Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1607 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1607 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23992/2023 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO DI SALERNO n. 159/2022, depositato il 20/04/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME proponeva opposizione avverso il decreto n. 76/2022 emesso dal Consigliere Delegato dalla Corte d’Appello di Salerno -Sez. Lavoro con il quale veniva rigettata la domanda di equa riparazione proposta dall’opponente, ai sensi della legge 24.03.2001, n. 89 per l’irragionevole durata della procedura fallimentare svoltasi a suo carico innanzi al Tribunale di Salerno a far data dal 16.07.2003, definita con decreto di chiusura del fallimento del 05.03.2020, per una complessiva durata di 17 anni.
La Corte d ‘A ppello di Salerno -Sez. Lavoro, in composizione collegiale, confermando – con argomentazioni ulteriori e in parte diverse – il giudizio di non meritevolezza espresso dal giudice delegato, rigettava l’opposizione con decreto n. 159/2022 qui impugnato.
A sostegno della sua decisione, il giudice dell’opposizione osservava che:
il comportamento della fallita tenuto sia anteriormente sia nel corso della procedura si pone in contrasto con l’art. 2, comma 2 -quinquies della legge n. 89/2001, per aver ella agito o resistito in giudizio consapevole dell’infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, come pure in abuso dei poteri processuali ossia, nel caso di specie, per avere la COGNOME agito in danno dei creditori sottraendo fraudolentemente beni alla garanzia patrimoniale, ovvero non compiendo quanto in suo dovere per consentire alla procedura di ricostruire tempestivamente l’effettività del patrimonio e del movimento degli affari, con ciò incidendo in maniera rilevante sui tempi della procedura. Infatti, solo a séguito delle revocatorie azionate (terminate con esito infruttuoso) si è giudizialmente scoperto che i beni
in questione erano stati ceduti dalla fallita per un prezzo simulato, incassando in realtà a suo vantaggio somme rilevantemente superiori a quelle dichiarate, con conseguente esclusione del consilium fraudis da parte dell’acquirente. Inoltre, emerge dalle risultanze acquisite che la Volpe riferì alla curatela di pregresse dazioni di somme per l’acquisto di un appartamento solo nel 2009, così consentendo l’avvio di azione per il recupero delle stesse solo a quel punto della procedura fallimentare, peraltro fornendo documentazione incompleta sui relativi pagamenti tanto da pregiudicare il recupero stesso.
Ai sensi dell’art. 2, comma 2septies della legge n. 89/2001 si presume parimenti insussistente il danno quando la parte ha conseguito, per effetto della irragionevole durata del processo, vantaggi patrimoniali eguali o maggiori rispetto alla misura dell’indennizzo altrimenti dovuto, nella misura in cui non vengano ingiustamente soddisfatti i creditori.
Avverso detta decisione proponeva ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo ad un unico motivo e illustrandolo con memoria.
Resiste il Ministero della Giustizia.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., in relazione all’art. 2, comma 2bis , legge n. 89/2001. In tesi, a mente della norma menzionata, la durata di una procedura fallimentare non deve essere superiore ai sei anni. Inconferenti appaiono, pertanto, le motivazioni addotte dalla Corte per addivenire al rigetto della domanda di equa riparazione per un fallimento durato 17 anni. L’orientamento costante della Corte di legittimità esclude sia la rilevanza del comportamento tenuto dal fallito
prima dell’apertura del fallimento, ancorché quel comportamento abbia dato causa al processo, sia l’inerzia in pendenza del fallimento trovandosi questi purtroppo ad essere un vero spettatore di una procedura che in tutti i sensi lo travolge (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 6577 del 2023; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 28499 del 2020).
1.1. Il motivo è fondato.
1.2. Il Collegio non condivide la ricorrenza -affermata dalla Corte territoriale – delle condizioni di applicazione dell’art. 2, comma 2 -quinquies, lett. a) e d) legge 24 marzo 2001, n. 89.
Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che il comportamento della parte rileva nella misura in cui abbia determinato un ingiustificato allungamento dei tempi del processo in cui si assume essersi verificata una violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, dovendosi escludere che abbia influenza il comportamento anteriore al processo, ancorché al processo medesimo esso abbia dato causa. Pertanto, il fatto che la Volpe abbia, con il suo comportamento anteriore alla dichiarazione di fallimento, posto (sia pure con piena consapevolezza) le premesse delle azioni revocatorie successivamente esercitate dalla curatela fallimentare a tutela delle ragioni della massa, non vale di per sé a giustificare la durata delle azioni revocatorie medesime, e di riflesso del procedimento fallimentare (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 6577 del 2023; Cass. Sez. 2, nn. 22498, 28499 del 15.12.2020; Cass. n. 10074/2008).
Con riferimento, poi, alla condotta tenuta dalla COGNOME nel corso della durata della procedura, va ricordato come questa Corte abbia affermato che non possa considerarsi motivazione pertinente e logica, ai fini del rigetto delle richieste di equo indennizzo, il richiamo operato dal giudice della equa riparazione alla mancanza di iniziative da parte
del fallito nei confronti degli organi della procedura fallimentare per accelerarne la definizione, quale indice rivelatore di una sofferenza e patema d’animo meno avvertiti, avuto anche riguardo alla posizione di mera attesa cui il fallito è assoggettato nel corso della procedura di cui si tratta (Cass. nn. 22498, 28499 del 2020, cit.; Cass. n. 2247/2007).
1.2.1 . Non ricorre neanche l’ipotesi di cui al comma 2 -septies dell’art. 2 legge n. 89 del 2001 (vantaggio conseguito in occasione del l’irragionevole protarsi della procedura fallimentare), rimasta del tutto immotivata da parte del giudice dell’ opposizione.
1.3. Ritenuta, quindi, l’insussistenza, nel caso concreto, di circostanze particolari idonee, in termini positivi (commi 2quinquies e 2septies dell’art. 2, legge n. 89 del 2001), ad escludere che alcun danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo fosse stato subì to dalla ricorrente, con riferimento all’art. 2, comma 2 -bis della legge Pinto, deve ricordarsi che è pur vero che nell’accertare la violazione del termine di ragionevole durata del processo occorre acclarare quanta parte della durata irragionevole sia imputabile al comportamento delle parti e quanta al comportamento del giudice o di altri organi della procedura o a disfunzioni dell’apparato giudiziario (cfr. Cass 17.1.2011, n. 950); è innegabile che il giudice deve imputare innanzitutto al fallito il tempo eccedente la durata «ragionevole» correlato alle iniziative, segnatamente giudiziarie, resesi necessarie onde vanificare gli atti lesivi della garanzia patrimoniale e della par condicio creditorum dal debitore commerciale posti in essere sia in pendenza della procedura concorsuale sia in epoca antecedente alla sua apertura, nel periodo “sospetto” (Cass. Sez. 2, n. 6577 del 06.03.2023; Cass. nn. 22498, 28499 del 2020, cit.; Cass. Sez. 2, n. 1831 del 25.01.2017).
Tanto, beninteso, salva dimostrazione del contrario come nel caso di specie, ovvero a meno che il fallito non deduca specificamente, fornendone puntuale dimostrazione, che le iniziative giudiziarie, pur necessitate dal suo indebito comportamento, si sono protratte oltre misura per ragioni ascrivibili all’ufficio fallimentare ovvero all’organo giudiziario dall’ufficio fallimentare appositamente adìto.
1.4. Ha, pertanto, errato la Corte d’Appello di Salerno, in presenza di una procedura fallimentare durata circa 17 anni, a negare l’ an del diritto alla equa riparazione al creditore ammesso al passivo, non bastando ad escludere l’indennizzabilità per una procedura concorsuale protrattasi secondo i tempi anzidetti la constatazione della valenza negativa del comportamento tenuto dalla fallita.
In definitiva, il decreto della Corte d’Appello qui impugnato merita di essere cassato, e il giudizio rinviato alla medesima Corte in diversa composizione affinché stabilisca la durata irragionevole della procedura fallimentare nei termini sopra precisati, decidendo anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, in accoglimento del ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Salerno , in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda