Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16062 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16062 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22034 – 2022 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Bari, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale sono rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’RAGIONE_SOCIALE ope legis ;
– controricorrente –
avverso il decreto n. cronol. 452/2022 della CORTE D’APPELLO di BARI, pubblicato il 9/2/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/3/2024 dal consigliere COGNOME; letta la memoria delle parti ricorrenti.
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quest’ultimo anche quale erede di NOME, hanno chiesto alla Corte d’appello di Bari l’ equa riparazione del pregiudizio conseguente alla durata irragionevole di un giudizio risarcitorio presupposto, a loro dire unico, iniziato, nel 1989, nei confronti del loro padre, NOME COGNOME, convenuto, tra l’altro, per il risarcimento dei danni conseguenti al mancato o ritardato trasferimento di un immobile; essi erano intervenuti in questo giudizio in secondo grado, quali eredi, insieme alla loro madre NOME e, con sentenza n. 941/98 del 3/11/1998, la Corte d’appello di Bari aveva unicamente statuito sull’ an debeatur del risarcimento e la sentenza aveva acquistato efficacia di giudicato; quindi, nel 2005, era stato instaurato un secondo giudizio per la liquidazione del quantum , articolatosi in doppio grado fino alla sentenza della Corte d’appello di Bari del 2019, impugnata in Cassazione dal solo NOME; la madre NOME era, intanto, deceduta; considerati unitariamente, i due procedimenti erano durati oltre trent’anni.
Per quel che qui ancora rileva, il Consigliere delegato ha dichiarato inammissibile la domanda di equo indennizzo relativo alla durata irragionevole del giudizio sull’ an debeatur .
Con il decreto qui impugnato, la Corte d’appello, adita in opposizione ex art. 5 ter legge 89/2001, ha confermato la dichiarazione di inammissibilità per tardività della domanda relativa al primo giudizio, non potendo i due giudizi essere considerati unitariamente.
Avverso questa sentenza COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi; il Ministero ha resistito con controricorso.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno lamentato la violazione degli art. 112 e 132 cod. proc. civ. per avere la Corte d’appello reso una motivazione meramente apparente sul primo motivo di opposizione concernente la necessità di considerare unitariamente i due procedimenti aventi ad oggetto l’ an e il quantum del risarcimento.
1.1. Il motivo è inammissibile.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente perché fondata su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (da ultimo, secondo giurisprudenza costante, Sez. 1, n. 7090 del 03/03/2022).
Nella specie, invece, la Corte d’appello ha reso sul punto una motivazione chiara, seppure sintetica, escludendo la possibilità di unificare i due giudizi in considerazione della stessa formulazione dell’originaria domanda.
Peraltro, sono gli stessi ricorrenti a censurare il decreto, con il secondo motivo, contraddittoriamente, anche per violazione di legge e ciò evidentemente conferma che una motivazione sindacabile è stata resa.
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ. , infatti, i ricorrenti hanno lamentato la falsa applicazione degli art. 2 e 4 della legge 89 del 2001 e dell’art. 278 cod. proc. civ., in violazione dell’ art. 111 Cost., dell’art. 6 della CEDU: la Corte d’appello avrebbe infondatamente ritenuto distinti i due procedimenti relativi all’ an e al quantum del risarcimento, con una interpretazione del petitum originario limitata e contraria al rapporto sussistente tra sentenza di condanna generica al risarcimento del danno e sentenza di liquidazione del danno, senza considerare che la separazione dei due procedimenti risulta in contrasto con le esigenze di celerità del processo come garantita dall’art. 6 CEDU.
2.1. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha escluso l’unicità dei due giudizi instaurati per l’ an e per il quantum debeatur rimarcando che, nei confronti del dante causa degli attuali ricorrenti, era stato chiesto il risarcimento dei danni da quantificarsi anche in separata sede e che effettivamente la prima decisione era stata limitata soltanto all’ an debeatur e lo stesso attore aveva instaurato un nuovo e diverso giudizio per il quantum .
In sede di determinazione dell’indennizzo per equa riparazione, evidentemente, il Giudice può so ltanto prendere atto dell’articolazione e della conclusione del procedimento presupposto: nella specie, quel che rileva, allora, è che vi sia stata la formulazione, in via originariamente alternativa, di una domanda di risarcimento danni e di una richiesta di condanna generica limitata all’ an debeatur con riserva di ulteriore giudizio per la determinazione del quantum e che la
pronuncia limitata all’ an non sia stata oggetto di alcuna opposizione in quanto confermata in appello e passata sul punto in giudicato.
Ciò posto, ogni considerazione a posteriori sulla opportunità della separazione dei due giudizi in riferimento alle esigenze di concentrazione e speditezza sancite dall’art. 6 CEDU non è più conferente in questa sede.
Questa Corte ha già affermato che la separata proposizione della domanda per l’accertamento di un diritto di credito e di quella successiva per la determinazione del quantum debeatur dà luogo a giudizi diversi ed autonomi e la relativa scissione dei due momenti processuali è conseguenza di una scelta rimessa all’esclusiva ed insindacabile volontà della parte.
La scelta della parte di separare i due giudizi, assecondata dal convenuto, implica, allora, necessariamente che anche il pregiudizio da irragionevole durata debba essere valutato separatamente per ciascun procedimento, in quanto la realizzazione della pretesa avversaria è avvenuta in tempi separati e successivi e, in conseguenza, il «patema d’animo» si è compiutamente concretizzato distintamente in ciascuna procedura distinta.
Quanto, quindi, alla questione giuridica dell’ammissibilità della domanda di equo indennizzo per l’irragionevole durata del giudizio sull’ an , conclusosi molti anni prima della definizione in secondo grado del giudizio sul quantum , è all’interno di ciascuno dei due giudizi che deve essere individuato l’atto conclusivo e, con esso, il dies a quo di decorrenza del termine semestrale di decadenza (Cass. Sez. 1, n. 18603 del 07/07/2008; Sez. 1, n. 16287 del 10/07/2009).
Questo termine è disciplinato, oggi, dall’art. 4 della legge 89/2001 e, per i giudizi già pendenti o definiti alla data di entrata in vigore della legge 89/2001, è stato previsto dalla norma transitoria
dettata dall’art. 6 (termine poi prorogato al 18 aprile 2002 dal d.l. 12 ottobre 2001 n. 370, conv. dalla l. 14 dicembre 2001 n. 432).
Come costantemente chiarito nella giurisprudenza della Corte EDU, i rimedi preventivi sono non soltanto ammissibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma addirittura preferibili, in quanto volti a evitare che il procedimento diventi eccessivamente lungo; tuttavia, per i paesi dove esistono già violazioni legate alla durata irragionevole del giudizio, i rimedi preventivi, per quanto auspicabili per l’avvenire, possono rivelarsi, per sé soli, inadeguati.
Conseguentemente, la nostra Corte costituzionale, con la sentenza n. 88/2018, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 nella parte in cui non prevedeva che la domanda di equa riparazione potesse essere proposta in pendenza del procedimento presupposto, ha chiarito che il termine di decadenza imposto dall’art. 4 (e allo stesso modo deve intendersi la disciplina transitoria dell’art. 6) è proprio strumento di presidio – l’unico disponibile, fino all’introduzione di quelli preventivi – dell’interesse a veder definite in un tempo ragionevole le proprie istanze di giustizia, seppure a posteriori e per equivalente.
Pertanto, scollegare, peraltro per un tempo non ulteriormente prevedibile, l’attivazione RAGIONE_SOCIALE strumento della richiesta di equa riparazione dalla conclusione di un procedimento presupposto, soltanto in considerazione della pertinenza alla medesima situazione sostanziale oggetto di altro e diverso procedimento, significherebbe inevitabilmente sovvertire la ratio stessa della previsione del termine decadenziale.
Resta, quindi, escluso che il suddetto termine, in relazione al primo giudizio, sia rimasto inoperante e non sia decorso fino alla definizione del secondo giudizio.
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese processuali in favore del Ministero, liquidate in dispositivo in applicazione dei parametri stabiliti per le cause di valore indeterminabile e di complessità bassa.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del Ministero, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 906,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda