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Equa riparazione fallimento: quando spetta l’indennizzo

Una società, creditrice in un lungo procedimento fallimentare, ha ottenuto un indennizzo per l’irragionevole durata del processo. Il Ministero della Giustizia ha impugnato la decisione, sostenendo che il credito fosse di valore esiguo (€ 2.000) e che la società fosse consapevole dell’impossibilità di recuperarlo. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo un principio fondamentale in materia di equa riparazione fallimento: il valore della causa si determina sulla base del credito ammesso al passivo, non sulla somma effettivamente riscossa. Inoltre, ha chiarito che un credito di 2.000 euro non è di per sé ‘irrisorio’ da escludere il diritto al risarcimento.

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Equa Riparazione Fallimento: Il Credito Ammesso Determina il Valore della Causa

L’irragionevole durata dei processi è una problematica che affligge il sistema giudiziario italiano, con particolari criticità nelle procedure concorsuali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sul diritto all’equa riparazione fallimento, stabilendo come determinare il valore della causa e quando un credito di modesta entità possa comunque dare diritto a un indennizzo. La decisione analizza il caso di un creditore che, pur consapevole dell’impossibilità di recuperare il proprio credito, ha subito un pregiudizio a causa della lentezza della giustizia.

I Fatti di Causa

Una società a responsabilità limitata si era insinuata al passivo del fallimento di un’altra azienda per un credito di 2.000,00 euro. La procedura fallimentare, iniziata nel 2009, si era conclusa solo nel 2019, superando ampiamente i limiti di durata ragionevole. La società creditrice ha quindi agito in giudizio per ottenere l’equa riparazione prevista dalla Legge Pinto (L. 89/2001).

La Corte di Appello di Brescia, in prima istanza, ha riconosciuto un’irragionevole durata di oltre tre anni e ha liquidato un indennizzo di 1.200,00 euro. Il Ministero della Giustizia ha proposto opposizione, sostenendo che non vi fosse alcun danno da risarcire. Le argomentazioni del Ministero si basavano su due punti principali: l’esiguità del credito (definito ‘bagatellare’) e la consapevolezza del creditore che, data l’incapienza dell’attivo fallimentare, non avrebbe comunque recuperato alcuna somma. La Corte di Appello ha respinto l’opposizione, portando il Ministero a ricorrere per cassazione.

L’Analisi della Corte: Equa Riparazione Fallimento e Valore della Causa

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Ministero, confermando il diritto del creditore all’indennizzo. La motivazione della Corte si concentra su due principi cardine per l’equa riparazione fallimento.

In primo luogo, la Corte ha stabilito che, per determinare il ‘valore della causa’ ai fini dell’indennizzo, si deve fare riferimento al valore del credito per cui il creditore è stato ammesso al passivo fallimentare. Non rileva, invece, la somma che il creditore riesce effettivamente a recuperare al termine della procedura. Questa distinzione è cruciale: l’esito finale del riparto dipende da molteplici variabili (come la presenza di altri creditori privilegiati e l’entità dell’attivo) che sono indipendenti dalla legittimità della pretesa del singolo creditore. L’ammissione al passivo, di per sé, rappresenta una valutazione positiva sulla fondatezza del credito, ed è questo il valore da tutelare contro i ritardi della giustizia.

Il Concetto di ‘Irrisorietà della Pretesa’

Il secondo punto affrontato dalla Corte riguarda l’argomento del Ministero secondo cui la pretesa sarebbe ‘irrisoria’ o ‘bagatellare’. La Cassazione, allineandosi alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), ha spiegato che il carattere irrisorio di una pretesa deve essere valutato secondo un duplice criterio:

1. Criterio Oggettivo: Correlato al valore assoluto del bene o del credito oggetto della lite.
2. Criterio Soggettivo: Che tiene conto delle condizioni economiche e personali della parte.

La Corte ha osservato che la giurisprudenza europea tende a considerare ‘irrisorie’ pretese di entità minima, generalmente inferiori a 500 euro. Nel caso di specie, un credito di 2.000,00 euro non è stato ritenuto oggettivamente irrisorio al punto da escludere in radice il pregiudizio da ritardo. La modesta entità della pretesa, ha chiarito la Corte, può semmai incidere sul quantum dell’indennizzo, ma non sulla sua esistenza (l’an).

le motivazioni

La Corte di Cassazione fonda la sua decisione sul principio che l’ammissione al passivo fallimentare costituisce il riconoscimento della fondatezza delle ragioni creditorie. Il danno da irragionevole durata del processo sussiste indipendentemente dall’esito concreto della procedura di riparto, poiché il ritardo processuale genera di per sé una sofferenza e un’incertezza che meritano tutela. Escludere l’indennizzo solo perché l’attivo è incapiente significherebbe negare giustizia proprio a chi è già stato danneggiato dall’insolvenza del debitore. La Corte ha inoltre ribadito che l’interpretazione delle norme nazionali deve conformarsi ai principi consolidati della CEDU, la quale riconosce che anche un danno pecuniario modesto può essere significativo per l’individuo. La Corte d’Appello ha correttamente ritenuto sussistente il pregiudizio derivante dalla non irrisorietà oggettiva della pretesa (credito di 2.000,00 euro), operando una valutazione di fatto incensurabile in sede di legittimità.

le conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione rafforza la tutela dei creditori coinvolti in lunghe procedure fallimentari. Viene confermato che il diritto all’equa riparazione non è subordinato alla possibilità di effettivo recupero del credito. Il valore di riferimento è quello del credito ammesso al passivo, e una pretesa non può essere liquidata come ‘bagatellare’ senza un’attenta valutazione, anche alla luce degli standard europei. Questa decisione rappresenta una garanzia importante per tutti i creditori, assicurando che la lentezza della giustizia non resti senza conseguenze, anche quando le speranze di recupero del credito sono minime.

Come si calcola il ‘valore della causa’ per l’equa riparazione in un procedimento fallimentare?
Secondo la Corte di Cassazione, il valore della causa deve essere riferito al valore del credito ammesso al passivo fallimentare e non alla somma che il creditore riesce effettivamente a recuperare al termine della procedura.

Un credito di modesto valore, come 2.000 euro, può essere considerato ‘irrisorio’ al punto da escludere il diritto all’indennizzo per irragionevole durata del processo?
No. La Corte ha stabilito che un credito di 2.000,00 euro non presenta una ‘irrisorietà obiettiva’ tale da escludere il pregiudizio. La modesta entità della pretesa può influenzare l’ammontare dell’indennizzo (il quantum), ma non ne nega l’esistenza (l’an).

L’impossibilità di recuperare il proprio credito per mancanza di beni nel fallimento (incapienza dell’attivo) impedisce di ottenere l’equa riparazione?
No. La Corte ha chiarito che la posizione del creditore rimasto insoddisfatto per l’incapienza dell’attivo non è assimilabile a quella di chi ha avanzato pretese infondate. Il diritto all’indennizzo per l’irragionevole durata del processo sussiste indipendentemente dall’esito finale della ripartizione dell’attivo fallimentare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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