Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18791 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18791 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15842/2023 R.G. proposto da :
NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME;
-ricorrenti-
contro
MINISTERO della GIUSTIZIA;
-intimato-
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di PERUGIA n. 181/2023, depositato il 15/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
Nel 2012 i ricorrenti indicati in epigrafe avevano chiesto l’equa riparazione della durata irragionevole di un processo amministrativo svoltosi davanti al Tribunale amministrativo (TAR) del Lazio. La Corte d’appello di Perugia, con decreto n. 2818/2016 ha accolto la domanda, riconoscendo a ciascun ricorrente la somma di euro 5.583,33. Il 15 aprile 2019 i ricorrenti hanno instaurato giudizio di ottemperanza davanti al TAR dell’Umbria: la domanda è stata accolta con sentenza depositata l’11 maggio 2020, con la quale è stato nominato il commissario ad acta . A fronte del perdurare dell’inadempimento, i ricorrenti in data 9 febbraio 2021 hanno proposto reclamo al TAR, che è stato accolto con sentenza depositata il 15 settembre 2021, che ha nuovamente ordinato al commissario di adempiere.
L’8 giugno del 2022 i ricorrenti – che nel frattempo avevano proposto domanda volta a ottenere l’equa riparazione dell’irragionevole durata del giudizio cognitivo ‘COGNOME su Pinto’, domanda accolta con il riconoscimento dell’indennizzo – hanno proposto domanda per l’irragionevole durata del giudizio di ottemperanza. Con decreto monocratico n. 189/2022, la Corte d’appello di Perugia ha ritenuto che il giudizio presupposto di ottemperanza fosse durato un anno, otto mesi e due giorni, da cui dovevano essere detratti sei mesi e cinque giorni, cosicché ha concluso per l’indennizzabilità di un anno e ha riconosciuto euro 400.
Con il decreto n. 181 /2023 la Corte d’appello di Perugia ha rigettato l’opposizione principale dei ricorrenti e ha accolto l’opposizione incidentale del Ministero della giustizia, sotto il profilo della mancata diminuzione della somma riconosciuta in ragione del numero superiore a dieci delle parti del processo presupposto. La
Corte d’appello ha così condannato il Ministero della giustizia al pagamento in favore di ciascun ricorrente della somma di euro 320.
Avverso il decreto collegiale è stato proposto ricorso per cassazione dalle parti private.
L’intimato Ministero della giustizia non ha proposto difese nel presente giudizio.
Memoria è stata depositata dai ricorrenti.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in due motivi.
1) Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., con conseguente nullità del decreto impugnato: la Corte d’appello ha omesso di pronunciarsi sull’intera domanda come estesa con il ricorso in opposizione, incorrendo nella violazione/falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; con il ricorso in opposizione i ricorrenti avevano chiesto la revoca del decreto e la condanna del Ministero a pagare la somma di euro 1.200, dovendosi considerare unitariamente il lasso di tempo intercorso tra la data di deposito del ricorso in ottemperanza al TAR (15 aprile 2019) e il deposito della sentenza n. 201/2020 dell’11 maggio 2020, e tra il deposito del successivo reclamo (9 febbraio 2021) e il deposito della sentenza n. 650/2021 del 15 settembre 2021, cosicché la fase esecutiva era durata anni uno, mesi otto e giorni due, durata che andava, poi, rideterminata in relazione alla data di emissione dei decreti di autorizzazione al pagamento, cosicché i ricorrenti avevano indicato la complessiva durata della fase esecutiva in anni due, mesi undici e giorni ventitré da arrotondare ad anni tre.
Il motivo non può essere accolto. I ricorrenti, con la domanda ex art. 3, comma 1, della legge 89/2001 presentata l’8 giugno 2022, hanno chiesto l’equa riparazione ‘dell’ulteriore periodo di irragionevole durata (anni uno, mesi otto e giorni due) per i quali si è protratto il giudizio ex lege 89/2001 nella successiva fase di
esecuzione in sede di ottemperanza’ (pag. 2 dell’atto), ‘considerato il lasso di tempo intercorso tra la data di deposito del ricorso in ottemperanza al TAR (15 aprile 2019) e il deposito della sentenza n. 201/2020 dell’11 maggio 2020 e tra la data di deposito del successivo reclamo al TAR (9 febbraio 2021) e il deposito della sentenza n. 650/2021 del 15 settembre 2021’ (pag. 12 dell’atto). Rispettando il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, il giudice monocratico ha pertanto correttamente considerato tale periodo. È vero che con l’atto di opposizione i ricorrenti, richiamando la pronuncia di questa Corte n. 18577/2022 per la quale il seguito attuativo svoltosi nelle forme dell’ottemperanza deve essere considerato ultimato col soddisfacimento della pretesa coattiva, hanno evidenziato che tale soddisfacimento è avvenuto solo con l’emissione dei mandati di pagamento dell’indennizzo del 1° aprile 2022 e con l’emissione di pagamento degli interessi su di esso dovuti del 6 aprile 2022 (pagg. 9 e 10 dell’atto di opposizione), ma la richiesta di tale ulteriore periodo non poteva essere considerata ammissibile. Il processo, infatti, è stato instaurato l’8 giugno 2022, ossia dopo che il credito, nella stessa prospettazione dei ricorrenti, era stato soddisfatto, così che non si può ritenere, a differenza di quanto sostengono i ricorrenti nel ricorso e nella memoria, che il loro credito sia stato soddisfatto in corso di giudizio.
2) Il secondo motivo contesta violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 2bis , commi 1 e 1bis della legge 89/2001, 6 par. 1 della Convenzione EDU e dei consolidati principi pronunciati dalla Corte EDU e dalla Corte di cassazione in tema di ragionevole durata del processo, nonché degli artt. 111, comma 2, e 117, comma 1, della Costituzione: la Corte d’appello di Perugia ha confermato il decreto monocratico nella parte in cui dall’accertata durata della fase di esecuzione del presupposto giudizio ex lege COGNOME è stata operata la detrazione a titolo di durata ragionevole dello spatium adimplendi
di sei mesi e cinque giorni che il Ministero ha per eseguire il pagamento dell’indennizzo; nel caso in esame i ricorrenti, prima di potere avviare la fase esecutiva, hanno dovuto inviare la dichiarazione di richiesta del pagamento e attendere il decorso di sei mesi, cosicché lo spatium adimplendi è venuto temporalmente a situarsi e a consumarsi per intero a monte della procedura esecutiva e la durata complessiva dell’unitario giudizio risulta pari ad anni due, mesi undici e giorni ventritré, essendo il soddisfacimento della pretesa coattiva avvenuto soltanto in data 6 aprile 2022; inoltre, la Corte d’appello ha accolto il gravame incidentale del Ministero, inerente la mancata applicazione sul parametro indennitario annuo di euro 400 della riduzione del 20% in ragione del numero delle parti del giudizio presupposto quando, invece, il numero dei ricorrenti è risultato superiore a dieci a seguito delle riunioni dei giudizi presupposti operate dalla stessa Corte territoriale.
Il motivo è infondato per quanto concerne entrambi i profili contestati.
Quanto al primo, si osserva che i ricorrenti hanno ragione nel contestare alla Corte d’appello l’individuazione della durata ragionevole della procedura esecutiva di un giudizio c.d. Pinto su Pinto in sei mesi e cinque giorni e al riguardo va corretta la motivazione del decreto impugnato. I ricorrenti, però, non considerano che nel dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 2, comma 2bis legge 89/2001, la Corte costituzionale, nella pronuncia n. 36/2016, ha indicato in un anno il termine di durata ragionevole di un processo di equa riparazione nel grado di merito, grado di merito nel quale la realizzazione del diritto all’equa riparazione passa per una sequenza procedimentale unitaria, articolata in due fasi (di cognizione e di esecuzione); ove la durata di tale sequenza cognitivo-esecutiva ecceda il termine ragionevole di un anno (al netto dell’intervallo tra le due fasi) e superi il limite minimo di non
ragionevole durata indennizzabile (sei mesi) si può agire in giudizio per l’equo indennizzo per la non ragionevole durata del processo «presupposto» ex legge 89/2001 (così, in termini riassuntivi, Cass. n. 3023/2024). Nel caso in esame, come si ricava dal ricorso (pag. 5 dell’atto), la fase di cognizione del processo COGNOME su Pinto è durata meno di un mese (il ricorso è stato depositato il 27 dicembre 2017 e il decreto monocratico è stato depositato il 19 gennaio 2018). Ciò significa che alla durata del giudizio di ottemperanza fatta valere dai ricorrenti, ossia un anno, sei mesi e due giorni, vanno detratti undici mesi, così che la Corte d’appello, nel riconoscere la durata irragionevole di un anno, non ha violato le disposizioni invocate dai ricorrenti.
Quanto al secondo profilo, si rileva che nel contestare che il numero dei ricorrenti è risultato superiore a dieci a seguito delle riunioni dei giudizi presupposti operate dalla stessa Corte territoriale non si considera che, se nell’originario processo di equa riparazione erano stati proposti distinti ricorsi poi riuniti (cfr. pag. 3 del ricorso), il giudizio presupposto in esame, ossia il giudizio di ottemperanza, è stato instaurato con atto proposto da sedici ricorrenti, così che la Corte d’appello ha correttamente applicato la riduzione del 20%.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Non vi è pronuncia sulle spese, non avendo il Ministero intimato proposto difese nel presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda