguali, e in relazione al principio di solidarietà posto dall’ art. 2 Cost., avendo il giudice posto a carico del lavoratore che ha subito un danno rilevante dalla durata del processo spese processuali in misura esorbitante rispetto alla sua capacità economica (nella specie, nella misura di euro 4.000,00 oltre spese generali e accessori di legge, pari a complessivi euro 5.836,48) (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.).
2.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono inammissibili.
In tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo RAGIONE_SOCIALE mancanza di motivazione (Cass., Sez. VI-3, 26 aprile 2019, n. 11329; Cass., Sez. III, 31 marzo 2006, n. 7607; Cass., Sez. I, 22 dicembre 2005, n. 28492; Cass., Sez. Un., 15 luglio 2005, n. 14989).
Peraltro, nella specie, la questione appare manifestamente infondata più che assolutamente nuova.
Manifestamente infondata risulta altresì la questione di legittimità costituzionale, formulata peraltro molto genericamente in relazione al caso concreto. In tema di spese processuali e con riferimento al processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo, non ricorre un RAGIONE_SOCIALE esonero dall’onere delle spese a carico del soccombente, in quanto, in virtù del richiamo operato dalla legge 24 marzo 2001, n. 89, si applicano le norme del codice di rito (Cass., Sez. VI-2, 16 ottobre 2014, n. 21946; Cass., Sez. I, 15 luglio 2009, n. 16542; Cass., Sez. I, 18 giugno 2007, n. 14053). Il procedimento camerale di equa riparazione del pregiudizio derivante dalla violazione del termine di ragionevole durata del processo di cui alla l. n. 89 del 2001 ha natura contenziosa e, pertanto, ai fini RAGIONE_SOCIALE liquidazione dei compensi spettanti agli avvocati va applicata la tabella 12 allegata al d.m. n. 55 del 2014 (Cass., Sez. VI-2, 21 luglio 2020, n. 15493). Dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non discende infatti un obbligo a carico del legislatore nazionale di conformare il processo per equa riparazione da irragionevole durata negli stessi termini previsti, quanto alle spese, per il procedimento dinanzi agli organi istituiti in attuazione RAGIONE_SOCIALE Convenzione medesima (Cass., Sez. I, n. 14053 del 2007).
Gli importi liquidati risultano comunque al di sotto dei minimi tariffari, disciplinati dal d.m. 55/2014 recante: “Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell’art. 13 comma 6 RAGIONE_SOCIALE legge 31 dicembre 2012 n. 247″, aggiornati al d.m. n. 147 del 13/08/2022.
-Il ricorso deve essere dunque respinto.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
-Non sussistono le condizioni per dichiarare il ricorrente tenuto al versamento di un importo di cui all’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 115 del 2002, perché il presente giudizio è esente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.940,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio RAGIONE_SOCIALE Seconda