Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30787 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 30787 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19582/2022 R.G. proposto da COGNOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME del foro di Messina, con procura speciale apposta su fogli separati materialmente congiunti al ricorso, ed elettivamente domiciliati all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
-ricorrenti –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO
-intimato – avverso il decreto della Corte di appello di Roma n. 1779/2021 depositato il 3 dicembre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 febbraio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva in fatto e in diritto
Ritenuto che:
con decreto n. 880 del 09.06.2021 il Consigliere delegato dal Presidente della Corte di appello di Roma accoglieva, per quanto di ragione, la domanda di equa riparazione presentata da NOME COGNOME ed NOME COGNOME in relazione alla irragionevole durata di procedimento svoltosi dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ed iniziato nel dicembre 2012 e conclusosi il 15.12.2020 con il deposito della sentenza n. 13513/2020, liquidando un indennizzo di euro 1.600,00 per ciascun ricorrente, oltre accessori, riconoscendo un ritardo di anni quattro;
-decidendo sull’opposizione ex art. 5 -ter legge n. 89/2001 proposta avverso il citato decreto dagli originari ricorrenti deducendo che il ritardo nella definizione del giudizio presupposto era di cinque anni e non di quattro, la Corte di appello di Roma, nella contumacia del Ministero dell’economia e delle finanze, con decreto n. 1779 del 2021, respingeva l’opposizione.
A sostegno della decisione il Collegio evidenziava che dalla sentenza Tar che aveva definito il giudizio presupposto, con la quale era stata dichiarata l’improcedibilità del ricorso per cessata materia del contendere, emergeva che il bene giuridico richiesto era stato già conseguito dai ricorrenti, che nelle more del giudizio avevano sostenuto gli esami e conseguito la laurea;
avverso il citato decreto n. 1779/2021 della Corte di appello di Roma propongono ricorso per cassazione il COGNOME e il COGNOME fondato su un unico motivo;
il Ministero è rimasto intimato;
-in prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha curato anche il deposito di memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
Atteso che:
-con l’unico motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 2, comma 2 bis e 2 bis, comma 1 legge n. 89 del 2001, oltre che dell’art. 2, comma 2-sexies lett. c) della medesima legge e motivazione radicalmente illogica, erronea ed incomprensibile, sostanzialmente omessa o apparente, posta a fondamento dell’illegittimo mancato riconoscimento del diritto dei ricorrenti all’equa riparazione per l’intera durata, eccedente quella ragionevole, del processo amministrativo presupposto che si era protratto per otto anni e dodici giorni.
Ad avviso dei ricorrenti la Corte distrettuale sarebbe venuta meno al superiore consolidato principio di diritto attribuendo una valutazione discrezionale al giudice non consentita dalla legge. Inoltre, sussisterebbe anche il denunciato vizio di carenza di motivazione per non avere il Collegio dato contezza della circostanza che il procedimento presupposto era stato dichiarato improcedibile non già per cessata materia del contendere ma per sopravvenuta carenza di interesse nei termini di cui in motivazione. Peraltro, che fosse venuto meno il patema d’animo dei ricorrenti nel giudizio presupposto per avere gli stessi superato gli esami universitari e conseguito il diploma di laurea, come esposto dal Tar Lazione nella sentenza n. 13513/2020, non era affatto scontato per esservi al riguardo un contrasto giurisprudenziali in seno al medesimo Tar, che anzi aumentava l’incertezza circa l’esito della controversia presupposta e comunque era assolutamente imprevedibile. Né il Collegio ha accertato in concreto che almeno un anno prima della pronuncia del Tar di improcedibilità i ricorrenti avessero sostenuto tutti gli esami ovvero conseguito la laurea (v. pag. 12 del ricorso).
Il motivo è infondato e con esso il ricorso.
Come già affermato da questa Corte, con orientamento che si condivide e a cui si intende dare continuità (Cass. 12 marzo 2021 n. 7040), premesso che al caso di specie, ratione temporis , si applica la
previsione della lett. c) del secondo comma sexies dell’art. 2 della legge n. 89/2001, a tenor della quale “si presume insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, nel caso di: (…) c) estinzione del processo per rinuncia o inattività delle parti ai sensi degli articoli 306 e 307 del codice di procedura civile e dell’articolo 84 del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104” (il comma 2 sexies è stato inserito dall’art. 1, comma 777, lett. d), della legge 28.12.2015, n. 208, a decorrere dall’ 1.1.2016).
L’art. 84 c.p.a., inoltre, dispone, al primo comma, che “la parte può rinunciare al ricorso in ogni stato e grado della controversia, mediante dichiarazione sottoscritta da essa stessa o dall’avvocato (…)” ed, al terzo comma, che “la rinuncia deve essere notificata alle altre parti almeno dieci giorni prima dell’udienza (…)”; il quarto comma, aggiunge, che “anche in assenza delle formalità di cui ai commi precedenti il giudice può desumere dall’intervento di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione della causa”. In questi termini il fenomeno della “sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione della causa” non è avulso dalla rinuncia al ricorso amministrativo e si spiega con il fatto che nel giudizio amministrativo, anche in vigenza del nuovo codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010), la sopravvenienza del difetto di interesse è causa di pronuncia di improcedibilità, ai sensi dell’art. 35 c.p.a., e può desumersi anche da una rinuncia irrituale o da atti e fatti sopravvenuti e perfino dal comportamento delle parti, ai sensi dell’art. 84, 4° comma, del medesimo codice (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 21.11.2012, n. 5911; cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 22.5.2019, n. 3326, secondo cui nel processo amministrativo se vi è rinuncia da parte dell’appellato vittorioso sia al ricorso di primo grado che agli effetti della sentenza alla parte favorevole, in sede di appello deve procedersi all’annullamento senza rinvio della sentenza appellata,
configurandosi come un’ipotesi di sopravvenuto difetto di interesse alla decisione).
Ne consegue che non meritano seguito le ragioni di censura a fronte dell’affermazione della sentenza Tar pronunciata nel giudizio presupposto secondo cui già l’anno prima era venuto meno ogni interesse dei ricorrenti per avere sostenuto tutti gli esami del corso di laurea ovvero conseguito la stessa laurea (v. pag. 12 del ricorso).
Dunque, stante l’operatività della presunzione relativa ex lett. c) del secondo comma sexies dell’art. 2 della legge n. 89/2001, i ricorrenti avrebbero dovuto addurre, evidentemente, di aver allegato e dimostrato, specificamente, la sussistenza di un pregiudizio, sub specie di “paterna d’animo”, decorso il periodo di ragionevole durata del giudizio amministrativo “presupposto”.
Per un verso, la Corte di Roma non si è limitata a dar atto della mancata dimostrazione del perdurante interesse dei ricorrenti alla celebrazione del giudizio “presupposto” successivamente al compimento del periodo di ragionevole durata e così a dare riscontro della mancata dimostrazione -a superamento della presunzione relativa di insussistenza del danno – del “paterna d’animo”.
Invero la corte di merito ha concretamente riscontrato l’insussistenza del perdurante interesse dei ricorrenti alla celebrazione del giudizio “presupposto” e quindi l’assenza di “patema d’animo” relativamente al quinto anno di durata irragionevole, siccome ha puntualizzato che i ricorrenti avevano quasi tutti conseguito il diploma di laurea ovvero uno di loro aveva completato tutti gli esami propedeutici all’iscrizione all’ultimo anno del corso di studi, in altri termini avevano già conseguito il bene giuridico richiesto nel giudizio presupposto (cfr. decreto impugnato, pag. 2).
Per altro verso, i ricorrenti assumono che il probatorio riscontro del protratto loro interesse alla decisione di merito, pur dopo la maturazione del periodo di ragionevole durata, sarebbe stato,
viceversa, da individuare sulla circostanza che non era affatto scontata la sopravvenuta carenza di interesse per esservi al riguardo un contrasto giurisprudenziali in seno al medesimo Tar, che anzi aumentava l’incertezza circa l’esito della controversia presupposta e comunque era assolutamente imprevedibile, oltre a non avere in concreto accertato il g.a. che almeno un anno prima della pronuncia del Tar di improcedibilità i ricorrenti avessero sostenuto tutti gli esami ovvero conseguito il diploma di laurea.
Tuttavia, in tal guisa i ricorrenti si dolgono per la valutazione delle risultanze istruttorie, cosicché sovviene l’insegnamento di questa Corte secondo cui il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10 giugno 2016 n. 11892; Cass. 26 settembre 2018 n. 23153).
Parimenti i ricorrenti censurano la valutazione delle risultanze di causa – ovvero l’avvenuto concreto disconoscimento del preteso perdurante interesse alla decisione di merito e con esso dell’imprescindibile “patema d’animo’ – allorché adducono, in verità in maniera del tutto generica, che persisteva (nel giudizio “presupposto”) il loro interesse alla decisione di merito, anche in epoca successiva al tempo riconosciuto come irragionevole, per il contrasto giurisprudenziale esistente (così ricorso, pag. 12).
Conclusivamente il ricorso va rigettato.
Nessuna pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione in favore dell’Amministrazione evocata non avendo la stessa svolto difese.
Ai sensi dell’art. 10 d.p.r. n. 115/2002 non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89/2001. Il che rende inapplicabile l’art. 13, 1° co. quater, d.p.r. 30.5.2002, n. 115 (cfr.
Cass., Sez. Un., 28 maggio 2014 n. 11915).
P . Q . M .
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda