Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33230 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33230 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14900/2022 R.G. proposto da: NOME, NOME, NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO DI MESSINA n. 1042/2019 depositato il 30/11/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con ricorso depositato il 10 agosto 2012 NOME COGNOME proponeva (sia in proprio, sia in qualità di erede del defunto marito NOME COGNOME) nei confronti del Ministero della Giustizia e innanzi alla Corte d’Appello di Messina domanda di equa riparazione dei danni non patrimoniali conseguenti all’inosservanza del termine ragionevole di durata del processo, ai sensi dell’art. 2 legge 24 marzo 2001, n. 89.
Esponeva la ricorrente che la vicenda giudiziaria presupposta, avente ad oggetto la rivendica di un terreno, aveva avuto inizio a cura del di lei coniuge il 09.08.1951, ed era ancora in corso.
1.1. Il ricorso per equa riparazione subìva complesse vicende: in data 24.05.2013 spiegavano atto di intervento NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, sia in proprio che quali eredi di NOME COGNOME; la domanda di equa riparazione veniva, tuttavia, accolta dalla Corte d’Appello di Messina unicamente in favore di NOME COGNOMEper la somma di € 3.500,00) nella sua qualità di erede del defunto NOME COGNOME, posto che la proposizione della domanda di equa riparazione in proprio era subordinata – all’epoca dell’entrata in vigore delle modifiche apportate alla legge n. 89 del 2001 – all’intervenuta pronuncia irrevocabile.
Proposto ricorso per cassazione, questa Corte (Sez. 2, Ordinanza n. 10361 del 2019) riteneva ammissibile la proposizione della domanda di equa riparazione – già elevata da NOME, NOME e NOME COGNOME ex art. 4 della legge n. 89 del 2001, come sostituito dall’art. 55, comma 1, lett. d), del D.L. n. 83 del 2012 – essendo stata tale norma dichiarata incostituzionale da Corte Cost. 26 aprile 2018, n. 88, proprio nella parte
in cui non prevedeva che la domanda di equa riparazione potesse essere proposta in pendenza del procedimento presupposto.
Al termine della vicenda, il giudice del rinvio -ritenuta complessivamente limitata ad anni 14 l’eccessiva durata del procedimento presupposto -condannava -con il decreto qui impugnato il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di € 3.500,00 in favore di ciascuno dei ricorrenti in riassunzione; dichiarava irripetibili le spese relative al giudizio di legittimità e alla fase di rinvio spettando, invece, ai ricorrenti le spese a suo tempo liquidate in favore di NOME COGNOME
Il ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto è stato proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e affidato a tre motivi.
Resisteva il Ministero della Giustizia depositando controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 2 legge n. 89 del 2001. I ricorrenti censurano la pronuncia nella parte in cui ha riconosciuto, quale periodo indennizzabile, solo 14 anni di durata eccessiva, sebbene la controversia sia iniziata nel lontano 1951, quindi da oltre quarant’anni. Più precisamente, la Corte d’Appello ha ritenuto rilevante ai fini del calcolo della durata ragionevole del processo la data del 01.08.1973 a partire dalla quale è stata riconosciuta la facoltà del ricorso individuale prima alla Commissione e poi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Su tale presupposto, la Corte d’Appello non ha valutato i primi due gradi di giudizio svoltisi davanti al pretore di Noto, e ha escluso dall’indennizzo a favore di tutte le parti il periodo successivo allo smarrimento del fascicolo. Secondo i ricorrenti, tale interpretazione dell’art. 2, legge n. 89/2001 sarebbe er rata, anche alla luce delle indicazioni rese dalla Suprema Corte nell’ordinanza n. 10361
del 2019 in merito all’obbligo di tenere in considerazione l’intero periodo della controversia sin dal suo promovimento fino alla data di deposito del ricorso.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.2. Quanto al periodo antecedente al 01.8.1973 (a far data dal 09.08.1951), data a partire dalla quale era effettivamente entrato in vigore l’art. 6 della CEDU, la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14858 del 11/05/2022, Rv. 664982 -01; Cass. 95/2016; n. 15778/2010; n. 14286/2006) ha affermato che per la liquidazione dell’equo indennizzo in relazione ai giudizi instaurati anteriormente alla data di entrata in vigore dell’art. 6 CEDU, il dies a quo decorre dal 1 agosto 1973, fermo restando che, al fine di valutare l’irragionevole durata del processo, occorre tenere conto della situazione in cui la causa si trovava a quel momento.
1.3. Quanto al periodo successivo alla data di entrata in vigore dell’art. 6 CEDU, il comma 2 l egge n. 89 del 2001 anche nella versione vigente ratione temporis , recita: «Nell’accertare la violazione il giudice valuta la complessità del caso, l’oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del giudice durante il procedimento, nonché quello di ogni altro soggetto chiamato a concorrervi o a contribuire alla sua definizione ». Tale accertamento si risolve in un apprezzamento di fatto, e perciò appartiene alla sovranità del giudice di merito e può essere sindacato in sede di legittimità solo per vizi attinenti alla motivazione (Cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 14980 del 2015; Cass. n. 24399 del 2009). La motivazione resa dalla Corte d’Appello per escludere l’indennizzo per il periodo successivo allo smarrimento del fascicolo (2003-2012), sulla scorta della valutazione della piena e diretta responsabilità delle parti, che non si sono minimamente attivate affinché il fascicolo fosse ricostruito dimostrando
con ciò disinteresse e negligenza (v. sentenza p. 3, penultimo e ultimo capoverso), è logica ed adeguata, per cui nessun sindacato è ammissibile di questa Corte.
Con il secondo motivo si deduce violazione e mancata applicazione della legge n. 89 del 2001, art. 2 della legge n. 848 del 1955, dell’art. 6, § 1 e degli artt. 13, 19, 53 CEDU, e degli artt. 24 e 111 della Costituzione. I ricorrenti censurano il decreto nella parte in cui la Corte d’Appello ha applicato un parametro remunerativo pari ad € 750,00 per tutti i riconosciuti 14 anni indennizzabili, sebbene per costante giurisprudenza di legittimità l’indicato parametro trovi applicazione solo per i primi tre anni, mentre per i successivi trova applicazione il diverso parametro monetario pari ad € 1.000,00.
2.1. Il motivo è infondato.
Questo collegio intende aderire – non emergendo idonei motivi per discostarsene – all’indirizzo di questa Corte (espresso, soprattutto, nella sentenza n. 14974/2015; in precedenza: Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 1990 del 2010), alla stregua del quale, in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, l’art. 2bis , comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (vigente ratione temporis alla data della proposizione dell’atto di intervento a cura degli odierni ricorrenti, ossia il 24.05.2013) relativo al criterio di determinazione dell’indennizzo, rimette al prudente apprezzamento del giudice di merito (cfr., in proposito, anche Cass. n. 14521/2019) la scelta del moltiplicatore annuo, compreso tra il minimo ed il massimo ivi indicati, da applicare al ritardo nella definizione del processo presupposto.
2.2. Il giudizio di congruità espresso dalla Corte d’Appello in composizione collegiale deve ritenersi adeguatamente motivato, in quanto evidentemente si riporta a quanto già espresso dalla medesima Corte nel giudizio precedente in relazione alla liquidazione del danno
non patrimoniale a favore di NOME COGNOME peraltro in relazione ad una somma superiore al minimo rispetto alla forbice prevista dal legislatore dell’epoca (€ 500,00 -€ 1.500,00). Né è possibile, da parte di questa Corte, sindacare la concreta determinazione del quantum dell’indennizzo operata dal giudice di merito, trattandosi di valutazione di fatto, esplicazione di potere discrezionale il cui esercizio è rimesso al predetto giudice di merito ( ex plurimis : Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28081 del 2021; Cass. Sez. 2, n. 14521 del 2019).
2.3. Come gli stessi ricorrenti premettono, la giurisprudenza della Corte EDU ha riconosciuto – con riferimento al pregiudizio connesso alla durata eccedente il ritardo non ragionevole -un margine di apprezzamento di cui dispone ciascuno Stato aderente alla CEDU, che può istituire una tutela per via giudiziaria coerente con il proprio ordinamento giuridico e le sue tradizioni, in conformità al livello di vita del Paese (Corte EDU, COGNOME c. Italia del 31 marzo 2009, §30). Sì che, contrariamente a quanto predicato in ricorso, il fatto che gli importi previsti nel delta di quantificazione codificato dal legislatore con la novella del 2012 (€ 500,00 -€ 1.500,00) siano inferiori a quelli previsti e liquidati dalla Corte EDU (€ . 1000,00-€ . 1.500,00), non possono per ciò stesso essere considerati puramente simbolici o manifestamente insufficienti, purché i giudici italiani concedano un indennizzo per somme che non siano irragionevoli rispetto a quelle disposte dalla Corte EDU per casi simili (Corte EDU, COGNOME c. Italia , del 18 gennaio 2006, §105).
Del resto, la questione dell’inefficacia del rimedio «Pinto», riferito all’asserita insufficienza della riparazione rimessa alla quantificazione del giudice sulla base dei parametri legislativi, viene affrontata dalla Corte EDU sotto il profilo dell’effett ività del ricorso, secondo i criteri della Convenzione: «A giudizio della Corte, il solo fatto che
l’ammontare dell’indennizzo non sia significativo, non costituisce in sé un elemento sufficiente per mettere in discussione l’effettività del ricorso «COGNOME» (Corte EDU, COGNOME RAGIONE_SOCIALE , del 5 giugno 2007, §45); questione, dunque, ritenuta dalla Corte EDU pacifica, tanto da dichiarare il successivo ricorso, in punto di quantificazione, irricevibile per manifesta infondatezza (Corte EDU, COGNOME e COGNOME c. Italia , del 20 aprile 2010, §20).
E’ opportuno, altresì, ulteriormente precisare che la parte che si dolga in sede di legittimità della inadeguatezza della liquidazione del danno non patrimoniale in termini di irragionevole divario rispetto ai criteri adottati dalla giurisprudenza della Corte europea ha, comunque, l’onere di allegare sia i fatti ritenuti rilevanti per fondare la censura di malgoverno della valutazione equitativa da parte del giudice di merito, sia i concreti elementi di analogia con i casi consimili in cui, in sede europea, sono stati applicati i parametri più favorevoli (Cass. Sez. 2, n. 27352 del 29/10/2018 – Rv. 651023 -01; Cass. Sez. 1, n. 19638/2004 cit.; Cass. Sez. 1, n. 15750 del 11/07/2006 – Rv. 592491; Cass. Sez. 1, n. 1742 del 27/01/2006 Rv. 589738).
Nessuna attività probatoria risulta svolta dai ricorrenti in tal senso. 3. Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 360, comma 1 n. 3) cod. proc. civ., con riferimento agli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. Omessa pronuncia sulle spese del giudizio di primo grado. I ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte d’Appello non si è pronunciata sulle spese del giudizio di primo grado spettanti agli intervenienti, odierni ricorrenti, censurando in particolare il decreto laddove ha disposto l’integrale compensazione delle spese di lite, anche in presenza di una parte parzialmente vincitrice, decisione che, di fatto, vanifica il diritto di agire in giudizio ex art. 24 della Costituzione.
3.1. Il motivo è infondato.
Le spese processuali (€ 740,00) sono state riconosciute a NOME COGNOME che aveva in origine proposto domanda di equa riparazione nei confronti del Ministero della Giustizia, gli odierni ricorrenti essendo intervenuti nel medesimo giudizio in data 24.05.2013, e quindi loro spettanti nella qualità di eredi della COGNOME (v. sentenza p. 4, 4° capoverso).
3.2. Sulla questione della compensazione delle spese nel giudizio in riassunzione: secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel regime normativo posteriore alle modifiche introdotte all’art. 91 cod. proc. civ. dalla l. n. 69 del 2009, «in caso di accoglimento parziale della domanda il giudice può, ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa» (in termini, da ultimo: Cass. SSUU n. 32061 del 2022; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 1325 del 2023), spettando, quindi, al giudice del merito valutare la misura della compensazione; è stato anche affermato che, pur senza ricorrere alla nozione di soccombenza reciproca, è possibile configurare la compensazione disposta dal giudice di merito in caso di accoglimento parziale come espressione del potere di compensazione per giusti motivi, senza che questa Corte possa valutare la legittimità del ricorso alla compensazione delle spese, essa unicamente vigilando sull’impossibilità di procedere alla condanna alle spese nei confronti del soggetto totalmente vincitore della lite (di recente, Cass. n. 17291 del 2021; in precedenza Cass. n. 2653 del 1994 e Cass. n. 22381 del 2009).
La Cor te d’Appello ha motivato la soluzione prescelta sulla base del fatto che l’accoglimento del ricorso è frutto dello ius superveniens rappresentato dall’intervento demolitorio della Corte Costituzionale (che, quindi, si è tradotto nel senso del l’ammissibilità dell’intervento
degli odierni ricorrenti nel procedimento di equa riparazione, pur non essendo definitivamente chiuso il procedimento presupposto).
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in € 650,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda