Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22402 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22402 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6891 – 2023 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato ope legis ;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME ANNUNZIATA, COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME, COGNOME, nella qualità di eredi di COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME come da procure allegate al controricorso, con indicazione dell’indirizzo pec dell’avv. COGNOME ;
– controricorrenti –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. cron. 322/2023, del 25/1/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/1/2025 dal consigliere NOME COGNOME letta la memoria delle parti controricorrenti.
FATTI DI CAUSA
Con decreto n. cron. 322/2023, del 25/1/2023, la Corte d’appello di Napoli rigettò l’opposizione proposta dal Ministero della Giustizia avverso il decreto monocratico che aveva accolto il ricorso per equa riparazione, proposto da NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per l’eccessiva durata del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE di cui erano dipendenti, dichiarato con sentenza n. 2179/2000 del 21/12/2000 dal Tribunale di Torre Annunziata; a ciascuno dei ricorrenti era stato riconosciuto un indennizzo di Euro 6.600,00.
Il Ministero aveva sostenuto, in opposizione, la violazione dell’art. 4 della l. 89/2001 per essere stato il ricorso depositato tardivamente, soltanto in data 21/9/2022, rispetto alla data di approvazione del piano di riparto parziale del 4/7/2019 e la violazione dell’art . 2-bis, comma 3, della L. 89/2001, dovendo il limite del valore della causa essere parametrato alla differenza tra l’importo del credito ammesso al passivo e le somme corrisposte dal Fondo di garanzia INPS.
Per quel che qui rileva, la Corte d’appello rimarcò che la data di soddisfazione del credito rileva solamente quale dies ad quem per il calcolo dell’indennità per la irragionevole durata della procedura fallimentare mentre il dies a quo del termine semestrale di decadenza per la proponibilità della domanda decorre dalla data in cui il decreto di chiusura del fallimento non è più reclamabile, momento in cui la decisione può essere considerata definitiva; rilevò, quindi, che la procedura fallimentare della RAGIONE_SOCIALE era stata chiusa con
provvedimento depositato il 18/5/2022 e che, trattandosi di procedura antecedente alla riforma entrata in vigore in seguito al d.lgs. 169/2007 1/1/2008), in assenza di notifica il termine di impugnazione era di mesi dodici, sicché alla data del deposito del ricorso il termine semestrale di decadenza previsto all’art. 4 della Legge 89/2001 non era ancora spirato; quindi, ribadì che il parametro di riferimento rilevante ex art. 2 bis non potesse essere che quello del valore del credito accertato e ammesso dal Giudice delegato.
Avverso questo decreto il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi; NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, deceduto nelle more del giudizio, hanno resistito con controricorso, depositando successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., il Ministero ha denunciato la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89, per avere la Corte d’appello confermato l a tempestività del ricorso per equo indennizzo di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME sebbene proposto non nei sei mesi dalla data di approvazione del piano di riparto parziale del 4/7/2019.
1.1. Il motivo è infondato. Come correttamente rilevato dalla Corte d’appello, ai fini della decorrenza del termine di cui all’art. 4 della legge n. 89 del 2001, deve aversi riguardo al provvedimento conclusivo del giudizio presupposto, che non può identificarsi nel riparto, quand’anche integralmente satisfattivo per il creditore che poi agisca per l’equo indennizzo ex lege n. 89/2001 : il termine ex art. 4 ha, infatti, valore processuale e viene in rilievo per accertare la tempestività della
domanda, mentre la data di integrale soddisfacimento del creditore rileva sul piano sostanziale, per stabilire la durata irragionevole della procedura fallimentare e l’entità del danno indennizzabile ; in tal senso, evidentemente, non rileva, ai fini dello scrutinio di tempestività della domanda, che il credito della parte insinuata al passivo sia stato precedentemente soddisfatto a seguito di riparto totale o parziale. (tra le tante, in ultimo, Sez. 2, n. 4601 del 21/02/2024, con richiamo ai numerosi precedenti).
La decadenza -che implica, nella specie, la perdita della possibilità di compiere un atto processuale a causa del mancato rispetto di un termine perentorio stabilito dalla legge -presuppone, infatti, necessariamente, il principio di certezza, poiché mira a garantire la stabilità e la prevedibilità dei rapporti giuridici, evitando che le situazioni processuali restino indefinite nel tempo.
In tal senso, allora, l’esplicito e inequivoco riferimento dell’art.4 al «momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva» non consente, nelle procedure fallimentari di cui si lamenti la durata irragionevole, una individuazione di un dies a quo differente dalla data in cui il decreto di chiusura del fallimento non sia più soggetto a reclamo, da individuarsi caso per caso in riferimento a un evento non prestabilito.
Con il secondo motivo, pure articolato in riferimento al n. 3 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ. , il ricorrente ha lamentato la v iolazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 -bis, comma 3, della legge 24 marzo 2001, n. 89 per non avere la Corte d’appello considerato, quale limite all’ammontare dell’indennizzo, il valore del credito residuato dopo la parziale soddisfazione conseguita in sede di riparto parziale.
2.1. Anche questo motivo è infondato. La Corte d’appello ha deciso in conformità di un principio già affermato in precedenza da
questa Corte e ribadito in ultimo dalla sentenza n. 1103 del 16/01/2025, secondo cui ai fini dell’equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo fallimentare, i limiti dell’indennizzo ex art. 2-bis, comma 3, l. n. 89 del 2001 devono essere individuati, per il creditore del fallito, quanto al valore della causa, nell’ammontare del credito indicato nell’istanza di ammissione e, quanto al valore del diritto accertato dal giudice, in quello del credito ammesso al passivo; l’entità della pretesa creditoria rimasta insoddisfatta all’esito dei piani di riparto, invece, può riverberare i suoi effetti soltanto sulla misura del parametro annuo di liquidazione del danno, ma non può costituire il limite dell’ammontare totale della liquidazione.
Il danno da irragionevole durata, infatti, consistendo nel patema conseguente all’instaurazione della lite, non può che coincidere con il valore economico in bilico alla instaurazione e per tutta la pendenza della lite, fino all’accertamento del giudice, che segna il limite della sovracompensazione da scongiurare: n ell’insinuazione al passivo del fallimento la «pendenza giudiziaria» si determina con l’istanza di ammissione del creditore che, da tale momento, diventa parte della procedura, fino a che, con il provvedimento di ammissione, il suo credito non risulta accertato (Cass. Sez. 6 – 2, n. 13819 del 06/07/2016, con indicazione dei precedenti; Sez. 2, n. 324 del 05/01/2024), sicché è in riferimento ai valori di questi due momenti, la presentazione dell’istanza e il provvedimento di ammissione, che devono essere individuati i limiti di valore dell’indennizzo liquidabile di cui al terzo comma dell’art. 2 bis.
La parziale e successiva soddisfazione del credito, seppure avvenuta nel tempo in cui ancora la lite aveva una durata ragionevole, può, invece, riverberare i suoi effetti sull’individuazione della misura del parametro annuo di liquidazione del danno, ma non può costituire il limite dell’ammontare totale della liquidazione.
Diversamente non può ritenersi neppure considerando la possibilità di esperimento, da parte del lavoratore creditore del fallito, dell’azione nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall’INPS per il conseguimento delle prestazioni previdenziali, di cui alla legge n. 297 del 1982 ed al d.lgs. n. 80 del 1992: questa Corte ha, infatti, già escluso che l’azione del lavoratore nei confronti dell’INPS-Fondo di Garanzia, in caso di fallimento del datore di lavoro, possa rilevare nella sede della valutazione del danno da irragionevole durata del procedimento concorsuale, non soltanto in sede di quantificazione della misura dell’indennizzo complessivo (e, perciò, a prescindere dalla portata del ritardo) ma, addirittura, costituendo condizione per la sua insorgenza; negligenze, indifferenza e ritardo nel far ricorso a strumenti che possano consentire la realizzazione alternativa dell’interesse alla base della azione-originante il processo irragionevolmente durato sono, invero, dati certamente rilevanti, ma soltanto per giustificare una eventuale decurtazione del minimo annuo (fermo restando che l’onere di provare detta inerzia compete all’Amministrazione, al fine di argomentare da essa la minore penosità dell’attesa per la definizione del processo) (così Cass. Sez. 1 n. 26421 del 16/12/2009; Cass. Sez. 2, n. 12584 del 18/05/2017; Cass. Sez. 2, n. 28268 del 06/11/2018, e, in ultimo, Sez. 6 – 2, n. 15502 del 2020 e n. 28372 del 2020, non massimate).
3. Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna del Ministero ricorrente al rimborso delle spese processuali di questo giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, liquidate in dispositivo in relazione al valore, con distrazione in favore dell’avv. NOME COGNOME, dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 940,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. NOME COGNOME, dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda